Stelle inseguitrici

Attinge dall’aria il gracchiare dei lampi
l’espandersi lento di nervi e striature
esplosioni in cui sai di non essere tu
l’innocente e il chiamato, la furia che
macina e scioglie e in puntini accecanti
sembra discutere nubi e maltempo.

 

Giorgio Bonacini, Stelle inseguitrici
(sei poesie con tre disegni di Alberta Pellacani)

 

Quando tutto si è oscurato regna l’illuminazione
senza luce che certe parole annunciano.

(Maurice Blanchot)

E la notte brilla, intelligente e nera.
(Velimir Chlebnikov)

 

        Che cosa sappiamo della profondità
        delle stelle che non sia rabbia e luce
        nero e buio caduti in se stessi o attrazioni
        di roccia, spaventi?

        Traghettano pagine indimenticate
        alberi d’acqua nella desolazione invitante
        di un oltredestino e anzitempo…

 

 

*

 

Stelle di parole irriducibili
convincono la notte come niente

 

Sono stelle componibili di fosforo
e di carta: stelle al muro illuminate
disponibili a indicare nell’immane sodalizio
di un tumulto il genio in lotta con il vento
o in mezzo al sonno a congelare.

Ma la luce, che indirizza giù nell’intimo
il suo punto di cattura, non ricorda
non fa male: è una scheggia tra la pelle
qualche linea, colpi sordi recidivi
che raggiungono la vista e forse il cuore.

Così il cielo, inimitabile, portandole
le uccide: con l’ardore di chi sa tutto
di nuvole e di mare, di boati disadorni
suoni scuri come quelli che riducono
nel niente anche la terra e l’irreale.

Sono stelle bianche e nane, stelle rosse
desolate, divorate dalla luce e ritornate
stelle nuove, senza mani: stelle gialle
azzurre e nude dentro sguardi incontrollati
nebulosi, zigzaganti come sciami.

 

*

 

Quando gli alberi si stancano di dare
siamo noi a contemplarli nel respiro

 

Le foglie: il martirio di tutte le foglie
è un perché inaccessibile e duro: qualcosa
che addensa nei tronchi, un groviglio di rami
che restano lì a ricordarci di un altro
che parla e dispera, e concede a chi pensa
una grandine accesa e una spenta.

Ma noi, indecidibili e affranti
sgranati da un filo di vento, pensiamo
a ingoiare un respiro dovuto all’inverno
e alle foglie: il dolore di tutte le foglie
in un volto smarrito, sfollato, perduto
nel tempo e il ricordo infangato.

Così è contemplare, così è impallidire
pensando a una goccia che va inoffensiva
a bagnare più in là, dove è stanca
di prendere, avvolgere e dare: e conosce
da sempre l’ipotesi assurda
di un bosco di nuvole oppresse dal mare.

Eppure un odore atmosferico e lieve
è concesso alle foglie: l’inganno in cui
tutte le foglie resistono al tutto di un tronco
isolato, legato a una strenua corteccia
che sembra davvero inventare pensieri
che sono più alberi a volte degli alberi veri.

 

*

 

Ecco il suo dolore
si capisce dal risorgere di un vento che non suona

 

L’inizio sembra perdersi o piegarsi
inavvertito sul tuo fianco: come l’aria
quando cede un po’ di azzurro e perde peso
sente il fiato dei richiami e lo difende
lo concentra in un attacco di pudore.

Così il passo lo capisci dall’esempio
di un ricordo senza fine, mutilato:
l’andamento zoppicante, il ritmo scuro
la pazienza di una nuvola che scende
lampeggiante verso i margini del mare.

Eppure l’aria, che ha portato un’esattezza
all’invasione del silenzio, ti riceve:
tocca soffi e intonazioni, paradigmi
che rivelano una voce irriverente
mai piegata, nata scritta e consegnata.

 

 

*

 

La poesia scritta per essere una pietra
freddo e luce in un avviso

 

Niente e nessuna poesia: né poetica
persa o esiliata o trovata ad offendere
i bordi di un marmo di ghiaccio: esaltata
per niente e nessuno, un taglio per ciò
che in se stessa resiste e in un altro consuma.

