Contratto a termine

Luca Ariano

La percezione netta e inequivocabile dell’esistente come terreno dove si consuma, oggi ancora più che in altre epoche, uno scontro senza requie e senza ritorno tra la memoria, che resiste stretta alle radici valoriali che in essa affondano e in essa trovano ancora linfa, e un presente senza storia che spiana, come un rullo omologante fatto di congegni coercitivi e di rituali vuoti, deprivati di sostanza e di voce, ogni persistenza di senso e ogni proiezione verso un futuro a misura di speranza, è il quadro di riferimento entro il quale si colloca e dal quale si dispiega tutto il percorso poetico di Luca Ariano. È una scrittura animata e sorretta da una profonda ragione etica, sapientemente giocata nell’alveo di consapevoli e marcati registri antiretorici, capace di penetrare con l’insistenza e il paziente lavoro sotterraneo di un fiume carsico, seguendo soltanto la mappa interiore di ben meditate traiettorie di pensiero, nella dimensione del quotidiano, in cerca del frammento fuori quadro, magari di una parola, di un volto, di un gesto superstite refrattari alla dissolvenza nel nulla di comunicazione che contraddistingue l’insieme dei rapporti reificati nei quali siamo immersi – e di farne, con naturale coinvolgimento e disposizione all’ascolto, il punto di accensione che fa esplodere la maschera delle convenzioni e della assuefazione alle logiche del vuoto, della disperazione e dell’effimero elevate al rango di categorie dell’esserci. Disincrostando metodicamente il suo verso da tutto ciò che fa da ostacolo alla restituzione di un dire che lega uomini e cose in un’unica vicenda e un unico sentire, dove l’interazione non azzera differenze ma esalta la diversità che ci parla dal cuore di altri alfabeti, il poeta diventa testimone di una metamorfosi che lo coinvolge a misura della radicalità del suo sguardo – voce e vocazione civile, misura di tutto quanto vive, custode e restauratore di ciò che ancora si agita sotto traccia e resiste tenacemente, anche sul punto di scomparire per sempre dal quadrante delle stagioni e dell’umano. Poesia di recupero e testimonianza, dunque: di un mondo sommerso senza il quale la vita, in tutte le sue forme, diventa niente più che uno specchio opaco che rimanda solo gesti abitudinari, suoni disarticolati di marionette senza libertà e senza respiro, che calcano, ignare, il palcoscenico di giorni tutti uguali, trascinandosi come una catena le false convinzioni di un miraggio, la prigione invisibile e opprimente della loro resa. (fm)

 

Luca Ariano, Contratto a termine, prefazione di Francesco Marotta, Pavia, FarePoesia Edizioni, “Poesie e Realtà”, 2010.

 

Testi

 

        Transazione

Sulla Via Emilia

Di cancelli serrati, di ciminiere
spente – ma senza viaggiare
troppo lontano: per sentire
il sapore delle zanzare sulla pelle
e il calore umido del riso.
Tra parrucconi aristocratici con
quelle erre che frustano le orecchie
e graffiano le corde, mentre lo sguardo
delle rughe si scalda nel bicchiere

– e lassù abbiamo combattuto…
… per Libertà! Non avevamo teschi
spillati su spalle nere a rastrellare
anche il pianto, le preghiere di madri

Oggi festeggi. Ancora nelle vene
e sulle labbra ti accompagna ancora
il ricordo dei biscotti allo zenzero
e al cardamomo, che volevi danzare…

Non si sono incrociate le finestre
e ti porti sulla Via Emilia una lunga
discussione da film,
col nome uscito da un cartone,
in un’aria di neve che domani
impasterà le strade.

 

Miraggio

Frugare nella spezieria, fra moriscos
e zampognari, per risentire
il sapore di quel bacio da sposa
in Via Cimarosa
appena il cielo si svestiva della notte
– si mischiano le carte per trovare quali dadi
trarre e le tue preghiere questa volta
non sono servite. I tuoi consigli
per cavare quei versi e plasmare
la dura pietra, lì in stazione.

E deve essere caduta la stagione
di camminare senza stringersi per mano:
i passi si fanno grevi, le parole
centellinate come un sorso di Dolcetto,
la dedica adolescente, nei pomeriggi
tra il Parco Ducale e le vetrine con Alice:
ancora ignoravi il suo nome.

Ora in centosessanta caratteri
hai lasciato sgroppare l’abbraccio
tardivo, lo schiocco delle labbra
(che il treno dai finestrini battezza nel miraggio
che al crepuscolo filtri un pizzico di luce sulle
pupille).

 

Bambini

Bambini pedalano ai primi rossori,
gli ultimi rimasti sulla via
e tu ritrovi quei pochi minuti di ricreazione
in cortile: l’immensa fantasia
di giochi tra terra ed erba
ora sono visi eroinati nel parcheggio
del cimitero su una vecchia peugeot.
Si rasano i prati spulciati da merli
e i tuoi capelli cadono sulle zampe
d’un cane che assalta il tremore
delle ginocchia:
in un altro iper di sabato pomeriggio
confondi il luccichio delle vetrate
al trillo d’una tasca, ai nuovi corpi
già spogliati di primavera.
L’Andrea si strafogherà in qualche bettola
di bestemmie per un’altra mano calata male
«Diu bel!» e il confronto tra Dio e Destino
nella preghiera delle sue pupille
«Se avrei vinto…» mentre ancora ansimi
per respirarlo
sbattendo le imposte.

