“Böhmen liegt am Meer” di Ingeborg Bachmann nella traduzione di Davide Racca

boehmen1
(Anselm Kiefer, Böhmen liegt am Meer, 1995)

     Böhmen liegt am Meer

Sind hierorts Häuser grün, tret ich noch in ein Haus.
Sind hier die Brücken heil, geh ich auf gutem Grund.
Ist Liebesmüh in alle Zeit verloren, verlier ich sie hier gern.

Bin ich’s nicht, ist es einer, der ist so gut wie ich.

Grenzt hier ein Wort an mich, so laß ich’s grenzen.
Liegt Böhmen noch am Meer, glaub ich den Meeren wieder.
Und glaub ich noch ans Meer, so hoffe ich auf Land.

Bin ich’s, so ist’s ein jeder, der ist soviel wie ich.
Ich will nichts mehr für mich. Ich will zugrunde gehn.

Zugrund – das heißt zum Meer, dort find ich Böhmen wieder.
Zugrund gerichtet, wach ich ruhig auf.
Von Grund auf weiß ich jetzt, und ich bin unverloren.

Kommt her, ihr Böhmen alle, Seefahrer, Hafenhuren und Schiffe
unverankert. Wollt ihr nicht böhmisch sein, Illyrer, Veroneser,
und Venezianer alle. Spielt die Komödien, die lachen machen

Und die zum Weinen sind. Und irrt euch hundertmal,
wie ich mich irrte und Proben nie bestand,
doch hab ich sie bestanden, ein um das andre Mal.

Wie Böhmen sie bestand und eines schönen Tags
ans Meer begnadigt wurde und jetzt am Wasser liegt.

Ich grenz noch an ein Wort und an ein andres Land,
ich grenz, wie wenig auch an alles immer mehr,

ein Böhme, ein Vagant, der nichts hat, den nichts hält,
begabt nur noch, vom Meer, das strittig ist, Land meiner Wahl zu sehen.

 

     La Boemia giace nel mare

Verdi sono gli edifici in questo luogo, in una casa mi muovo ancora.
Intatti i ponti, vado in un suolo buono.
È fatica sprecata in tutto il tempo perduto, vorrei perderlo qui.

Non sono io, ma uno, buono come me.

Una parola mi confina qui, così la lascio confinare.
Nel mare giace ancora la Boemia, di nuovo credo al mare.
E ancora credo nel mare, così nella terra spero.

Sono io, come ognuno, tanto quanto me.
Non voglio niente più per me. Voglio naufragare.

Naufragare – vuol dire nel mare, lì dove di nuovo trovo la Boemia.
Cadere a picco e calma destarmi.
Dal suolo – ora so – non sono spersa.

Venite qui, voi boemi tutti, navigatori, puttane di porto e navi
disancorate. Non volete essere boemi, illiri, veronesi,
e veneziani tutti. Rappresentate le commedie che fanno ridere

e che per piangere sono. E sbagliate cento volte,
come sbaglio io – non superando mai le prove.
Eppure io una l’ho superata, ma d’altro segno.

Come la Boemia la superò e un bel giorno
nel mare fu graziata e ora nell’acqua giace.

Ancora confino con una parola e con un’altra terra,
io confino, anche poco magari, con tutti, sempre più,

un boemo, un viandante, che niente ha, che non trattiene,
che solo il mare – controverso – ha, mia terra d’elezione da guardare.

 

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NOTA

BOEHMEN LIEGT AM MEER fa parte di una seria di poesie degli anni ’60 che la Bachmann dedica alla città di Praga. Di questa poesia disse: “Für mich ist es ein Geschenk, und ich habe es nur weiterzugeben an alle anderen, die nicht aufgeben zu hoffen auf das Land ihrer Verheissung“ (“Per me è un regalo, che ho solamente per restituirlo agli altri, che non smettono di sperare in questa terra la sua promessa”).

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[Altre traduzioni della Bachmann qui e qui.]