Nemmeno se avessi poesie da grattare
su un duro di pietra, potrei sollevare
o costringere al tuffo chissà quali idee
di pronomi virtuali, contesi da un forse
in balìa di un tormento o in poesie come se.

Ma il linguaggio, l’errore, il dolore
ossessivo che cede d’inverno, ci porta
a conoscere un dono nel buio che scoppia:
e a riprendere fiato, a una nuova visione
di roccia abbattuta, di sabbia ingannata.

Allora poesia nel disagio, poesia nel contagio
poesia in ciò che lascia e distrugge: e non
chiama nessuno, non canta, ci inonda
e ci attacca, e raccoglie nel dubbio una sola
mania: derubiamo, scriviamo, è poesia.

 

*

 

Il lampo del dissenso
l’incredibile mania di rivelare ciò che siamo

 

Devi essere un raggio infuocato
una sferza di vento, un’ala spezzata
con forza sapiente e gettata a osservare
se ciò che distilla ha un’ampiezza
irrisoria, un rimando all’indietro
o un esiguo spezzone all’incuria di sé.

Attinge dall’aria il gracchiare dei lampi
l’espandersi lento di nervi e striature
esplosioni in cui sai di non essere tu
l’innocente e il chiamato, la furia che
macina e scioglie e in puntini accecanti
sembra discutere nubi e maltempo.

E così vedi accendersi il cielo: pulito
dall’aria quel tanto che basta per renderlo
fatuo, nasconderlo al vento, spostarlo
riempirlo con l’acqua di un’ultima
scena di gocce di pioggia: non troppo
bagnate, non troppo esigenti o create.

 

*

 

Corpi sminuiti e resistenze
sembra il sintomo di un forse eccezionale

 

In tutto era ridotto a poca cosa
e a poco gli serviva il vandalismo
delle lacrime: la scena in cui l’immagine
istantanea si concentra, chiede spazio
segna il ritmo in due parole e impoverisce.

Non è facile passare inosservati:
collaudare l’atrofia ferma dell’aria
e in un secondo respirare: sovvertire
l’insorgenza di un malore, scardinare
l’attenzione e dire tutto: salutare.

Così rimuginava, scivolava, attraversava
refrattario i luoghi nudi o sillabati:
invalido alla forza del decollo
condensato in una goccia di fastidio
una pronuncia ferma e surreale.

Ma il suo fare esiste senza: sminuito
immotivato, registrato da un torpore
che contamina e costringe, e addensa
l’ombra di una vita in un insieme
di valanghe che non c’è.

 

 

***

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29 pensieri riguardo “Stelle inseguitrici”

  1. Grazie Liliana, per l’apprezzamento. Queste stelle fanno parte di un ciclo in continuo movimento, che ancora non si decide (dopo anni di viaggi da una pagina all’altra) a trovare forma e sostanza definitie.

    Un caro ringraziamento anche a Francesco, per la sensibilità e la disponibilità.

    Giorgio Bonacini

  2. E infatti, Giorgio, ero proprio curioso di sapere cosa è cambiato, nell’elaborazione complessiva delle “Stelle”, dai primi testi che ho letto (più o meno una decina di anni fa) a quelli odierni.

    Ciao, un saluto a te e a Liliana.

    fm

  3. Complessi, ma leggeri (e leggiadri), articolati , ma, a modo loro, semplici, questi raffinati versi.
    Una sapiente distillazione linguistica, davvero.
    Bravo Giorgio!

