Viola Amarelli – Note su Micame di Livio Borriello.
Mappa
cercare una parola biologica, che sia puro attrito dei neuroni col mondo – bisogna rendere le parole incandescenti, bisogna farne affiorare ciò che le eccede, l’incomprensibile – cercare il punto dell’io in cui la realtà mi attraversa – il tuo corpo è solo il segnale indebolito, degradato, di qualcosa di remoto a cui cerco di risalire – bisogna aspirare a una certa disumanità, quello che manca è una costruzione dell’uomo come cosa non umana – eros, avventura della tattilità; la meraviglia di un’altra corporeità, come la nostra, oltre la nostra – queste parole sono semplicemente le mie posture nel mondo – attraverso quel movimento impossibile che è l’identità, è possibile forse spostarsi – la passione ci lacera, e ci lascia esposti a qualcosa di non psicologico, di non linguistico – io sono questa cosa invisibile, nascosta dietro di me, che coincide con ogni punto del mondo – ora il mondo è stato un trasalimento della luce – tutta la nostra logica è un sistema tautologico che non può darci conto di ciò che siamo – la scrittura è una specie di fuoriuscita di corpo per schiacciamento, come la polpa degli insetti – nel folle ci spaventa l’abisso di ciò che non siamo, nel criminale quello di ciò che siamo – potremmo essere meccanismi addestrati a eseguire un io – dio ci ha fatto a sua immagine e somiglianza, tranne i contorni – muovendomi nel mondo che si muove, procedo a spirale – il corpo che prega, è il corpo che non può più prendere il mondo – l’io è sempre un presagio e una traccia – tutto fa leggermente pressione fuori di sé.
(Da: Micame di Livio Borriello, Napoli, Edizioni OrientexPress, 2008)
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E’ già nel titolo, apparentemente ludico, che s’inscrive la fabula del libro di Livio Borriello: Micame è una cartografia, un diario di bordo, un referto clinico sull’identità, un esperimento, condotto direttamente in corpore vili, sul concetto di “sé”. Ascrivendosi consapevolmente alla tradizione dei trattati e degli essais, l’opera s’apre con una “mappa” che ne riepiloga versi e quasi-proposizioni, sintagmi e neuroni, segnali di segni, e si conclude con una ricostruzione ex post delle procedure e dei risultati, quasi a mimare la struttura tipica di un report scientifico giocato tutto – peraltro – sullo scandaglio del corpo e della scrittura. E di fatto, ruotando la prospettiva, Micame è anche la narrazione di un io-non io alla ricerca di senso e realtà, delle sue lotte, speranze e raggelate paure, un libro che nel fallimento *teoretico*, nella misantropia-misoginia da moralista del 1600, nell’etica dell’inevitabile sconfitta, concentra e condensa una altissima qualità della scrittura.
La forma aforistica e la struttura diaristica si palesano illusorie e ingannevoli: la scelta rapsodica ma soprattutto il ritmo, la spezzettatura, le ricorrenti figurazioni simboliche, tracciano una prosa poetica che segue con cura attentissima, aderendovi e distanziandosene, il tracciato del’encefalogramma descritto. La necessità di una parola autentica, per dirla alla Borriello, passa infatti per un lavoro obbligatoriamente rigoroso di resezione e di intarsi, di crudo e di secco che sia fedele al compito etico di chirurgia interiore qui assegnato alla letteratura (cercare una parola biologica che sia puro attrito dei neuroni col mondo).
Micame parte dall’inafferabilità empirica di qualcosa che possa autodefinirsi un sé (potremmo essere meccanismi addestrati a eseguire un io), delineando in una dinamica liquida di corpi e molecole un percorso a metà tra l’advaita mistico (dove il “chi/cosa sono io?” dei Veda riecheggia potente) e il materialismo atomistico lucreziano, ma il vero nume teorico è, in sottotraccia, Merleau-Ponty con la sua fenomenologia della percezione. Così la registrazione percettiva di piani, superfici, pelli, sguardi, albumine flocculanti che si intersecano in curvature momentanee di spazio-tempo sostanzia la natura liquida e perturbante della scrittura che viene a coincidere con quella del mondo. Il susseguirsi di *vuoti* in continuo disfarsi e ricoagularsi (i corpi si sgranano, si disgregano, si alleggeriscono.. la violenta compiutezza delle forme che passano per il mondo) costituisce il leitmotiv del libro e, nel contempo, la parabola, proprio in senso geometrico, dell’io oggettuale narrante.