 

Panorama

Quel vostro bacio sfrontato
in quell’atmosfera di fine galà
si sperde nell’aria putrida;
eccoli quei fili d’ossa che s’agitano
– paiono Gollum – dove s’annida
il tarlo del panico, un tempo fiorenti.
Sale il sapore ancora caldo di ricotta
e marmellata, dal vaso di gerani
stagnano zanze e mentre la madre
chiama la sua Bea – identici occhi di neve
che si squaglieranno,
ritorna alla mente il Peppino, l’ultimo
ranat, spazzato una sera sul suo Garelli
da un furgoncino della sip;
l’estate era già di sedie sulla strada:
la Carolina, l’altro Peppino, la Manuela
che già usciva col suo moroso, il Claudio
… lo avresti fatto anche tu –
E sei invece lì a consumare una rapida
carciofa da Pepè, mentre lui lieto
con la preghiera in petto ritorna
da Santa Cristina.
In un panorama che gela le tonsille
distribuisci versi in quella quiete ambrata
come tuo nonno sparse scarpe
con la tomaia ancora calda di colla.

 

La strada che da Abbiategrasso

La strada che da Abbiategrasso
va sino a Pavia passando per Motta
e Bereguardo, gomiti e risaie
e cartelli divelti,
un contadino raccoglie i suoi coppi:
– la tromba dell’altra sera
dove non c’è più la mezza stagione –
Lì per una laurea, forse l’ultima
mentre si chiude una porta e si sente
solo un brusio di fumo;
la candela smoccolata non brucia più
sulla pelle ancora fresca
e già hai messo virgole, punti e virgole
e punti alla fine della frase,
proprio quando sul colle infinito
si agita il bastone con un volto d’eremita.
Di nuovo puoi sentire oli e vernici
di botteghe tra Borgo Tommasini
e via Nazario Sauro.

 

Trent’anni dopo

L’hai chiamata in quelle torride
sere la pioggia
ed ora è arrivata a scrosciare
sulle strade allagando cantine.
Ti hanno ritrovato quei capelli di lago
sorsi di sorrisi da versare
sulla tazza di petto:
sono tutte belle le donne,
e lo dici – appoggiato
ad una colonna pavese –
deglutendo boccate di fumo
o cavando dal fango ruote impantanate
in un’avida camporella.
Si squaglia il mascara sull’autostrada
e il tuo pezzo di cartone
è ormai buono solo come carta da bagno,
volto da emigrante del ventunesimo secolo.
Trent’anni dopo non puoi non pensare
a quel cuore scoppiato, spappolato fegato
nella cassa schiacciata,
negli istanti fracassati del corsaro
all’Idroscalo di Ostia:
le parole non erano ancora profezie
solo per i ciechi
ogni giorno muore un poeta.

 

        Nuovi contratti

Dal mare sono arrivati guidati da Hasting

Dal mare sono arrivati guidati da Hasting
e di Luni non sono rimaste che rovine:
funzionari corrotti e ultime scintille
di una civiltà e quelle preghiere
del vescovo trucidate in piazza.
Ronny – ma forse non è questo il suo nome –
anche oggi si scòfana bistecca di cavallo
e maccheroni al ragù; un’altra giornata
di muscoli in palestra e belle signore
annoiate a lisciargli la barba incolta
da fotomodello. Forse la racconterà al bar.
Teresa luccica come i detriti sulla spiaggia
quando le ruspe spianano la sabbia
e si raccolgono i rifiuti di mano turista.
Lui stringe quella conchiglia e dal faro
nemmeno se lo immagina quante navi hanno visto.
Pietro se le ricordava bene le torture
della Banda Koch – in viale Romagna;
vent’anni dopo in una sera di dolce vita romana,
s’è gettato dalle scale di un casermone
da boom economico tirato su
come erbaccia di campo.

 

Dell’Emilio – professore precario

Dell’Emilio – professore precario –
non si parlava da un po’
quasi a dimenticarsi del Pino – suo padre –
che con una gamba sola
l’ha fatto studiare per non fargli spazzare le strade.
Questa sera il concerto non l’ha emozionato,
non s’è potuto crogiolare in tristi canzoni
anni Settanta
– quelle stagioni di medicine e crisi
le ha seppellite – e non gli rimane
che fumare una sigaretta e ridere alle stesse
battute confuse nei suoi abiti autunnali.
La domenica un quadro ottocentesco,
di quelli della borghesia in crisi,
sull’orlo della Grande Guerra: osservando
mura scrostate e cornicioni
pericolanti si sente quasi soffocare,
lui che sognava di farsi chiamare professore
in quelle aule secolari.

 

Quelle ferite sui polsi sono forse acido

Quelle ferite sui polsi sono forse acido
per i creduloni, per drogare paure nell’illusione
che le stagioni sono infinite,
di poter ancora vedere il susino in fiore.
Emilio cammina nella casba del Paesone
dove ai tempi di Lucio s’affittava ai giargianesi,
dove le pale del mulino macinavano
farina per pane e polenta;
questa sera magari vedrà l’Enrico che lavora
come un cinese per pagare debiti non suoi
e certo – in quelle notti a studiare
non si immaginava vicoli bui e sporchi.
Ancora si baloccherà per strappare un sì
ad una biondina, per sentire ancora una volta
il profumo del pesco nell’orto.
Teresa quasi si perde nella grande casa
e il rumore del mare è un malinconico sciabordio
perché la testa già varca i Pirenei
e il sorriso è di luminarie natalizie tutto l’anno.
Silvio – detto Ilgigi – a trent’anni pareva
più vecchio di suo padre settantenne,
forse perché il borgo è demodé
come i suoi maglioni…
«Non fare tardi prima che scenda la nebbia»
è forse solo un uomo di Lomellina.