 

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59 pensieri riguardo ““Böhmen liegt am Meer” di Ingeborg Bachmann nella traduzione di Davide Racca”

  1. Sind hierorts Häuser grün, tret ich noch in ein Haus.
    Sind hier die Brücken heil, geh ich auf gutem Grund.

    Verdi sono gli edifici in questo luogo, in una casa mi muovo ancora.
    Intatti i ponti, vado in un suolo buono.

    la traduzione lascia molto perplessi.

    l’inversione (sind hierorts…, tret ich…) significa “se… allora” come del resto si evince dalle successive inversioni seguite dal “so”
    treten seguito da un in + accusativo significa entrare, non muoversi,

    auf gutem Grund gehen significa camminare su un terreno saldo

  2. Cara “perplessa”, non ho tempo in questo momento per entrare nel merito delle tue “perplessità” (e magari lo farà l’autore della traduzione, che, ti assicuro, il tedesco lo conosce bene), ma mi permetto di chiederti: è così difficile fare le proprie osservazioni mettendoci un nome e dialogare tra persone che vogliono confrontarsi? Ma di cosa si ha paura? Siamo qui per discutere, immagino…

    Grazie comunque dei quesiti.

    fm

  3. puoi anche cancellare il commento, la perplessità voleva essere utile al traduttore, una volta arrivata può essere cassata

  4. E’ l’ultima cosa che farei, carissima, continuo a ritenere la critica, motivata, il sale dell’intelligenza. Il mio era un ottativo, non un imperativo.

    A più tardi.

    fm

  5. Sto rileggendo le poesie, e anche gli altri testi editi, dell’amatissima Bachmann.Ogni volta è ritrovare vie e ponti verso un luogo saldo che radica in continuo noi in noi.Quel mare in cui, naufraghi noi siamo sempre, per fortuna, e navignanti in rotta, secondo un disegno che non conosceremo mai,altra fortuna penso.
    Relativamente alla traduzione:penso che ogni traduttore si faccia parente dell’autore, ma resti egli stesso, scrivente o scrivano, un altro/a, cercando non solo nell’alfabeto o nella grammatica di ogni lingua,ma in quel luogo che, autore originario e traduttore, hanno percorso in sé, ricomponendo il viaggio. Ogni traduzione differisce da un’altra, proprio perchè il passo con cui si percorre, si attraversa l’altro risente in ogni caso della soggettività, implica sempre delle scelte. Ringrazio molto per questa proposta.ferni

  6. ma la grammatica è fatta per intenderci, poi si possono tastare i limiti del senso, se dico vado e il traduttore traduce volo, si passa dalla traduzione all’imitazione, cosa altrettanto degna, ma che risponde a un altro nome e a un’altra funzione.
    Ho letto “traduzione” di Davide Racca, avessi letto imitazione, o anche approssimazione traduttoria, avvicinamento o altro di simile, non avrei manifestato alcuna perplessità.
    Buon lavoro

  7. esiste una tra-duzione e una tra-dizione, eppure entrambi si fondano su un paradossale, forse anche para-normale, errore (erranza?) di credere con-vinta-mente che ciò che vedi-amo sia il me-de-simo luogo.Così in-tendo la parola.Poi, i tra-duttori,con-ducono al pascolo le pecore nere delle aste,chi legge, come lei, per-plessa, le in-tende secondo i propri archi ver(b)fali.fernanda.

  8. Perplessa, la mia perplessità mi dice che lei, nelle sue argomentazioni, ha pienamente ragione. al diciottesimo verso, inoltre, “ein um das andre Mal” non significa certo “ma d’altro segno” come invece ho tradotto – benchè quel Mal, mi ha spinto alla ragione del Mal-er (Pittore) – questo “segno” continuamente fatto con gli occhi, capace di significare nuovamente la realtà intorno (che mi risullti, il Mare non bagna la regione boema!). e, credo, troppo ho concesso al perplesso che vive in me traducendo il “Böhmen liegt am Meer” con “La Boemia giace nel mare”, perchè avrei voluto tradurre piuttosto “Nel mare sta il boemo” – facendo entrare il paesaggio nel corpo di chi lo calpesta da annegato. mi avrebbe restituito il senso di una traduzione che vive in me la propria metrica senza matrice. avrebbe staccato definitivamente il cordone ombelicale con l’origine. avrebbe concesso, forse, qualcosa di diverso, fuori l’ortodossìa, e il mero esercizio.