  4. Poesie di Giorgio. Un appuntamento da non perdere. Ogni volta ci ritrovo una pacatezza e un respiro che mi fanno, per un attimo, come dice Alessandro, “sostare”, qualsiasi cosa io faccia. Sostare in un tempo reale e bello, generato proprio da questi versi. Sempre più inconfondibili. Ciao, Marco

  5. Belle davvero, queste poesie di Bonacini, con un’attenzione al linguaggio davvero esemplare. Un rigore formale (vedi strutturazione strofica) che tuttavia non inficia le impennate liriche di questa poesia in movimento, in luminescenza “siderale”. I testi rivelano una sorprendente fluidità espressiva; si respira in essi una musicalità che avvolge il lettore, in forza anche dei dodecasillabi, versi – come noto – fortemente ritmati, “declamatori” e componenti ampie volute musicali (che mi ricordano un po’ Pavese di “Lavorare stanca”), per effetto dei frequenti e bellissimi enjambement che il poeta usa con abilità nell’architettare le grandiose cornici sceniche della sua poesia.
    Riporto, allora come esempio, l’ampia onda ritmica di questi versi che ho trovati davvero suggestivi :

    “per niente e nessuno, un taglio per ciò
    che in se stessa resiste e in un altro consuma.
    Nemmeno se avessi poesie da grattare
    su un duro di pietra, potrei sollevare
    o costringere al tuffo chissà quali idee
    di pronomi virtuali, contesi da un forse
    in balìa di un tormento o in poesie come se.
    Ma il linguaggio, l’errore, il dolore
    ossessivo che cede d’inverno, ci porta
    a conoscere un dono nel buio che scoppia”

    Complimenti, Giorgio e un saluto a te, caro Francesco.
    Daniele Santoro

  6. un grazie partecipe e sentito a giorgio per le sue ‘visioni stellari’ davvero coinvolgenti – per visionarietà e sapienza – in cui l’elemento naturale, quello umano e quello metapoetico si fondono con grande spontanea eleganza.
    un saluto da
    roberto

  7. Ringrazio davvero tutti per le belle parole e le analisi attente. Come ho detto sono poesie (la raccolta ne comprende 30) che non trovano pace. La prima stesura risale a 12 o 13 anni fa. Alcune (in forma diversa)hanno poi trovato casa, nel 2000, sulle pagine dell’antologia Anterem “Verso l’inizio”; poi alcuni anni dopo (in altra forma) su un numero di Anterem; poi (ma non le ho ancora viste) credo sull’ultimo numero de “Le voci della luna”, ora qui. I disegni sono una mia leggera rielaborazione dei tanti che Alberta ha fatto per questi versi.
    Non so perché, ma ogni volta che le rileggo, sento che manca qualcosa o che c’è qualcosa in più; sento che la lingua non è ancora nel suo spazio e nel suo tempo. L’apprezzamento vostro, però, mi conforta e mi fa pensare che vale la pena continuare a scriverle fino a quando…

    Un abbraccio.
    Giorgio

  8. Sapiente uso delle parole, sapiente intreccio tra le stesse, sfoggio di conoscenza, raffinatezze ma ben pochi trarranno significati dai testi, eccetto coloro che fanno parte, come mostrano i commenti, di una ristretta cerchia di amici e conoscenti.Mi rattrista il fatto che la gente non apprenderà nulla da siffatti
    e anche preziosi esercizi.Ovviamente esprimo il massimo rispetto per l’autore e per chi commenta.

    1. Gli “amici e conoscenti” sono, prima di tutto, dei lettori attenti, ai quali il senso e il valore di una scrittura del genere è chiaro dall’origine ed è indipendente dal grado di parentela con l’autore. Non ci vuole molto, infatti, per trarre qualcosa da “siffatti e anche preziosi esercizi”: basta pensare che la poesia abita in luoghi distanti, lontanissimi dagli scaffali delle librerie.

      Cordialità.

      fm

  9. Ti prego, continua. Evviva il perfezionismo ( a patto non sia “castrante” ma solo una tensione “en avant” ).Leggerti è sempre un grandissimo piacere. Già mi sono bastati i tuoi primi versi in corsivo”Che cosa sappiamo della profondità /delle stelle che non sia rabbia e luce…ecc/
    per dirmi che avrei voluto scriverli io.
    Il tema stellare-umano- minerale è un tema che mi tocca molto da vicino(già un po’ attraversato in un mio libro). ma non mi hanno così colpito solo per questo motivo,ovviamente.
    a presto
    lucetta

  10. Ciao Lucetta.

    Fuori dall’esercizio che costringe la parola a farsi forma e a declinare l’alfabeto metamorfico della sua esistenza in quanto tale, la poesia è ben poca cosa.

    fm

  11. a Sandro Vivan, solo una domanda: chi è “la gente”?