 

Il Grigio, vinta la sua battaglia a scacchi

Il Grigio, vinta la sua battaglia a scacchi,
in quei forzieri che traversano regioni,
muove pedine.
Non è poi così lontano il tintinnio di Borodino,
le truppe vittoriose oltre le mura
nel gelido odore di paglia bruciata.
L’Andrea è ormai l’esperto di Logge
e nel Paesone si riderà anche un po’ d’invidia
al bar, a vederlo l’attimo d’un canale.
L’Enrico tra pioggia e nevischio quasi si perde
in quella banlieue piemontese – lì
dove il nome papale è rimasto indelebile,
dove il Comandante Valerio
scappò clandestino: lui che si dice abbia sparato
l’ultimo colpo sulla testa del Duce.
Una domenica ogni tanto, quando il rovaio
non secca sorrisi, il professor Emilio
sente il profumo dell’erba
e il rumore di tacchetti, quasi a svegliarlo
dalla routine, da compiti da correggere.
Teresa già da un mese prepara
la valigia troppo piccola, sorprese
lunghe un inverno da sorseggiare al tepore;
lui forse senza saperlo,
è il protagonista: d’una poesia:
le rose non basta coltivarle a maggio
ma tutto l’anno anche in mattine di brina.

 

***

45 pensieri riguardo “Contratto a termine”

  1. Ringrazio vivamente Francesco, prima di tutto per la sua splendida prefazione, poi per avere ancora una volta ospitato le mie poesie e aver pubblicato in anteprima l’uscita di “Contratto a termine” per le edizioni Farepoesia.

    Un caro saluto

  2. letto proprio oggi il libro. mi sembra che Luca, sin dagli esordi, cerchi una scrittura che potrebbe far pensare a una poesia sociale (o come la si voglia chiamare). allora diviene -anche- utile la lettura della prefazione di Francesco, quando sottolinea l’aspetto etico dei/nei versi di Luca Ariano. ‘vocazione civile’ dice fm, e certo di ciò si tratta.
    la lettura si intreccia tra ‘ricordi-memoria’ e gesto poetico, così da farne un libro di sicuro valore. Luca, in questa raccolta, porta avanti il ‘discorso’ di una poesia ‘urgente’ tra personaggi e accadimenti e risvolti e luoghi dove il poetico è sempre presente.
    un libro davvero ben costruito e sentito, in cui emozione e reazione smascherano le “logiche del vuoto” (fm).
    complimenti!

    un abbraccio

  3. Luca Ariano, che stimo da tempo, anche come persona, ha la grande capacità di apporre una cerniera etica fra le cesure della nostra storia; i suoi personaggi, lo si sente subito, sono prima di tutto persone che offrono il dono mai banale di una saggezza ferita. A lui, alla sua raccolta, auguro ogni bene, non solo perché è un poeta molto attento, ma perché di poesia come la sua ne abbiamo sempre più bisogno.
    p.s. anch’io non credo molto alla poesia cosiddetta “civile”, vero è, però, che quando è supportata da un animo davvero civile, si fa i conti solo con la poesia, il più è l’offerta a quel bisogno di cui sopra.
    Con affetto. Fabio F.

  4. Cari Alessandro e Fabio, grazie davvero per le belle parole sulla mia raccolta. Mi emozionate molto. Penso che avete centrato appiene la mia poetica o almeno la direzione che tento di prendere.Sapete la mia stima umana e poetica nei vostri confronti – può sembrare piaggeria ma i diretti interessati lo sanno – e forse per questo vi sento così vicini, sentite così vicina la mia raccolta.
    Spero di rivedervi presto così da poter scambiare quattro chiacchiere dal vivo e da potervi dare il cartaceo della raccolta.
    Sicuramente ci vedremo alla presentazione di “Pro/Testo” e di “Vicino alle nubi sulla montagna crollata” e qui proseguiremo insieme il discorso “civile” che so esservi molto a cuore.

    Un caro saluto

  5. Grazie Natalia! Lo so che i nomi sono simili ma è stata pura casualità, l’editore è Farepoesia di Pavia, non Fara Editore di Rimini. Puoi ordinarlo direttamente a Tito Truglia, è lui il deus ex machina, l’email la dovresti trovare tra quelle di Pro/Testo ma se hai dei problemi scrivimi che ti giro tutti i dati. Grazie mille, sei la PRIMA che ordina il libro e, appena ci si vede, ti offro da bere.

    Un caro saluto

  6. Chiederò a Tito, caro Luca!
    Che belle.. con questo snodo molto visivo, anche, che dalla via Emilia, a me così intima, come da un nastro alla Tondelli, srotola fino ad altre pianure – lombarde, altri visi, parlate, linguaggio – che si spianano in narrazione dolce.
    Altri poeti, in questo periodo leggo, che con intonazione diversa, magari visionaria, come Zanzotto, cantano un mondo in sparizione, o metamorfosi,
    che ci cammina a lato, turbando le nostre certezze, mischiando ricordo e paesaggio alle mutazioni più inconsuete, rese familiari dalla verità che (ne ) racconti, caro Luca!
    MPQ

  7. Sì, Natalia, ci vedremo sicuramente a quella presentazione che citavo prima! Idem con te Maria Pia, se potrai, ti scrivo presto così ti spiego un po’.
    Grazie per il tuo commento puntuale e preciso, so che mi leggi sempre con piacere! Che coincidenza: sto rileggendo in questi giorni in Meridiano di Zanzotto, poeta straordinario che, a tratti, sento affine, anche se ovviamente lui è Zanzotto, abbiamo stili diversi e non mi sognerei mai di accostarmi a lui. Anche tu noto che lo ami come me!Abbiamo cose in comune.