    Con questo non voglio offendere nessuno, e, anzi, auspico che ci siano più perpelssi, e che io non debba più intervenire “pro domo” mia, cose che non mi interessa.

    un saluto
    d

  9. arminio poesiologo in prestito al servizio di racca poeta in proprio al servizio di un altro poeta.
    gesto nobilissimo, non c’è altro da dire

  10. Caro Davide, ti ringrazio per l’intervento e ti anticipo che, a quanto posso immaginare, non sarà il tuo ultimo in questo thread.

    Mi permetto di invitarti, comunque, a considerare le “perplessità” sopra esposte non come il frutto di interventi estemporanei di una lettrice di passaggio, ma come “domande” lecite, alle cui spalle c’è una precisa idea e pratica di “traduzione” con la quale, sempre e comunque, bisogna fare i conti. Voglio dire: anch’io, non avessi conosciuto il tipo di operazione che stai facendo e di cui, in parte, hai dato conto anche qui (a questo proposito, avevo messo due links nel corpo del testo che rimandavano proprio a vecchie discussioni nel merito delle “tue” scelte), ti avrei molto probabilmente fatto le stesse domande, richiamando anche un altro passo preciso oltre a quelli già evidenziati.

    Il problema, allora, non è solo quello di giustificare teoricamente “scelte” già messe in pratica, ma anche interrogarsi sull’insieme delle dinamiche che interagiscono nel rapporto complesso con un testo poetico che si dà in un’altra lingua. Chi oserebbe muovere un appunto, ad esempio, alle versioni baudelaireiane di Prete e Celati presenti in questo blog? Un “purista” potrebbe anche storcere la bocca, ma ciò non toglie che quelle traduzioni sono di una bellezza unica, che Baudelaire, in quei testi, c’è tutto.

    Ora io credo che è proprio dal confronto con “perplessa”, e con qualche altro traduttore navigato che prima o poi arriverà, che possano venire degli spunti per consolidare non solo l’assetto teorico a cui si fa riferimento, ma anche l’approccio e la resa dei conti col testo in esame.

    A me, comunque, i tuoi lavori piacciono molto e, conoscendo per lunghissima frequentazione l’opera della Bachmann, credo che, in ogni caso, non ne alterino in nessun modo né lo spirito né la lettera.

    Ringrazio Perplessa, Fernanda, Franco e te per essere qui.

    Ritorno a (pallosissime) incombenze scolastiche.

    fm

  11. quando l’intenzione è chiara io non ho perplessità, accetto
    ero stata fuorviata dalla dicitura, traduzione, che per me consiste in alcuni passi necessari, che sintetizzo in: rigore filologico (nel quale includo la grammatica, e che per altro è sempre perfettibile, non si sa mai nulla definitivamente né completamente) interpretazione (ed è sempre soggettiva, ma non può essere arbitraria) e resa.

    @racca, non mi verrebbe mai in mente di offendermi, né a mia volta volevo offendere, mi viene da definire queste tue traduzioni piuttosto delle ri-creazioni, assolutamente lecite, lo avessi capito prima non avrei mostrato la mia perplessità

    @ferirosso ho delle perplessità:-) sul senso del commento.

    @marotta mi sono limitata a indicare le discrepanze dei primi due versi perché non volevo fare le pulci, quanto richiamare al testo originario.
    la pratica poetica, nella sua totale libertà, può nutrirsi dei testi e ridarli come vuole.

    Non sono una ammiratrice assoluta di Steiner, che quando parla di traduzione si trasforma in una specie di fondamentalista del testo originario, ma – operazioni poetiche a parte – di fronte a una pratica destinata a fallire (parlo di quella traduttoria) decidere di mandarla a monte in partenza mi può convincere solo se questa intenzione è detta chiaramente, adesso che è stata detta, ripeto, non ho obiezioni.

    Arminio scrive a difesa di Racca, ma non ce n’è bisogno, nessuno lo attacca.

