Da Il tempo invisibile, Bologna, Book Editore, 2003
Come tulipani
Come tulipani
si sono dischiusi
i pugni
in questa primavera indefinita
di cui attendiamo i frutti.
Nuovi padroni tessono
tappeti
nell’ombra
per i loro piedi
per la loro gloria.
E ci troviamo qua
senza sapere dove siamo
a difenderci da
assunti fragili
anomie impensabili:
travolti da fiumi di gente
e di inchiostro
che vanno a mondarsi
di rosso.
Visus
Bussano in piena notte
sugli usci delle cose
un tocco lieve:
la bellezza contiene una pace lontana
qualunque strada fai
ti puoi voltare
regala una collina
la Gioconda
con l’ombra che ripara, che ristora
fremono invece le gambe, nascoste
ma il sorriso non so se vada oltre:
se, come specchio, rimandi esattamente
l’amore di chi guarda, di chi sente.
Transito senza catene
Siamo gocce di piovasco
che fiori e frasche non trattengono
siamo deboli preghiere che ricadono
garbatamente
ce ne andiamo.
L’eternità da un pezzo è cominciata
in alto come fumo
sale
la legione stranita
eroica nel coprire voragini
col sacrificio di sé.
Non a caso ci pensiamo tranquilli
prudentemente vicini
alla soglia
là, dove origlia il vento, si raccoglie
il tempo: presto o tardi, cosa importa?
Il buon nome
Nel gioco del nome
da dare alle cose
c’è sempre un pedante sconfitto
voce di popolo
echeggia
trionfante
col nome prescelto.
Così, si disperde la voce
isolata:
come un oggetto minuto
in una casba affollata.
Ma il vento continua a secernere
il nome
l’orecchio
il lamento innominato
delle cose.
L’ego della bilancia
Non
ritornare fanciulli
immersi nella nebbia d’oro
del gioco
di una fede totale;
né piangere ossessivi il paradiso
perduto, disprezzando la vita
o ingoiandola, come amara medicina.
Ci basterebbe che metta giudizio
il mostro
la tentacolare mano che pesca
a caso, che assesta qua e là colpi mortali
che premia senza merito.
Ma non c’è gabbia o distanza
che ci protegga
se non la fuga spavalda dello sguardo
il dannato cavalcare della bestia.
***
Da In terza persona, Lecce, Manni Editore, 2006
S’attenuerà la luce ed il calore
esaurite le scorte, dato fondo
alle energie pulite o sporche.
Ma lo sguardo sarà vivo nell’ombra;
più vicini al nulla ci ritroveremo:
padre, che non sei giudice né lama
vedrai, ci adatteremo
a nuovi dinosauri, a carestie,
a guerre per le briciole rimaste.
La rinuncia, la più ambita conquista.
*
Non ci perdiamo
in questa via che tira dritta
spezzata solo da pugni
di case vuote come orbite.
Ombre di pali e cornicioni tremano
sulla strada, tra serpi di cristallo.
La città s’allontana. Gli occhi
nell’oro d’una rada all’orizzonte.
E sorvoliamo a piedi pari la saliva, asciutta
di campagne affaticate, rustici
ville dimesse, grigie o stinte.
Fiume Santo, [1] bagno d’uomini
con le torri lì vicino che si spengono.
Centinaia le tute senza i corpi
tra spuma e campi: anime, finalmente libere.
Affacciati ai bordi di una luce
tagliente, tutto se ne vola
in una pace inquieta d’aria calda.
Niente e nessuno più si ferma
rallenta, giace per sempre;
persino una scimmia antropomorfa
dopo milioni di anni, si risveglia. [2]
*
Sul dorso di anni molli come acqua
calchiamo l’orma, prendiamo il largo.
Lontani ritrovandoci ogni volta.
Ma ci sono chiese dove torni in silenzio
entrando nell’azzurro degli spazi aperti.
E ti stupisci del tempo che è passato
di quanto belle fossero le mute
impigliatesi là dove biforca il sentiero
di stagione in stagione.
Più sottili si sono fatti gli occhi
più grossa la grana del ricordo.
Siamo volati via da noi e dai nostri morti.
Ma da qualche angolo si avverte
come un monito, e non capiamo:
non capiamo se lo stiamo ascoltando
o siamo già noi quel luogo che chiede ascolto.
*
Noce che si spacca nel periplo d’una vasca
e trova la luce il gheriglio.
Barche i gusci salpano da pareti immense, bianche
tra colpi secchi che richiamano confini, ore, acqua.
Un gorgoglio precede, ogni tanto, il silenzio:
del livello ormai sceso
dei gusci capovolti che si cercano.
*
Conservo un filo d’erba
sulla lingua,
non lo vedrò piegarsi e marcire.
Un filo che lega e ravviva
una città sbiancatasi alle spalle.
E’ il viatico degli anni
l’architettura che resta
con la caduta dei mattoni
che il vuoto rende più leggera.