    Un caro saluto e a presto

  8. Che testi belli, tesi e vivi, così ancorati anche geograficamente al reale, senza scorciatoie. Quello che c’è da dire è tutto qui, pane al pane.
    Giù il cappello, ammirato.
    Complimenti a te, Luca, e un abbraccio a fm di cuore come sempre.

    Francesco t.

  9. Grazie Francesco per i tuoi complimenti, mi lusingano e grazie per esserti soffermato e per la tua sensibilità. Lo ribadisco spesso: poeti che leggono poesia non sono così numerosi per cui quando ne trovo – come qui – per me è sempre un piacere scambiare pareri e confrontarmi.

    Un caro saluto

  10. trovo che queste poesie siano il frutto maturo di un percorso non breve: ora hanno raggiunto l’equilibrio tra forma e sostanza, che prima cercavi.

    vorrei chiedere a Luca di chiarire la forza ideologica dei valori resistenziali. mi spiego meglio: dopo aver letto Fenoglio, i partigiani smettono di essere santini. rimangono i valori per cui hanno combattuto e qualche grande partigiano, uomo o donna non cambia. quei valori che hanno fondato la repubblica italiana. proprio quella che ora è in crisi di rappresentanza. c’è dunque una continuità storica ben ricostruibile. insomma, per dirla in breve: trasformare la memoria in tempo mitico, contrapposto ad un presente caduco, non è un’operazione ingenua?

    con affetto

  11. Caro Stefano, grazie per quello che scrivi sulle mie poesie e il mio percorso. Nella raccolta ci sono figure di partigiani legate al loro tempo: mi spiego meglio. Io faccio parlare loro così come li ho sentiti e ascoltati in questi anni, per loro la Resistenza è spesso legata ad un passato mitico, alla giovinezza, in questo, in alcuni c’è un ingenuo candore proprio come dici tu, il senso era davvero quello. In altre poesie faccio parlare partigiani che davvero credevano alla Rivoluzione, ecc.
    Diciamo che distanza di sessant’anni cerco di vedere quel periodo con una certa obiettività e distacco (gioco forza, non avendo io fatto la Resistenza è avendo parenti che l’hanno fatta) ma per me rimane fondamentale come valore portante della nostra democrazia e della nostra Costituzione. Concordo appieno con il saggio di Pavone che parla di 3 guerre e per primo usa il termine “guerra civile”.
    Io, in queste poesie, cerco di dare voce senza emettere giudizi, mi interessa la loro psicologia, il loro pensiero, a tratti cerco di essere un narratore super partes anche se il mio parere si potrebbe intuire.
    Un caro saluto

  12. Complimenti a Luca per questo nuovo libro (non raccolta) che speriamo abbia la giusta divulgazione e presenza per quanto, ahimé, consentono le sorti librarie. Volevo aggiungere solo due cose al dibattito: al di là delle puntualissime osservazioni di poetica e di valore fatte sull’autore, che non posso non condividere.
    1) Quando si parla di poesia neo-civile (le etichette sono sempre utili, mercantilmente fruttuose e poeticamente lacunose, soprattutto con i prefissi) se ne parla non per sottolineare una continuità con la poesia civile degli anni ’70, ma per evidenziare una differenza temporale e poetica. I poeti come Ariano non scrivono per sottendere un’ideologia a un linguaggio, tanto che è in loro assente ogni esagerazione paroliera e narcisistica nella decostruzione di sensi, frasi, versi come negli ideodromi delle neo-avanguardie; scrivono per recuperare un rapporto diretto tra comunità e poesia. Per questo il padre della poesia neo-civile italiana è Pagliarani, che là in mezzo stava più per motivi d’amicizia che di poetica.
    2) Da qui lo sforzo di Ariano di fare un libro. Non tanto un personaggio unico che carichi su di sé tutta l’identificazione sociale d’un tempo e d’uno spazio come la Milano di Pagliarani; non un centro narrativo del libro che soddisfi e concretizzi le carnali esigenze di un’idea. Ma un rapporto continuo che lega e contemporaneamente disunisce: un rapporto tra figure.

    In definitiva, credo che l’uso della tematica civile, e di un linguaggio ad essa consono, in Ariano risponda al tentativo di ricostruire un terreno comune in cui possano incontrarsi poesia e lettore moderno.

    Guido Mattia Gallerani

  13. Caro Guido, grazie per la tua disamina che è una vera e propria recensione in pillole che potrebbe benissimo essere scritta per una rivista o una noticina. So che mi leggi da un po’ quindi conosci appieno il mio percorso, la mia poetica o almeno quello che tento di fare. Ci sono sempre mille intenti, idee, progetti, il difficile poi è cercare di tradurli in qualche cosa di concreto.
    Grazie per la sottolineatura a libro, in effetti il progetto è stato proprio così, come per Bitume d’intorno del 2005. Diciamo che questo è il primo Capitolo di un romanzo in versi che sto scrivendo dai oramai cinque anni, per ora proseguo coi miei personaggi, vediamo fino a quando me la sento di seguire la loro evuluzione, le loro esistenze nella società attuale.
    Pagliarani sai che è tra i miei maestri, tra i poeti che più mi hanno influenzato in questa raccolta, in effetti è stata una lettura tardiva, l’ho approfondito solo da cinque sei anni appunto. Gli altri maestri sono gli stessi presente in Bitume d’intorno

    Un caro saluto

  14. non voglio offendere nessuno, ma definirla poesia antiretorica mi pare un po’ eccessivo. molti versi mi lasciano alquanto perplesso, condizionati da una cadenza prosastica neppure tra le più riuscite. un’etica di provincia che poco aggiunge alla complessità del nostro tempo. Insomma, penso che la poesia sia un’altra cosa, e questo sito ce lo ha più volte dimostrato con molte ottime proposte.