  12. Ribadisco che la “Perplessa” ha ragione. Le sue osservazioni sui primi tre versi avrebbero potuto rendersi grammaticalmente nella maniera più consona, cioè con tre proposizioni correlative, dove protasi e apodosi stabiliscono ritmo e forma, perfezione quantitativa, e bellezza qualitativa. E poi sul singolo verbo (treten in+acc) ha ancora ragione… e poi ancora un altro suggerimento l’ho dato io, con Mal, qui di sopra. E poi ci sarebbe ancora da “errare”…

    E in realtà, ad un certo punto, il testo parla la tua voce, e allora lo dici come lo diresti tu, come lo hai sentito, come ti ha parlato. Come quando qualcuno ti dice una cosa che capisci quasi sempre fraintendendola, quando pensi di aver capito e non hai capito niente, quando hai interpretato un pensiero equivocandolo… Ma non si può equivocare il senso, e questo spero di non averlo fatto. Aspetto altri perplessi, come me.

  13. Non avevo letto il suo intervento, cara Perplessa. tutto chiaro, dunque, ma non credo che Franco, che saluto, sia intervenuto per “difendere” qualcuno da qualcuno!

    Le chiedo ancora: perchè la prassi traduttoria è destinata al fallire?

  14. @ racca
    Perché nel suo tentativo di arrivare al senso pieno del testo che indaga lo perde immancabilmente.
    Nella sua ostinazione a cercarlo c’è il suo splendore e nel suo perderlo c’è la sua miseria, potrei dire parafrasando infedelmente Ortega y Gasset.
    Senza il suo desiderio di fedeltà la traduzione non è niente, e qui vorrei citare anche Ricoeur, sia O y G che lui, ma anche altri, come Berman, hanno provato a rispondere a queste domande, mettendo in mostra la contraddizione di una pratica tanto mobile e sfuggente di fronte a ogni teorizzazione che tenti di costringerla in un corsetto normativo, comunque Ricoeur dice, tra l’altro, “Ma è proprio il lutto per la rinuncia alla traduzione assoluta a rendere possibile la felicità del tradurre.”
    La rinuncia alla traduzione assoluta viene dopo il tentativo di raggiungerla, e nel tentativo di raggiungerla, la pulsione alla fedeltà è fondamentale. Si sarà necessariamente infedeli dopo aver cercato di essere assolutamente fedeli.
    L’infedeltà non è una scelta, è il risultato di un percorso arduo e infelice, in questo sta il suo fallimento, rispetto all’assoluto della traduzione perfetta, ma anche certamente il suo risultato.
    Per questo diffido, nella prassi traduttoria, della troppo facile accettazione di questa impossibilità radicale, che senso avrà la mia infedeltà necessaria, se non avrò cercato di essere totalmente fedele?
    Il gioco facile non mi interessa:-)

  15. e mi dica, Perplessa, questa “infedeltà necessaria” – e mi pare di capire ineluttabile – non le sembra qualcosa di “insensato”? che senso ha essere fedeli fino all’infedeltà? che ci sia una intenzionalità, una premeditazione al tradimento?

    neanche a me piacciono le scorciatoie. e non mi piacciono i retropensieri. si è fedeli a qualcosa o a qualcuno solo quando si è veramente fedeli a se stessi. se si pensa che questa fedeltà sia già fedifraga, non ha senso nè la fedeltà nè ciò cui si è fedeli fino al tradimento.

    credo che più che questa categoria “fedeltà-infedeltà” , “tradurre-tradire”, ciò che per me conta sia il rapporto io-tu. dove, per dirla con Buber, il tu non è un esso, ma una relazione di senso.

  16. Uno scambio molto significativo: da Leonardo Bruni a Umberto Eco, passando per le teorizzazioni, soprattutto di area anglofona, di fine secolo scorso.

    fm

  17. @ racca

    non direi insensato, si cerca la traduzione perfetta e non la si trova, c’è un senso ben preciso in questo, l’infedeltà è inevitabile visto che le lingue pensano diversamente, eppure cerchiamo di farle pensare in consonanza pur sapendo che non è possibile, si è spinti dal desiderio sempre frustrato di perfezione, anche il rapporto io-tu è sempre frustrato, eppure è una relazione di senso, come il rapporto tra il testo e la sua traduzione

    poi ovviamente ognuno fa quel che gli pare e lo racconta anche come gli pare, ma il processo è sempre quello

