Giannino di Lieto
(Minori, 1930 – 2006)
Considerato uno dei grandi autori del secondo Novecento, Giannino di Lieto “è stato un poeta che, attraverso un accanito principio di ricerca e di riflessione sulla scrittura e i suoi intimi segni, ha svolto un raffinato discorso in modo tutto proprio, fuori e sopra i comuni moduli della poesia italiana, le mode. Di lui, nel tempo, si sono occupati critici e studiosi di fama nazionale e internazionale, concordando sulla qualità non ordinaria del verso, sugli esiti di grande purezza stilistica del linguaggio poetico”.
Ha fatto parte del gruppo di poeti e artisti che ruotava intorno alla rivista “Tam Tam” di Adriano Spatola ed è autore di numerose opere di poesia visiva inserite in mostre nazionali e internazionali.
Tra le sue opere:
Poesie (presentazione di Salvatore Valitutti), Padova, 1969;
Indecifrabile perché (prefazione di Gaetano Salveti), Roma, 1970;
Punto di inquieto arancione (introduzione di Giorgio Bàrberi Squarotti, commento di Giuseppe Marchetti), Firenze, 1972;
Nascita della serra, Torino, 1975;
Racconto delle figurine & Croce di Cambio (prefazione di Maurizio Perugi), Salerno, 1980;
L’abbonato impassibile – Le facce limitrofe, Salerno, 1983;
Le cose che sono, Salerno, 2000;
Breviario inutile, Forlì, 2003.
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Inediti (2005-2006)
(Da: Giannino di Lieto. La ricerca di forme nuove del linguaggio poetico, atti del Convegno (19-20 maggio 2007), Verona, Anterem Edizioni, “Pensare la letteratura”, a cura di Flavio Ermini e Ida Travi, 2008)
LA POSTILLA
Ho visto il fiume volare
le tortore sguazzavano nell’acqua
bisce attraverso l’allievo
una cantarella
colma, le mani pagine decise
ginestre a calice della piegatura
(ricavando fonti del Mille) respice
finem sotto la pergamena fiori
pica o gorgia i grassi rospi
despota di nube-terra controvoglia la postilla.
*
FORMICHE ROSSE
Le formiche rosse salivano il tronco per una vena identica
fuori di cicatrici o velature di lattice
scendevano nel cuore della pianta.
La pianta una pianta di fico d’inverno
sbiadita contro-verso sporadici pinnacoli allo specchio.
*
EFESO, L’OSSIMORO AL TEMPO
Tamerici i coribanti
da corridoi enclave di pensieri nani
come la felce ipoteca di un titolo speso,
possibili Niobe o spurie
scarabocchiate in palio
si fanno ombra alba per viola.
*
RAGAZZE IN BILICO
Donne giovani forse
senza volto senza corpo le voci
una voce in vena di canzonare
cela l’abbaglio di una farfalla di notte
alla luce immolarsi come valore semiotico
dei balbettamenti runici o
la ricerca assidua di liberazione
da un androne semibuio della fabbrichetta:
siamo divisi da un canale di acqua livida
contenuta fra l’erba palustre e il ciglio della strada
lungo una mattinata tersa.
*
LA MESTICA
Rubina vecchia come una cesura sospende
gli sguardi
fra piccole ciglia
né accavalla le belle gambe in posa
rinchiusa in un castello di carta
distingue silenzi accurati dopo la glossa
un luogo comune prencipe o cortegiano
una torma di retori spunta la rosa dei turni
complementi icone di scrittura originarie di O.
*
ANABASI
Avvolto nel fuoco Emmaus
villaggio infedele sconta
la sua defezione
La turba, rudimenti verbali trascritti in profezia
può per disincanto non ascoltare l’oracolo
un fuggi fuggi generale senza meta
il formicaio snidato nei cunicoli
(modulati con arte)
(il vomere dissoda la terra per la nuova semina)
e l’azzurro capovolto si addensa e piega in basso
spicca rovine alla cinta muraria
invischia della manna imperfetta convogli e profughi
ricuce a tenda le cime della rotta
il sole salva la terra il cielo si fa cielo
assunta a cupola la grande tunica
la turba tramortita impreca.
*
IL FONDO DI BÉLA
Clipeo con figure a sbalzo, anche scheletri
un palmento,
propilei dell’esodo figurelle fuori uso
cronache a teatro sfilate o lorica
crotali per sillabe aperte in un vicolo cieco.
***
Testi dalle opere edite
Primo piano
Ci sono
tre buchi
nella porta
chiusi
tre brillanti
rivoli del mondo
dove l’estate brucia
alligna l’invidia.
*
Il fico d’inverno
C’era una cappella
nel mio giardino:
fra le macerie
una pisside d’argento
un bimbo
una serpe
il veleno del tempo.
*
Ogni notte un lupo
Dalla casa del tempo
un figlio
scappa ogni giorno
ogni notte
un lupo
ghermisce un bambino
l’uccide
il sangue
scorre nel fiume.