La tensione mistica è particolarmente evidente nelle prime tre sezioni del libro, con lo stupore misto a paura di chi scopre confondersi i limiti, le demarcazioni tra sé e le “cose” circostanti, in un processo di disidentificazione che, apparentemente cieco e nullificante (collassando io mi degrado e decompongo nell’albumina informe di cui sono fatte le cose; l’emulsione inerte che è il mondo), rivela a tratti aperture di piena adesione all’ogni cosa, momenti, lampi, di estasi (disseminare pollini//banchise di sentimenti (di felicità) galleggianti//altissima velocità delle cose). I land mark di cieli, uccelli, nuvole, azzurri, ametiste, stati onirici si susseguono a segnare il desiderio di fuoriuscita da un io (tutto questo, lasciarlo e così scavalcarsi, e precipitare oltre sé) verso una penetrazione vitalistica del *tutto* e l’impossibilità raggelata di riuscirvi. L’Altro, infatti, riappare inquietante e diverso nella Donna, in un eros che è trabordo di sé, incomprensibile, con la sciamana (titolo della terza sezione) che viene quasi invocata come varco, guarigione, eppure al tempo stesso (auto)negata come illusione fallita.
Il rientro nell’io – che coincide con il ritorno al pensiero, alle categorie giudicanti e definitorie – è decisamente marcato nella sezione del “Foglio-mondo”, la parte più politica dell’opera con la denuncia dell’ “umano”, nelle sue attuali derive mediatiche e spiritualiste, che assume toni di misantropia tanto più acuti (questa melma degli umani, l’umanità tende alla vermità e non viceversa) quanto più tradite appaiono le responsabilità etiche singole e collettive. Ed è la consapevolezza dell’io, pur imperfetta e fragilissima (e noi siamo ad ogni istante bambini piccoli che giocano), che resta alla fine àncora e porto del periplo compiuto con l’unica bussola della scrittura: la poesia è un’altra densità delle cose.
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“Micame parte dall’inafferabilità empirica di qualcosa che possa autodefinirsi un sé (potremmo essere meccanismi addestrati a eseguire un io), delineando in una dinamica liquida di corpi e molecole un percorso a metà tra l’advaita mistico (dove il “chi/cosa sono io?” dei Veda riecheggia potente) e il materialismo atomistico lucreziano, ma il vero nume teorico è, in sottotraccia, Merleau-Ponty con la sua fenomenologia della percezione.”
Recensione che invoglia a leggere il libro.
Grazie Viola.
E grazie Francesco.
Un libro da leggere, Nadia. Assolutamente.
Appena possibile vedrò di postarne qualche pagina.
fm
complienti VIOLA per la lucidissa recensione. il mio amico livio ha scritto un libro che è una miniera.
mille grazie a tutti, in primis a Francesco che ci ospita e sì, il libro di Borriello è dvvero bello); !!! Viola
anche se questo giro di commenti sa un po’ di salamelecchi, ringrazio marotta dell’ospitalità, viola amarelli del penetrante articolo, e i commentatori. manderò a breve a marotta un paio di paginette che possano dare un’idea del libro, e soddisfare chi sia stato incuriosito dal pezzo di viola.
per chi poi volesse (putacaso!) acquistarlo, è anche in versione pdf sul sito di oxp
Grazie a tutti.
Livio, mi sa che devi rassegnarti: in fatto di salamelecchi, la prossima volta andrà anche “peggio”. E la ragione è semplice: il libro è veramente bello, un magnifico “dispositivo” di ecologia dello spirito.
Un caro saluto.
fm