  18. in ogni riga si aggira il NOSTRO occh’IO
    non è possibile gettarlo oltre, già il nostro cer-vello fa quest’insano gioco, ci illude alludendo che noi possiamo capire,afferrare e domare, portare in casa nostra, ciò che la soma di una parola, da un’altra lingua sopportata ci mostra,è sempre e comunque quell’io, in cento o in mille mo(n)di travestito che conduce. Grazie a tutti,fernanda

  19. Credo che qualsiasi tentativo, criticamente fondato, di spostare oltre i confini di una disciplina, laddove è frutto di studio, di ipotesi, di confronto, di rielaborazione dell’esistente (i.e. della tradizione e della dottrina prodotta in materia), vada seguito con attenzione, perché è dal vaglio delle realizzazioni concrete e dei loro presupposti che può nascere quella spinta all’oltranza che è il fuoco segreto di ogni fare (poièin) nel campo dell’arte.

    L’esigenza è particolarmente avvertita nel campo della traduzione poetica, dove, a prescindere da qualsiasi altra considerazione, gli equivoci da sciogliere preliminarmente riguardano tutti, in modo diretto o indiretto, la necessità di ritenere, finalmente, che la “versione” è ben altro che un “oggetto” secondario e succedaneo rispetto all’originale. E’ solo dall’accumulo (e dalla comparazione) di esperienze concrete che può scaturire quell’insieme complesso che determina una (necessariamente prima) formalizzazione degli statuti di autonomia della prassi traduttologia.

    E’ chiaro che sto dando per scontata la piena padronanza, da parte del facitore, della lingua originale e di quella di approdo, con tutto il carico che nel termine “lingua” facciamo rientrare, per convenzione, per convinzione e per ineludibile e vincolante necessità.

    fm

  20. tradurre poesia è una delle cose più difficili per un traduttore, bisogna non solo avere la massima padronanza di lingua madre e lingua passiva, un’ottima conoscenza delle tecniche e degli stratagemmi stilistici e metrici propri della poesia, un particolare senso del ritmo (non della cantilena) … , ma bisogna soprattutto possedere la capacità – direi quasi innata – di penetrare il senso di ogni singolo termine per riplasmarlo dal “source text into the target one”…
    e questo generalmente è in grado di farlo non un semplice (seppur bravissimo) traduttore, ma un “traduttore/scrittore”… che possegga anche una buona dose di folle coraggio.

    ottima la traduzione qui presentata, proprio in virtù di quanto detto.

  21. Ecco il testo e la traduzione (di Luigi Reitani)

    Ingeborg BACHMANN – Anrufung Des Großen Bären

    Großer Bär, komm herab, zottige Nacht,
    Wolkenpelztier mit den alten Augen,
    Sternenaugen,
    durch das Dickicht brechen schimmernd
    deine Pfoten mit den Krallen,
    Sternenkrallen,
    wachsam halten wir die Herden,
    doch gebannt von dir, und mißtrauen
    deinen müden Flanken und den scharfen
    halbentblößten Zähnen,
    alter Bär.

    Ein Zapfen: eure Welt.
    Ihr: die Schuppen dran.
    Ich treib sie, roll sie
    von den Tannen im Anfang
    zu den Tannen am Ende,
    schnaub sie an, prüf sie im Maul
    und pack zu mit den Tatzen.

    Fürchtet euch oder fürchtet euch nicht!
    Zahlt in den Klingelbeutel und gebt
    dem blinden Mann ein gutes Wort,
    daß er den Bären an der Leine halt.
    Und würzt die Lämmer gut.

    ‘s könnt sein, daß dieser Bär
    sich losreißt, nicht mehr droht
    und alle Zapfen jagt, die von den Tannen
    gefallen sind, den großen, geflügelten,
    die aus dem Paradiese stürzten.

    *

    Ingeborg BACHMANN – Invocazione all’Orsa Maggiore

    Scendi, Orsa Maggiore, notte arruffata,
    fiera dal manto di nubi, dagli antichi occhi,
    stelle occhi,
    nella macchia affondano, scintillanti,
    le tue zampe con gli artigli,
    stelle artigli,
    vigili noi pascoliamo gli armenti,
    pur da te ammaliati, e diffidiamo
    dei tuoi fianchi sfiniti, degli aguzzi
    denti dischiusi,
    vecchia orsa.