Quando l’aria è calma
nella grotta del cielo
(c’è chi dice)
vagola sempre
uno strano lamento.
*
Sera
Già vivo
nelle regioni d’oriente
il giorno arrossa
la ferrigna piana
gli elmi e la corazza
che ci fecero salvi
sventrati cavalli
della mischia.
Andiamo
cautamente
indietro:
il domani
è alle nostre spalle.
(Da Poesie, Padova, Rebellato, 1969)
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L’ombra intorno
Occhio della notte
che l’ostro annuvola – in falce d’ore
un fiume la raggela:
è l’alba chiusa delle occhiaie
come la pioggia scava
disancorato vivere in deriva.
*
Idea del ponte
Come goccia fiorisce la luna
(idea del ponte: l’attracco)
sangue induca la guida
per immaginazioni di massa
il viso si sdoppia
troverà la pace
o stridere del buio
coëunt lumina
questo male inguaribile
sillaba sul vetro in tuniche di vento.
*
Muri d’Isole
Nei cerchi propagati il sole è fermo
un falco verticale sulla preda
e nube ambigua, zolfo
atomi disgregati
su coni – gronda in tese d’incredibile
stalattiti d’ombra incrostano le grotte
boccaporti dell’anima:
innalzeremo muri d’isole
verdi sull’oceano.
*
Giochi verticali
Il tempo della capra
quando si munge piegati sul ginocchio
era uno spiazzo estivo,
ombra in corsa d’acqua
la fatica saltellante negli squadri cavi
graffiare del naufrago le mani
povere piante
come d’antico vivere:
il grido si è spellato sulla bocca.
(Da Indecifrabile perché, La Bitta, Crisi e letteratura, Roma 1970)
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Isole da costa
Incrostate interpretazioni in un armadio di mineralogia
a raffigurare sogni per un’alba di sentinelle
affiancati dai turni rami di sangue a guisa di remi
un’infinità di voci emerse saldamente bianche
per incredibili rive inclinazione d’isole
vulcaniche scintille fioriscono l’identico colore
succedersi da quelle alture detriti rapaci
come parole di ferro con pazienza decifrate
preparano mutazioni, qualcosa di deciso già rabbrividente
perché i tonfi rispondono allo scorrere dei chiavistelli
*
Punto di inquieto arancione
Dove fu che il fiore genera di sé un’esistenza colma
isole di corallo come ua menzogna su meridioni azzurri
magnifici scarabei poi una voragine bisogna uscire dalla casa
salga un gran chiasso dopo una festa ogni lasciarsi indietro
la sorte in luce diviene forma passeggera e quanto è dato
controdanza in borse di seta almeno piume avanzeranno
con alti e bassi da salde radici è stato cespuglio
un gioco per fulmini si beve i guadagni del giorno
a quel grumolo si tengono appoggiati masticando foglie
finché da una brocca il vento discorre ghirlande
sul capo i fanciulli spargono semi vestiti di bianco
svolazzassero di notte il sogno doveva essere completamente arso
sarà scacciato con fumo di spina alba
(Da Punto di inquieto arancione, Enrico Vallecchi, 1972)
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Flavio Ermini – La collisione estrema
(In Giannino di Lieto, Atti del convegno, op. cit., pag. 85 e sg.)
La parola poetica continua a pronunciarsi entro quelle pieghe del linguaggio che celano il non detto. In un misurare accecato: attraverso il gesto inconsapevole della nascita, seguendo le tracce del cielo sulla terra e affidandosi al possibile della frase.
La parola poetica elegge lei stessa la voce che la pronuncerà. Nel momento in cui accade, abbiamo la sicura percezione di ascoltare una parola proveniente da grandi altezze: quella parola che da tempi immemori ali ci accompagna verso la collisione estrema, dove azzurrità e mondo s’incontrano, là dove nulla è compiuto: un luogo che sembra lasciato vuoto da qualcosa che non è ancora.
La parola poetica che ha scelto la voce di Giannino di Lieto per giungere sino a noi scorre lungo argini la cui propensione a incanalare non ha intenzioni costrittive, ma tende ad assecondare le trasformazioni delle figure alveate.
Circolazione fluttuante e arginature periferiche sono il risultato alchemico ottenuto dal poeta nel suo singolare laboratorio ideativo.
Il grande spazio gestito da queste presenze passa con armonia dall’inerzia al respiro. Dall’esserci come dato neutro all’esserci come voce con una sua specifica ricchezza.
Colonie di frasi si spostano verso un punto indeterminabile, di volta in volta segnalato dal crepuscolo o da una mappa albale.
Correnti diverse legano i componenti di queste masse in movimento mai contribuendo a formare un disegno complessivo: si diradano e perdono luce e così lo stesso io. Si diradano verso un altrove interiore che rimane, per quanto prossimo, sconosciuto: vera e propria rappresentazione di un dire mai interamente pronunciabile.