  15. Non mi offendo assolutamente, mi piace confrontarmi e accetto sempre le critiche, soprattutto se costruttive. Ecco, mi sarebbe piaciuto Aureliano ti fossi firmato con il tuo vero nome e cognome, nel bene e nel male io ci metto la mia faccia, anche sbagliando.
    Io vengo dalla provincia, descrivo il mondo di provincia che vivo quotidianamente, non ho mai avuto la pretesa con la mia poesia di dimostrare la complessità del tempo presente, mi limito ad esprimere un mio punto di vista, il resto lo lascio a storici, sociologi, econimisti, ecc.
    Hai ragione, questo sito ha postato grandissimi poeti e non solo e questo mi spinge a cercare sempre di migliorarmi, nei miei limiti umani. Ci mancherebbe.

    Un caro saluto

  16. Complimenti, Luca, ho apprezzato in questi versi una parola matura e la ricchezza del suo humus, in cui convivono memorie e prospettive storiche e gesti e situazioni di un presente riconoscibilissimo. E in bocca al lupo al libro.

  17. “Io vengo dalla provincia, descrivo il mondo di provincia che vivo quotidianamente”. è questo il punto. farsi sopraffare da una visione particolare dal respiro corto, che evita il confronto con la complessità del reale attraverso il linguaggio. compito che non spetta solamente agli storici, agli economisti o agli scienziati, come tu dici, ma alla poesia in quanto strumento di disvelamento della realtà, vedi zanzotto da te citato.

    Non critico la tua poesia in particolare, ma un modello che ha preso piede da un po’ di anni a questa parte e che viene spacciato per poesia civile, etica, ma sostanzialmente priva di slancio, di enigmaticità, orizzontale nel suo procedere prosastico. Insomma, per finire, una poesia avvoltolata nella pretesa di testimoniare il presente senza disvelarlo, ma semplicemente raccontandolo, dal mio punto di vista è morta in partenza. Dico questo riconoscendo nel tuo lavoro grande passione e sincerità d’intenti. ma a volte non basta. grazie

  18. Grazie Giorgio, mi fa molto piacere il tuo apprezzamento e sono contento Stefano di essere riuscito a farmi capire. Il discorso è molto complesso e mi ci vorrebbe più spazio che le poche righe che permettono la replica di un commento. Spero ci siano anche occasioni dal vivo per affrontare meglio l’argomento. Come hai potuto notare la storia mi affascina molto. Non sono certo uno storico ma adoro leggere saggi storici, quando riesco tra un libro di poesia e un romanzo.

    Non ho mai osato paragonarmi a Zanzotto, di poeti così ne nascono pochi un un secolo, parafrasando Moravia. Non voglio essere pedante ma non mi piace discutere, confrontarmi con chi si firma e non rimane anonimo dietro un nome qualunque.
    Tutte critiche condivisibili, per carità, ma dette anonimamente, paiono le scritte sui muri che il giorno dopo una mano di bianco cancella.

    Un caro saluto

  19. Poesia dei luoghi e delle persone che li abitano, poesia della storia dolorosa fatta dalle donne e dagli uomini comuni. I luoghi mi sono estranei Abbiategrasso, Pavia, Via Cimarosa, Via Emilia, e così anche le persone che vi gravitano attorno, che ci vivono o che ci hanno vissuto ma leggendo faccio mia l’esperienza. Ho letto delle storie in poesia in uno stile suo e riconoscibile, uno stile, concreto ed equilibrato, che mi ha molto convinto e che mi ha fatto piacere leggere e assaporare come s’assapora un film neorealista. Complimenti e tanta fortuna. Ciao antonella

  20. Grazie Antonella, mi fa davvero piacere le mie poesie ti abbiano lasciato qualcosa. Cerco sempre, nei limiti del possibile e dei miei limiti, di dare un effetto cinematografico, come se stessi girando un film neorealista, periodo del cinema che più amo e che ha influenzato molto, così come i film di Chaplin o le commedie di Eduardo. Mi fermo qui sennò non finisco più con le mie passioni. Ci sentiamo presto per quella presentazione di Vicino alle nubi citata sopra. Non sta a me poi fare “l’esegesi” dei miei versi.