    Giuseppe Billanovich, in una delle lezioni che ho avuto la fortuna di frequentare poco prima del 1989 (che se non ricordo male fu l’anno del suo pensionamento, oltre che del noto crollo del Muro), sosteneva che in tutta la Polonia il regime comunista aveva lasciato sopravvivere solo 4 studiosi di filologia romanza, ma che questo sarebbe stato il grimaldello di una grande rivoluzione

    ora se da qualche parte anche in Italia sopravvivono luoghi dove pochi addetti ai lavori tengono esercitate le loro preziose competenze (non senza sacrificio di tempo ed energie), oso sperare che prima o poi il fenomeno contribuirà a portarci fuori da quest’epoca buia e opprimente, dove un arrogante populismo ha fatto della sua vicinanza “al cuore della gente” una delle colonne portanti del suo feroce saccheggio

    (scusa Francesco per questo mio OT)

  12. Non ho scritto che amici e conoscenti non sono lettori attenti.Ho scritto che sono i soli a trarre significati dai testi e che la stragrande maggioranza
    delle persone non è in grado di comprenderli. Non ho parlato di grado di parentela con l’autore.
    E’ vero che la poesia, sovente, abita in luoghi distanti, lontani dagli scaffali delle librerie. A me piacerebbe che potesse abitare nella mente e nel cuore dei più, dopo essere stata letta e capita.
    Il riferimento del signor Bertasa alla politica non mi pare pertinente. Peraltro convengo che il lavoro” di pochi addetti” possa favorire, nella società, l’inizio di una palingenesi.
    Esprimo nuovamente rispetto per l’autore e per chi commenta.Ringrazio per l’ospitalità e saluto
    con cordialità.

  13. Caro Sandro Vivan, l’incomprensione è uno degli effetti della comunicazione via video, che, azzerando il tono della voce, non permette di cogliere, molto spesso, l’intenzionalità del messaggio.

    Sei un ospite gradito ogni volta che avrai voglia di passare da queste parti.

    fm

  14. Il tema o problema della presunta “oscurità” della poesia è un argomento antico. Per alcuni la poesia si deve “capire” per altri si deve “sentire”, per altri ancora qualcosa d’altro, e ognuno è fermo a quella propria parzialissima “verità”. Ma il senso della poesia non sta, credo, nella sua facilità o difficoltà di lettura, ma nella capacità della parola (la materia della poesia è la parola, così come il colore è materia della pittura, i materiali plasmabili della scultura, il suono della musica, ecc.) di uscire dal pensiero e dalle sue manifestazioni (felicità, dolore, conoscenza, emozioni, sentimento, sogno…) con una voce che sia il suono fondante e vitale, con forma e sostanza, di una scrittura vera, di intrattenibile sforzo e leggerezza, che spacchi il reale per reinterpretarne i segni e le fatiche. Alla fine per vivere e non far morire. Perché (è stato detto, e ogni poeta lo sa, anche inconsciamente,) la poesia non ha il compito di svelare o di nascondere, ma di indicare… Poi tutto dipende dal nostro sguardo, che non è uno, ma molteplice, indefinito…
    Ecco, questo è il mio punto di vista, ma ben vengano (e non sarebbe nemmeno da dire) le opinioni più diverse.

    Un carissimo saluto a tutti.
    Giorgio

  15. Gentile Giorgio, quando suono, poco e con modestia il pianoforte, mi accade di piangere. Quando leggo una poesia vorrei commuovermi e vorrei si commuovessero anche i miei simili.
    Cordialità.