O, se si vuole, una fede banale,
come pantaloni che proteggono
dai graffi d’un sentiero frastagliato,
così fitto da richiudersi alle spalle,
dopo il passaggio, prima
che si crei un varco
davanti
***
Poesie inedite, 2007
Nei condomini in silenzio
la domenica, coi gatti pure loro fuggiti
tu nell’ombra del cortile
sei la calla tra i fondi di caffè
e le bestemmie dei vecchi rimasti.
Il giallo del tuo cuore
è la tosse del vicino che ti espelle.
Dalle caverne dietro le persiane
i loro occhi ti rotolano dentro
quando passi sfiorando le parole
oscure della tua gioia dolente.
Voli col tuo sogno di polline
e il corpo niveo resta immobile
ad accogliere gli sputi
e la cesoia dall’alto.
Prima dell’esilio agonico in un vaso
una cetonia si posa
e ti si annuncia come un angelo.
Penso a Fernanda all’ombra di quel re
che mai nessuno ha veduto
e vedrà e penso a te così lontana
che non sai e ti stringo cara
con dita di ruggine azzurra.
*
Ho abbassato il volume alla musica
di anni. ritenuti straordinari;
ogni tempo ha la sua e quella
s’era allargata a dismisura
una folla di cantanti e rockettari
stravaccati in salotto.
Non c’era gesto, pensiero, parola
che non fosse accompagnato da una nota:
il loro tempo sul mio
ammutolito in un angolo.
Nel silenzio riaccorda ora
le foglie il maestrale;
scostato il sipario dell’afa
un nuovo spettacolo.
*
Dal muro bucato la notte
ti vedi andare via leggero.
Ritrovi all’alba sul tuo letto
un ubriaco che ti legge la vita;
gli ruotano gli occhi e la testa
nella veglia allucinata
nel ludo di parole
zitelle, in sella
ad un ronzare di cellule.
*
Ti scorpori
a poco a poco
e ogni incontro è più breve.
Cominci a vedere
la città che non era
e che sarà
quel delirio d’aria
che t’avvicina di un morso
ogni giorno
all’osso del tramonto.
Il tempo è appeso alla tua gola
le lancette dal quadrante
vi si figgono e cola
dell’ora più ferita
sulla carta, una parola.
Il passato lo si trova ormai
pressato in pochi bytes
lo apri e da un chicco
di grano ti esplode
una nube di talco.
*
Cade in una nicchia
e tace. Ma dalla parete
vitrea d’una nursery
se non tu, altri
l’attendono nuovo
lo sconosciuto che
dopo un poco
a qualcuno somiglia.
§§§
1. Località, a pochi chilometri da Porto Torres (SS), dove è situata una centrale termoelettrica. A Porto Torres sono invece presenti gli impianti petrolchimici attivati a fine anni Sessanta da Nino Rovelli, ora in lenta dismissione.
2. Sempre a Fiume Santo, nel 1993, due amatori raccolsero dei piccoli frammenti ossei di animali che, analizzati dalla Facoltà di Scienze Naturali di Sassari in collaborazione con l’Università di Liège, hanno rivelato essere appartenuti a coccodrilli, antilopi, scimmie vissute circa 8,5 milioni di anni fa, nel Miocene superiore.
Giovanni Nuscis è poeta in osmosi col mondo; poeta anche civile, che calamita nel testo spirito critico acuto e autentico pathos – capace di scrivere una così suggestiva poesia sulla calla come di registrare l’agonia delle fabbriche (Fiume Santo) con rara originalità metaforica.
Di questo poeta ho la fortuna di conoscere anche la grande generosità umana e le crescenti qualità di critico letterario e ne segnalo con piacere il blog personale http://www.giovanninuscis.splinder.com
peraltro opportunamente ‘linkato’ da chi lo ha già potuto apprezzare
Saluti cari a Giovanni e Francesco Marotta
Antonio
Belle, molto belle.
“… siamo già noi quel luogo che chiede ascolto” (?) Verso stupendo.
liliana
Poesia e pensiero, tanto più intensi quanto meno urlati. Una bella definizione della poesia:
“il lamento innominato
delle cose”.
E un bel programma etico-poetico:
“La rinuncia, la più ambita conquista”.
Grazie a Giovanni e a Francesco.
Grazie di cuore, Francesco, per avermi voluto tuo ospite; e grazie a voi, Antonio, Liliana e Giorgio, per le vostre parole.
Vi abbraccio.
Giovanni
Grazie ad Antonio, Liliana e Giorgio per i commenti: credo ne emerga il ritratto più vero di Giovanni, in tutto simile al suo modo di intendere e praticare la poesia: etica e condivisione al servizio di una voce che scava in profondità, con la levità e la forza di uno sguardo fraterno che sa farsi uno con tutto ciò che vive.
Grazie, Giovanni, per essere stato qui.
fm
Continuo ( in me?) a leggere una volontà di poema, la poesia ha spesso gambe più veloci dei versi.
molto belle, Giovanni.
Maria Pia Q.