    Un caro saluto

  21. Credo sia ingiusto dire che una poesia come quella di Luca – o di chi compie operazioni in certa misura paragonabili alla sua – sia “morta in partenza”. Innanzitutto bisogna mettersi d’accordo su cosa significhi “confrontarsi con il reale in tutta la sua complessità”. Che la complessità ci sia, credo siamo in molti ad affermarlo. Ma come può la poesia affrontarla? Quali i suoi strumenti? E in che senso intendere questo “disvelamento”? Non ci siamo abituati ad intenderlo troppo come una sorta di rituale sciamanico? A volte ho questa impressione.
    La poesia utilizza l lingua, uno dei mezzi più assoluti e allo stesso tempo arbitrari che gli uomini hanno a disposizione; ogni popolo della Terra parla una lingua, ma le lingue sono fenomeni storici, ben radicati nelle culture e nelle visioni del mondo dei loro parlanti. Ma anche, le lingue danno forma a quelle visioni del mondo. Il rapporto non è unidirezionale. Proprio per questo, bisogna stare attenti a non pensare che rarefazione del linguaggio o sperimentazioni siano per forza l’apice delle possibilità creative della poesia. E’ una scala di valori che ha illuso molti, e nel frattempo ha creato il vuoto attorno alla poesia. In laboratorio si fanno cose affascinanti, ma è in officina che le cose vengono realizzate sul serio. Chiudersi nel laboratorio asettico perché là fuori ci sono i microbi è un atteggiamento impoverente; affermare che la poesia non possa stare tra le cose del mondo (sì, proprio di fianco a tutte quelle cose che cercano una descrizione e una comprensione del mondo, la storia, la scienza etc…) significa non avere fiducia nelle enormi capacità del mezzo, testimoniate anche dalla tradizione che abbiamo alle spalle. Scusatemi il francesismo, ma sono pugnette :-)
    Per questo non credo che una visione particolare significhi per forza “respiro corto”. Se pensiamo a certi poeti sia italiani che stranieri (dal già citato Pagliarani a Giudici, a Caproni, e io ci aggiungo alcuni miei prediletti di lingua inglese, da Heaney a Harrison a Walcott), non hanno forse utilizzato piccoli osservatori, dai quali sono comunque riusciti a puntare il cannocchiale a 360° e anche in alto, molto in alto?
    Io credo che le poesie di Luca, al di là dei giudizi su singoli testi, passaggi, parole utilizzate, abbiano il dono dell’onestà. E’ quell’attitudine positiva che citava prima G.M.Gallerani al rapporto “comunità-poesia”, o anche solo “lettore-poesia”. In questo senso il problema del linguaggio quotidiano o “prosastico” visto come sciatteria non si pone. E’ solo una certa attitudine ad intellettualizzare della quale la nostra civiltà a un certo punto si è ammalata che non permette di vedere che questa barriera è una nostra costruzione. La poesia può essere onnivora, e nel suo modus operandi accoglie registri e modi di tutti i tipi. Sta al poeta farli funzionare, la virtù o il difetto non stanno nelle cose, gli interpreti fanno la differenza. Se il lavoro c’è, e la disposizione è aperta alla possibilità di farsi comprendere, di essere eloquenti, io credo che, oggi come oggi, sia già un ottimo punto di partenza, rispetto a tanta poesia che non ha alcun rispetto del lettore. Un conto è la sfida alla sensibilità di chi legge (quella è stimolante), un altro è porre le parole su un palcoscenico, renderle intoccabili ed imprendibili, e pretendere l’applauso.
    Luca è in possesso di quella disposizione per me essenziale. Ho letto nelle sue poesie la voglia di recuperare un po’ di quell’eloquenza. E’ una poesia che testimonia, sì, ma non rinuncia a scavare. Fa ciò che le compete: declina il linguaggio verso un modo di interpretare il mondo, di buttare una certa luce sulle cose. Una volta letto, ognuno sarà giustamente libero di decidere se quella luce gli piace, o se la vorrebbe diversa. Questo è un piccolo anticorpo a quell’ansia di assolutizzare, di poesia come sistema di pensiero, quell’aspirazione al capolavoro che nega l’artigianato che ci ha preso e umiliati fino a farci rimanere senza parole una volta che tutto quel pensiero sitematico ha rivelato la propria fragilità.

    Un saluto a tutti e un abbraccio a Luca. Congratulazioni.

  22. Grazie Marco per il tuo commento che va oltre le mie poesie ma è una riflessione più ampia non solo sui testi ma anche sullo stato della poesia attuale.
    Concordo con te, ma lo sai visto che mi conosci, sulla poesia fatta sul campo, non sono in “laboratorio”. Per me la vera poesia è vita, sennò diventa puro virtuosismo ed è un’altra cosa…
    Grazie ancora tutti quelli che sono passati e hanno letto. CI vedremo e sentiremo presto!

    Un caro saluto

  23. Ringrazio tutti gli intervenuti per i commenti.

    A Marco Bini vorrei consigliare, se mi è concesso e se è possibile, di dare un nome e un volto ai suoi rilievi critici. Si evita, in questo modo, l’acritica e apodittica enunciazione fine a se stessa, che, a mio parere, ingenera nel lettore la convinzione, netta, che non esista altra forma di poesia diversa da quella praticata da chi scrive o parla in quel particolare momento e contesto: esattamente quanto, poi, giustamente, si rimprovera a chi muove da altri presupposti e da altre convinzioni.

    Se la poesia è “malata” – e lo è – disambiguare il discorso, a partire magari dal colonnino dei commenti dei litblog che si frequentano, può essere l’inizio di una possibile “guarigione”.

    Un saluto a tutti.

    fm

  24. Temo di non avere capito bene la richiesta di Francesco.
    Il nome e il volto sarebbero i miei? Il nome c’è, il volto no perché non sono iscritto a wordpress e quindi non ho una mia fotografia caricata.
    Io non credo di aver fatto enunciazioni apodittiche o definitive; a una serie di critiche che non condivido ho contrapposto una mia visione. Non a caso ho usato costantemente la prima persona: io penso ciò che ho scritto, e ho voluto semplicemente esprimerlo in un contesto in cui sentivo di poterlo fare, perché si parla di Luca, che conosco.
    Non credo di aver detto che non esista nulla al di fuori di ciò che ritengo buono io: ho voluto parlare di atteggiamenti generali e approcci alla poesia che ritengo più utili di altri. E in questo non sono stato per niente ambiguo, direi.
    Credo che sia utile esprimere idee per esteso, o in maniera minimamente dettagliata, altrimenti si rischia di riempire un post con commenti che non dicono altro che “bene, bravo” oppure “male”.
    Non so se ho riposto alle richieste di Francesco, come detto più su non sono sicurissimo di aver capito. In caso non sia così, risponderò ancora.

  25. Marco, premesso che qui sei sempre il benvenuto – qualunque cosa tu scriva e in qualunque modo lo proponga – la mia osservazione/richiesta riguardante il dare un nome e un volto ai (tuoi) rilievi critici (che mi sembra chiaramente espressa – anche nelle sue intenzioni di ordine generale, nonostante fosse rivolta direttamente a te) non era nient’altro che un invito ad uscire fuori dalla genericità, una prassi – questa – ampiamente diffusa, ma che lascia sempre, a mio modo di vedere, il tempo che trova.