  16. Gentile Sandro, Le assicuro che sono un soggetto facile alla commozione di fronte a certe opere d’arte, da Beethoven a Monet, magari non fino al quoziente patologico della Sindrome di Stendhal, ma la via è quella

    una volta leggendo in pubblico “Incontro” dell’oscuro e coriaceo Montale mi si spezzò la voce e faticai non poco ad arrivare fino in fondo

    poi un amico mi passò un manualetto di scrittura creativa, dove appresi con quali trucchi si può provocare commozione nel lettore, allora iniziai ad insospettirmi

    anche perché ritrovai gli stessi trucchi in decine di prodotti artistici d’entertainement, che alimentano l’industria culturale odierna

    ovvio che non riesco a non metterla in politica, se vivo in un paese dove il potere politico coincide con chi gestisce la produzione di buona parte dell’entertainement, e che ci piglia pure per i fondelli urlando davanti alle telecamere che gli spezzerebbe le ossa a chi ha pubblicato “Gomorra”, facendoci così dimenticare che Mondadori è in mano alla sua famiglia
    (vabbe’, ma questa è un’altra storia, è che quando si tira in ballo “la gente” con toni più o meno consapevolmente populistici, mi comporto come lo zolfo accanto alle scintille, mi perdoni per la veemenza e sappia che ho stima profonda di quanti come Lei sostengono poetiche tese all’immediatezza del linguaggio, alla ricerca di un lettore “non iniziato”, ecc. e penso in questo momento a due amici, preziosi lettori e autori, che frequentano questo e altri siti, Silvia Monti e Francesco Tomada, ma provi anche a leggere di qualche giorno addietro, se non le è già accaduto, su questo blog il post che presenta una recente produzione di Fabio Franzin

    è che la grandezza di una poetica “popolare” è tale se non si contrappone ideologicamente ad altre poetiche che per loro intime necessità non si prefiggono la costruzione di vie d’accesso, ma di cunicoli sotterranei disagevoli e maleolenti, oppure di arabeschi linguistici che tendono allo stato solido dei ghiacciai perenni, oppure…

    se è vero com’è vero che la risposta emotiva è un prezioso indicatore del proprio rapporto personale con l’opera d’arte, è pur vero che anche l’assenza di emozione indica un transito di significati, tant’è che secondo Ananda Coomaraswamy, storico dell’arte dello Sri Lanka († 1947) e significativo rappresentante del pensiero estetico orientale, è proprio il conseguimento dello stadio inerte dei moti emotivi a rappresentare il sommo grado dell’opera d’arte, perché è da quello stadio che necessariamente transitano tutte le altre emozioni

  17. Poesia intimista, delle radici, della natura, lamenti d’amore, lamenti civili.
    Molteplici sono i temi della poesia, così come innumerevoli sono i modi per esprimerla e consegnarla, prima a se stessi, poi ai lettori.

    La prima cosa che ho fatto, leggendo questi testi, sempre a voce alta, è stata quella di alzare gli occhi al cielo e dire…finalmente un cielo stellare!
    Troppo abituata a scavare nel sottobosco personale, trovo questa poesia, non solo diversa e particolare, ma anche espressa con un buon andamento ritmico e versi che davvero muovono lo sgrado altrove.

    con un caro saluto

    jolanda

  18. Sto imparando a conoscervi e tanto mi infonde coraggio. Mi piacerebbe farvi leggere un mio componimento che tratta del viaggio di Colombo verso l’America.E’ frutto della mia fantasia. E’ composto di 31 terzine con versi endecasillabi e
    scimmiotta il grande Dante Alighieri quanto a rime.
    Sento di abusare della vostra pazienza, tuttavia nutro la speranza di essere accolto. Grazie in ogni caso e vive cordialità.
    PS.Potrei eventualmente riportare qui il testo?

  19. Ho postato” In navigazione verso l’America con Cristoforo Colombo” nella bacheca. Spero di non aver commesso errori nel postarlo. Comprendo l’impegno che grava su di lei,dott.Marotta, e perciò non chiedo nulla che possa disturbarla gravemente.Invero, se vorrà rispondermi, lo faccia con tutta comodità. Essendo io settantatreenne mi permetto di abbracciarla e di pregarla di salutare i signori con cui ho dialogato. Grazie

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