La punta del cuore
Quando mia madre
mi tolse il seno
misi in bocca
la punta
del mio cuore.
Davanti agli alberi di noce
Maggio-luglio, 2013
La vita se la riempi tutta con la vita
diventa una cosa terribile.
E pure l’amore se lo riempi tutto con l’amore
diventa terribile.
E pure il soffrire
se lo riempi tutto col soffrire
diventa terribile.
Non so perché ora mi viene in mente
che morendo mi puoi partorire.
*
Siamo arrivati al punto
che non hai le forze
per temere la mia morte
e io forse sono troppo stanco
per temere la tua.
Mi sono fatto questa idea:
la tua lotta non è tra la salute
e la morte
ma tra la malattia e la morte.
Morirai quando la malattia
perderà le forze.
*
Tutto quello che posso vedere
è la faccia di mia madre,
come cambia giorno per giorno,
come si muove il respiro,
come si svuotano gli occhi.
Mia madre è un accampamento
in cui c’è stato un incendio,
è un profugo che cerca scampo
da qualche parte.
*
Ogni morente
ha le sue masserizie sulle spalle
e sale
su una montagna di creta.
*
Dio non esiste stamattina,
almeno non esiste in questa stanza.
Ora c’è la luce del giorno
mia madre e mio fratello
respirano un po’ di sonno.
La nebbia di giugno si solleva,
guardo il verde delle foglie,
guardare è il mio riposo.
Dura poco.
Mia madre torna al suo dolore
e porta via le foglie.
*
Ero andato a prendere
il nuovo materasso per le piaghe,
quello che avevi ci sembrava rotto.
Tornando da Calitri
ho visto che eri morta.
Respiravi ancora solo perché
avevi diviso in pezzi piccolissimi
l’ultimo respiro.
*
La vicina di casa ha una benda sull’occhio.
La vedo adesso affacciata alla finestra.
Quando è morta mia madre
ha chiamato sua figlia a Roma
perché ci mandasse un telegramma.
Così ho scoperto che non esce,
prima non ci avevo mai pensato.
Sarà così pure per me,
sono qui per invecchiare.
*
Adesso questa casa
che una volta era dei clienti
è tutta mia.
Posso mettermi nudo sul balcone
e stendere il lutto al sole.
*
È la prima volta che torno al paese
e non c’è mia madre.
Sarà così ogni ritorno
fino a quando tornerò direttamente
da mia madre.
(Sicuramente resterò fino alla morte
nel paese natale
dove non sono mai nato).
*
Gli oggetti che perdo ogni giorno
può darsi che qualcuno li ritrovi.
La morte non è una perdita
e neppure una scomparsa
come si dice nei manifesti
appesi al muro,
è un corpo che si ferma
e si fa muto e duro.
***
Sentimento senza sentimentalismo . Credo siamo tutti solidali con una resa così vistosa , così rara .
Un pensiero e un saluto cordiale
leopoldo attolico –
proprio così, Leopoldo. e’ il modo poetico più asciutto e pure intenso, umanissimo, per renderci familiare la morte. quella materna qui ci attraversa come fosse la prefigurazione della nostra. credo che moltissima poesia, di ieri come di oggi, non sia che poesia sulla fine. non siamo che “profughi da un incendio”. i versi mi hanno ricordato – e forse l’autore ne ha restituito traccia della sedimentazione – quella frase memorabile di Antonin Artaud: “stiamo come in un rogo a far segni attraverso le fiamme” . un denso grazie a Franco e a Francesco,
Annamaria Ferramosca
Versi splendidi e durissimi, che – purtroppo – sento molto vicini.
Anche questa è l’universalità della vera poesia.
Francesco t.
Arminio ha questa forza ossuta e a un tempo scricchiola– che ti apre, ti contrae, ti riapre– bellissimo post, e per me dolorosamente invasivo (ma questo è un dato bio, che quasi appena)
Poesia spietata, come sa esserlo la natura, straordinaria fino in fondo agli occhi che si fanno chiari
Grazie Leopoldo
Chiedo scusa, Grazie Franco Arminio
le poesie sulla morte, ma, soprattutto le poesie sulla morte della madre, mi devastano, quanto più raccontano , scabre e intense, un dolore incontenibile che viene preso al laccio
Un legame assoluto, vivido, intenso, una lettura che mi ha coinvolta enormemente, complimenti.
Marilena