    A cosa mi riferivo? Ad affermazioni come queste:

    Proprio per questo, bisogna stare attenti a non pensare che rarefazione del linguaggio o sperimentazioni siano per forza l’apice delle possibilità creative della poesia. E’ una scala di valori che ha illuso molti, e nel frattempo ha creato il vuoto attorno alla poesia.

    … poesia che non ha alcun rispetto del lettore

    quell’ansia di assolutizzare, di poesia come sistema di pensiero, quell’aspirazione al capolavoro che nega l’artigianato che ci ha preso e umiliati fino a farci rimanere senza parole una volta che tutto quel pensiero sitematico ha rivelato la propria fragilità.

    Dunque, in/con questi tuoi “rilievi critici” a chi ti riferisci?

    Chi è che ha fatto il “vuoto” intorno alla poesia? Chi è che non “rispetta” il lettore? Qual è il “pensiero sistematico” che ha rivelato la sua “fragilità”? E quali sono le basi teoriche a sostegno di questa tesi?

    Ecco che cosa intendevo per “disambiguare”.

    Se il “bersaglio” dei tuoi “rilievi” è il mainstream letterario-accademico, arrivi in ritardo: questo blog, anche solo con le sue scelte (etiche, culturali, politiche), e con gli scritti e gli autori che propone, lo fa da sempre: quella è, nella quasi totalità, merda che si commenta ormai da sola, inservibile anche per la concimazione dei campi. (Ma siamo poi così sicuri che il “fuori” che vorremmo rappresentare, che i tanti blog “identitari” che costellano la rete, le tante riviste e antologie ad uso e consumo dei soliti “noti” – realisti o visionari che siano -, i festival, i readings e quant’altro – monopolizzati ogni anno dai “soliti” nomi – facciano meno schifo?…)

    E allora?

    Vedi, caro Marco, nel mio piccolissimo ho passato la vita ad interrogarmi sulla poesia e i “suoi” linguaggi (quello che per Dante stesso era – ed è – uno “sperimentalismo”: corpo e anima di ogni poiein); ho sempre investigato il territorio tra pensiero (“sistema”, per usare la tua terminologia) ed espressione lirica – e mi chiedevo (tirato in ballo o meno, poco importa): in che modo avrò mai contribuito – e senza nemmeno accorgermene, tra l’altro – ad allontanare la “ggente” dalla poesia?

    Come puoi capire, il tuo commento (del quale condivido tutte le osservazioni che fai sulla poesia di Luca) era solo un pretesto per una considerazione di questo genere…

    Con stima.

    fm

  26. Caro Francesco e Marco, scusate se mi permetto di intervenire. Io penso, siccome vi conosco da tanto e so cosa vi anima e che idea avete di poesia, che state dicendo più o meno la stessa cosa solo in maniera diversa. Non saremmo qui sul blog se avessimo una diversa visione di poesia, di fare e amare la poesia.
    Per questa ragione abbiamo fatto “Vicino alle nubi sulla montagna crollata”, “Pro/Testo” e Francesco tu hai creato questo meraviglioso blog che, senza piaggeria, reputo essere uno dei migliori in italia per qualità di offerta e libertà di post fuori da certe logiche e cricche.
    Andiamo avanti così e sono convinto che qualcosa si muoverà, anzi si sta già muovendo.
    Spero si possa andare avanti con questa discussione dal vivo.

    Un caro saluto e grazie per la passione nel commentare i miei versi.

  27. Sono in un i.p. che chiude tra una mezzora…

    Luca, non c’era nessuna polemica con Marco: ho preso spunto da alcuni passi del suo scritto per fare delle riflessioni di ordine generale.

    I blog letterari sono alla frutta – inutile negarlo. E non significa niente il fatto che questo, o qualche altro, sia seguito e apprezzato.

    Ad ucciderli, tra tanti altri fattori, hanno concorso proprio le chiusure identitarie e localistiche, da una parte, e il dilettantismo (pseudo)critico dall’altra. Sono anni che sento parlare, ad ogni pie’ sospinto, della necessità di “fare rete”, far emergere la “qualità” – e sono letteralmente nauseato dal vedere, nel concreto, come i paladini a tutta rete di questa esigenza siano poi i primi a coltivare il loro “particulare”, o quello del gruppo di accoliti (territoriale, generazionale, di rivista, di tendenza, di antologia…). Così non si va da nessuna parte – l’unico sbocco, sotto gli occhi di tutti, è, nel migliore dei casi, la trasformazione di alcuni blog di valore in “bacheche” da sagra rionale…

    “Fare rete” significa anche schierarsi, far circolare le buone scritture e i buoni libri (i link sono uno strumento “democratico”, orizzontale, rizomatico: perché si usano solo per segnalare gli amici o la prossima sagra dello gnocco in versi?), darsi da fare per una ca(u)sa comune: ma quanti tra i giovani, e meno giovani, aspiranti a una comparsata su Poesia, sull’Almanacco dello Specchio, sulla sputtanata “Bianca” sono disposti a farlo? Ne vedo pochi in giro, veramente pochi capaci di scegliere il silenzio, il posizionamento del sé nel ripostiglio – a favore dell’apertura agli altri – in nome delle cose in cui (a parole) dicono di credere.

    La rete, invece, ha ingenerato la falsa convinzione – in molti, in troppi – che basta aver partecipato a un festival (?!?) o aver scritto una plaquette di quindici testi per essere poeti e poter pontificare dall’alto dell’esperienza (?!?) maturata.