    Un cono di pigna: il vostro mondo.
    Voi: le sue squame.
    Dagli abeti dell’inizio
    agli abeti della fine
    la rivolto, la sbalzo,
    l’annuso, ne saggio il sapore
    e l’abbranco.

    Temete o non temete!
    Gettate l’obolo nella borsa,
    all’uomo cieco una buona parola,
    perché tenga l’orsa al guinzaglio.
    E condite gli agnelli di spezie.

    Potrebbe quest’orsa
    liberarsi, non più minacciando,
    incalzando ogni pigna, dagli abeti
    caduta, maestosi abeti alati,
    precipitati dal paradiso.

    fm

  22. Buon giorno a tutti, e grazie a Francesco per le riflessioni sempre puntuali e precise, Fernirosso e Natalia per essere intervenute, e la Perplessa che mi ha dato molto da pensare e ripensare… e non è poco!
    d

  23. Se qui sono verdi le case, in una casa entro ancora.
    Se qui sono integri i ponti, cammino su suolo sicuro.
    Se in ogni tempo pena d’amore è perduta, qui contenta la perdo.

  24. Scene III. Bohemia. A desert Country near the Sea.

    Enter Antigonus, with the Child; and a Mariner.

    Ant. Thou art perfect then, our ship hath touch`d upon The deserts of Bohemia?

  25. Liebe nur Gott in alle Zeit! So wirst du erlangen die himmlische Freude

    Se le pene d’amor sono perdute sempre, le perdo volentieri.

  26. Love’s Labours Lost = Verlorene Liebesmüh = Pene d’amor perdute

    Ist Liebesmüh in alle Zeit verloren, verlier ich sie hier gern. = Se le pene d’amor sono perdute sempre, qui le perdo volentieri. ≠ È fatica sprecata in tutto il tempo perduto, vorrei perderlo qui.

  27. ergo… un notevole esempio di come la poesia possa essere significativa (per il singolo, lettore, traduttore) anche quando – per un motivo o per un altro – notevoli porzioni di informazione (esatta: culturale) vengono mutilate? o pure…?

    lorenzo

  28. Caro Lorenzo, sinceramente non vedo nessuna “mutilazione” (se è a una “sottrazione di senso” che ti riferisci: magari ho interpretato male).

    Non sono db, o la signora perplessa, ma un po’ di tedesco lo mastico: le loro osservazioni, da studiosi e praticanti della “materia”, sono tutte pertinentissime; resta la constatazione che, alla luce di quanto affermato, anche celebrate traduzioni di poeti tedeschi del Novecento (alcune dei veri e propri “classici”) andrebbero, a questo punto, se non rivisitate, almeno ridimensionate. Qualcuno, che conosce la lingua, ha dato per caso un’occhiata (è solo un esempio, il primo che mi viene, spero non sia frainteso) all’immenso lavoro dedicato da Michele Ranchetti al corpus degli inediti di Celan? E, dove andrebbero messe (altro esempio, v.s.) le prime traduzioni di Rilke, opera di valentissimi studiosi?

    Io credo che l’ “azzardo”, quando è condotto con padronanza e supportato da strumenti adeguati, finisce, comunque, per aggiungere una chiave “risonante” al mazzo delle interpretazioni di un testo.

    fm

  29. lorenzo, come dobbiamo spiegartelo che quella di racca più che una traduzione è un’imitazione? (e più che à la leopardi è à la Noschese?)

  30. perché le traduzioni di Pintor andrebbero ridimensionate? – immagino ti riferissi soprattutto a quelle – certo ormai sono state storicizzate, e inquadrate criticamente, come è giusto, ed è stato fatto, per esempio da Fortini nella prefazione all’ed einaudiana del ’63.
    Pintor dice di sé di aver tradotto liberamente e “arbitrariamente”, ma se si va a vedere di quale arbitrio si tratti è un arbitrio ben marginale e sempre pieno di una sua distinguibile e forte ragione.
    Quelle traduzioni sono strettamente intrecciate alla storia della nostra cultura e sempre in un colloquio critico con il linguaggio poetico del loro tempo, anche per contrasto.