[…]
Giannino di Lieto non si rivolge all’architettura verbale compiuta quanto ai percorsi che l’operazione poetica deve compiere per realizzarla. Ogni suo passo è compenetrato dalle ragioni che lo debbono giustificare.
La partita esistenziale si svolge dentro un “cielo” che tutto include. Nella sua azzurrità agiscono storie contrastanti. La sua distesa uniforme accenna a vicende trascorse. Ospita pagine spesso indecifrabili di antichi diari. E si apre in ferite dalle quali continua a fluire sangue. E’ una rete avvolgente che stende sulle prede la smagliante colorazione della sua sostanza. Questo cielo onnicomprensivo è il luogo della rimozione, dell’inibizione e del mascheramento.
Frase dopo frase, la poesia di Giannino di Lieto accosta i diversi piani dell’accadere. Formando una totalità dove i singoli componenti linguistici permangono in uno stato di reciproca estraneità: accostamenti pertanto senza reali connessioni; presenze ravvicinate ma appartenenti a pianeti distanti.
L’antidiscorso di Giannino di Lieto allude a un referenziario di materiali ai quali deve far ricorso il poeta per dar fiato alla rappresentazione. E viene in superficie tutta la problematica riguardante il loro uso specifico.
Giannino di Lieto non ritiene che la poesia inizi dove si posa la prima parola. la poesia anzi comincia per lui molto prima. Ed è molto meno pura di quanto si possa immaginare.
Con questo suo atteggiamento egli concorre a spezzare il fragile concetto di unità del fare inventivo. Il movente deve passare per una difficile cruna, dopo la quale si ha l’apparire dell’architettura. Questa cruna è il mezzo. Sarà poi la dimensione della scrittura il vero momento genitale.
Poesia come lucida introduzione a se stessa: nel volo della freccia è essenziale il tragitto dall’arco al punto di destinazione. Quello spazio intermedio tra il pungolo emotivo e la sua traduzione in parola ha nell’opera di Giannino di Lieto grande rilievo perché fa vedere la scrittura come un atto complesso e non soltanto come uno spiegamento di risultanze.
Giannino di Lieto chiede al lettore di misurarsi con tutte le condizioni che sorreggono l’intenzione esecutiva. Preferendo trattenerlo accanto alla macchina del dire piuttosto che al suo prodotto. Contribuendo a rendere ancora più precaria la sua terra. Quasi un’assenza di fede nell’architettura verbale compiuta.
[…]
***
Non conoscevo Di Lieto, una poesia molto bella.
Letto con grande interesse.
Un autore tanto appartato, e fuori da qualsiasi gioco, quanto importante: uno degli snodi di più rilevante unicità e rigore nel panorama della poesia italiana dell’ultimo mezzo secolo. E i saggi, tutti di altissimo livello, contenuti nel volume degli “atti”, gli rendono pienamente giustizia. Più facile consigliarvi la lettura del libro che elencarli tutti.
Ciao, Nadia.
fm
Caro Francesco,
puoi indicarmi dove posso trovare il libro?
Un saluto
Nadia, puoi chiederlo direttamente alla rivista “Anterem”, presso le cui edizioni il libro è stato pubblicato. Trovi tutte le indicazioni sul loro sito, linkato qui di fianco.
Visto che ci sono, ne approfitto per fare un po’ di pubblicità “progresso”: ti/vi consiglio di fare l’abbonamento alla rivista: non solo si contribuisce a tenere in vita un’iniziativa culturale che da trent’anni fa un lavoro incredibile, al livello delle più prestigiose pubblicazioni europee del settore, ma si ricevono anche (gratis) i libri che l’editoriale pubblica nel corso della durata dell’abbonamento stesso.
Ciao, buona giornata.
fm
Ti ringrazio Francesco.
Un saluto
Francesco grazie per questo magnifico omaggio ad un poeta della mia terra, ma non solo.
Il Convegno, i cui Atti sono raccolti nel volume che hai presentato, è stato affascinante nel suo percorso sulla poesia italiana degli ultimi cinquant’anni e in cui Giannino Di Lieto, pur nel suo essere schivo , s’inserisce a pieno titolo. Il suo segno poetico, l'”architettura” linguistica ( per me quasi elicoidale),l’oralità come essenza primordiale che la percorre come una vena, ne fanno una voce formidabile della poesia dei nostri giorni.
grazie
lisa
Sì, Lisa: una voce formidabile, tutta da scoprire e conoscere.
Un caro saluto.
fm
C’era una cappella
nel mio giardino:
fra le macerie
una pisside d’argento
un bimbo
una serpe
il veleno del tempo.
Grande scoperta!…grazie a Stefano Guglielmin e al suo
interessante articolo…
http://golfedombre.blogspot.com/2012/03/giannino-di-lieto.html
E La Dimora si rivela ancora una volta un archivio
di perle!
Un saluto
mm
un grande autore, veramente. Bel post, mi era sfuggito :-)