  31. @ perplessa

    I miei esempi, volutamente (e retoricamente) paradossali, volevano proprio affermare ciò che ribadisci con forza. Non a caso, poi, parlavo di “classici”, con le virgolette a voler significare e attestare un “di più” anche rispetto alla tradizione e alla storicizzazione. E il di più è un plusvalore di natura affettiva ed etico-politica, visto che su quei testi, e su quegli autori, mi sono formato, nelle loro pagine ho piantato le mie radici.

    Ma proprio quello che dici a proposito delle traduzioni di Pintor (“un arbitrio sempre pieno di una sua distinguibile e forte ragione”; “colloquio critico con il linguaggio… anche per contrasto”), mi spinge a guardare con estrema attenzione ogni tentativo in questa direzione, soprattutto quando viene da giovani scrittori e poeti che hanno già dato ampie prove, non solo in merito alla loro preparazione e alla volontà di metterla costantemente e criticamente in discussione, ma anche in quello di produzioni autonome di sicuro valore.

    Resta inteso che quel “ogni tentativo” non è assoluto, ma ben circoscritto all’interno di quanto dicevo (la conditio sine qua non) in un precedente intervento.

    Resta inteso anche (va da sé) che è sempre un grande piacere dialogare con te.

    Buona giornata a tutti.

    fm

  32. gentile db, credo che lei non abbia capito bene la mia domanda. per quanto riguarda la mia domanda è infatti indifferente che si tratti di una “traduzione” o di una “imitazione”.

    francesco, con “mutilazione” sì intendevo proprio una “sottrazione di senso”. non vedo come si possa negare che avvenga una sottrazione di senso quando si omette di rendere in italiano un riferimento esplicito di un verso a un’opera di shakespeare. è un dato di fatto che si perde una certa quantità di informazione. io mi chiedevo soltanto: quanto resiste la poesia a queste mutilazioni? secondo me tanto (perché l’informazione contenuta nel riferimento al titolo love’s labour’s lost non si esaurisce nell’uso – magari modernista – della citazione, ma è connessa a molte altre informazioni). secondo me la poesia è una delle forme che resistono meglio a queste mutilazioni. solo questo volevo dire. ma sono impressioni superficiali, da passare al vaglio.

    ciao,
    lorenzo carlucci

  33. Io davo per scontato, invece (ed è un errore), che chiunque legga “Böhmen liegt am Meer”, sappia (come ben sanno db, perplessa e Racca) che il riferimento a Shakespeare ne rappresenta l’imprescindibile cornice metatestuale (e non solo).

    Forse era il caso di chiedersi a quale altra (possibile) domanda di senso rispondesse, in Racca, quella apparente “omissione”…

    Trovo comunque molto interessante la tua “considerazione interrogante”.

    Ciao.

    fm

  34. la poesia – in originale – è lì. la sua “scoperta” – in altra lingua – può avvenire anche per vie “apocrife”.

  35. per restare alla poesia, una sottrazione di senso a un testo ha una sua funzione se ne nasce altro senso in un altro testo
    per restare alla traduzione, una sottrazione di senso, anche se è inevitabile, è un danno al testo originale
    si possono separare questi due campi nel contesto di questo post?
    se li separiamo, almeno per chiarezza, e io tendo a farlo, la differenza tra traduzione e imitazione di db non è indifferente
    cambia decisamente l’intenzione, o la postura, se preferite

    La storia della traduzione ci mostra un Dante che traduce letteralmente e un Brunetto Latini che lo fa in misura assai minore
    per chi non lo conoscesse, il piccolo libro di Folena, Volgarizzare e tradurre, piccolo solo per numero di pagine, è illuminante, anche per non radicalizzare i contrasti, ma per accogliere le posizioni differenti, quando sono fondate
    Resta fondamentale, a mio avviso, il lavoro di Berman, di cui trascrivo una pagina, sperando di non annoiare, dal paragrafo intitolato “La dimensione etica”:

    Ma allora, in che consiste l’obiettivo “ultimo” della traduzione? Quello che dà il suo senso alla comunicazione (culturale) che essa pure è? Quello che, inoltre, fonda tale comunicazione?
    Questo obietivo più profondo, l’abbiamo detto sopra, è triplice: è etico, è poetico, è -in un certo senso- “filosofico”. Filosofico nella misura in cui vi è nella traduzione (lo vedremo con Hölderlin) un certo rapporto con la verità.
    Per il momento teniamoci a quello che chiameremo l’obiettivo etico. A proposito della traduzione, si parla sempre di fedeltà e esattezza. Sono due termini fondamentali, due Grundwörter che designano l’esperienza della traduzione. Due parole cariche di senso e di storia, soprattutto se si pensa che due grandissimi poeti ne hanno fatto rispettivamente le virtù poetiche per eccellenza: Hölderlin per la fedeltà, Rilke per l’esattezza, la Genauigkeit. Fedeltà e esattezza rimandano entrambe a un certo contegno dell’uomo di fronte a se stesso, ad altri, al mondo e all’esistenza. E alo stesso modo, certamente, di fronte a testi. Nel suo ambito, il traduttore è posseduto dallo spirito di fedeltà e di esattezza. E’ la sua passione, ed è una passione etica, non letteraria o estetica. …”

    (Sono saltati i corsivi, ma mi pare che funzioni comunque). Mi fermo, ma questa pagina di Berman è secondo me alla base di ogni degno lavoro di traduzione, quello che pavento, in genere, anche per un paio di commenti un po’ lirici che ho letto qui sopra, è uno spontaneismo superficiale e “creativo”. “Creatività” è una parola che bisognerebbe bandire per un po’, come “un momentino” o assolutamente sì”:-) perché riacquisti valore.

  36. il riferimento drammaturgico era chiaro. mi pareva. la citazione di Shakespeare non mi interessava ridestarla nella “versione”. piuttosto – e lo ripeto per i non lettori – mi interessava far emergere la condizione dell’annegato in terra, la metafora viva dell’inabissato, in quel punto di nascita e morte che è l’acqua.

  37. Ist Liebesmüh in alle Zeit verloren
    È fatica sprecata in tutto il tempo perduto

    l’amore non c’è più, perduta risulta la zeit…

    una volta mi feci una sedia da me; mancandole 2 gambe, ci rimisi l’osso sacro

  38. @ perplessa

    Grazie per Berman (un po’ me lo aspettavo).
    Posso assicurarti, comunque, che se trovo un commento con “un momentino” o “assolutamente sì” li trancio di netto, senza pietà, col “delete”. “Creatività” no, però: teniamoci almeno l’illusione che possiamo possederne anche solo in minimissima parte ;)

    @ db

    Ma poi ti sei ripreso dalla “botta”?

    fm

  39. Davide, come avrai capito, db ti perdona tutto tranne il “Liebesmüh”.

    Pensa cosa succederà quando, prossimamente, pubblicherò delle “traduzioni” di uno dei suoi grandi “amori”. Altro che sedia! Sarà costretto a pagare un killer per farmi gambizzare (o “manizzare”?).

    fm

  40. “amor” non c’è più, resta la “fatica”… “vergebliche” che non c’è… ma lo preferisco all’amor

    una volta feci una sedia senza legno né chiodi, né metro né martello. ero stanchissimo, e lo sono ancora, visto che non ho una sedia ora.

  41. @marotta

    spero anch’io che ne possediamo un po’ tutti, è che nel discorso a volte si riduce a un orpello, con gran sfarfallio di ego vari e spontaneità appunto “creativa”, come se i poeti non lavorassero accanitamente:-)

  42. Carissima, sono convinto che dalla marea “sfarfalleggiante” e “spontaneista” che ci sommerge sia possibile, di tanto in tanto, trarre a riva qualche piccola gemma inattesa, o strappare ai flutti un baule dal quale estrarre, con emozione, qualche pagina dimenticata, di quelle che non dovrebbero mai essere rinchiuse. Più che una convinzione è una speranza (Bloch è, per me, una vera “persecuzione”): l’unica che, *per il momento*, mi tiene ancora al di qua dal premere il tasto con cui una nostra conoscenza ha messo la parola fine (purtroppo!!) a una certa esperienza in rete…

    Vi saluto, vado a raccogliere la figliolanza.

    fm

  43. insomma, diciamo che più che una traduzione è un’imitazione, e più che un’imitazione un’invenzione (tipo il coltello senza lama cui manca il manico)

  44. Ti conviene depositare il brevetto prima che te lo rùbino, db.
    Gli utili li dividi con me e Racca, ad ogni buon conto.

    fm

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