    Dovrebbero essere proprio i “giovani” a ribellarsi a questo andazzo, a questo mercimonio che regala il breve lampo di una serata al microfono nella piazza del paesello natale, rifiutare l’insieme di queste pratiche (queste sì “pugnettare”): premi, premietti, apparizioni, lagne, pietismi assortiti…

    E quando leggo, sull’ultima pagina del tuo libro: “Quest’opera non partecipa a nessun premio letterario per scelta dell’autore” – penso che queste persone ci sono, e possono invertire la rotta.

    Buona serata a tutti.

    fm

    p.s

    Nel caso, cercherò di esserci domani.

  28. Caro Francesco, leggendo questo tuo ultimo commento mi spiace doverti dare ragione. Hai pienamente centrato il triste panorama letterario o pseudo-tale italiano e putroppo la fine che hanno fatto i litblog o presunti tali. Io non ho Facebook per cui non so se lì le cose vadano meglio mi pare sia più che altro una bacheca, correggetemi se sbaglio.
    Io penso però che non tutto sia da buttare perchè vedo e conosco tanti giovani e non (non voglio farne una questione generazionale come troppo spesso si è fatta cavalcando un po’ l’onda di certe riviste) che fanno un lavoro serio scrupoloso, così come piccole case editrici e riviste il cui obiettivo non è apparire al festival tal dei tali ma creare un qualche cosa di serio e duraturo lontano da certi intrallazzi.
    Bisogna dire che sono una minoranza ma proprio da lì, secondo me, si deve partire, io ci credo e molte di queste persone passano in questo blog, hanno commentato questo post e agiscono nel loro piccolo per una panorama poetico migliore e per una Poesia che sia tale.
    Sui premi letterari ci sarebbero da scrivere pagine e pagine, in poesia la torta è relitivamente piccola eppure siamo come va, figuriamoci nella narrativa dove girano anche un po’ di soldi. Ci sono premi serissimi, sia chiaro ma li possiamo contare sulle dita di una mano e generalmente non danno soldi ma solo una piccola pubblicazione gratis che di questi tempi non è poco.

    Buona notte e grazie ancora a tutti!

  29. ciao Luca, e sempre ciao a Francesco… la frase sulla rinuncia ai premi è grande. mi pare che sia tipica di un altro grande, che è Aldo Busi, secondo me. non hai bisogno che te lo dica io, ma credimi: appena l’ho letta mi ha dato un po’ di pace. e ho pensato: il tuo onore. ecco, non c’è niente di più importante. e il tuo onore onora la tua poesia, anche se ne sono lontano, anche se forse non ho mai capito molto di poesia, perché alla poesia chiedevo di dare felicità, di “aumentare la vitalità” [parole di Leopardi, che combatteva ogni giorno con un corpo da salvare e prolungare in un altro giorno]. davvero: onoro il tuo onore
    massimo

  30. Grazie Massimo!Devo ammettere però che Busi non è tra i miei autori preferiti ma ci mancherebbe, de gustibus!Capisco cosa intendi.Diciamo che cerco di seguire un mio percorso, il tempo, forse un giorno, mi dirà se l’ho seguito bene o no. Che Massimo sei? Ne conosco un po’…

    Un caro saluto

  31. ” “Fare rete” significa anche schierarsi, far circolare le buone scritture e i buoni libri (i link sono uno strumento “democratico”, orizzontale, rizomatico: perché si usano solo per segnalare gli amici o la prossima sagra dello gnocco in versi?), darsi da fare per una ca(u)sa comune: ma quanti tra i giovani, e meno giovani, aspiranti a una comparsata su Poesia, sull’Almanacco dello Specchio, sulla sputtanata “Bianca” sono disposti a farlo? Ne vedo pochi in giro, veramente pochi capaci di scegliere il silenzio, il posizionamento del sé nel ripostiglio – a favore dell’apertura agli altri – in nome delle cose in cui (a parole) dicono di credere.

    La rete, invece, ha ingenerato la falsa convinzione – in molti, in troppi – che basta aver partecipato a un festival (?!?) o aver scritto una plaquette di quindici testi per essere poeti e poter pontificare dall’alto dell’esperienza (?!?) maturata.”

    parole sante, Francesco

  32. Bisogna salutare con entusiasmo libri come quello pubblicati da farepoesia. Al di la’ degli indubbi meriti della poesia di liuk c’e’ un tema che e’ l’urgenza di confrontarsi con la contemporaneita’. Questo trovo veramente importante. In liuk se non vedo male c’e’ una rivisitazione dei topoi neorealisti ma con una prospettiva diversa, La resistenza e’ un mito smitizzato , osservato con nostalgia e rispetto ma ormai troppo lontano. E la resistenza sta nella memoria che racconta di piccole vite accartocciate nella Grande Provincia ch’ e’ l’Italia.

  33. Sì Fabio, siamo tutti d’accordo, le parole di Francesco sono sacrosante, cerchiamo tutti di far seguire anche i fatti, quelli che sono passati qui mi sento di dire che di fatti ne fanno.

    Grazie Luca, sai che siamo sulla stessa lunghezza d’onda, vedi Pro/Testo.
    Mi fa piacere tu sia venuto qui a leggere le mie poesie.

    Un caro saluto

  34. scrivo sull’onda di troppi pensieri (un commento non favorisce la sistematicità)

    “Ne vedo pochi in giro, veramente pochi capaci di scegliere il silenzio, il posizionamento del sé nel ripostiglio – a favore dell’apertura agli altri – in nome delle cose in cui (a parole) dicono di credere.”

    ricito e seleziono ulteriormente per non ammorbare a rileggere le stesse cose…

    credo che proprio questi temi, questi pensieri, siano sempre più condivisi. Nei tre giorni a Barcellona, per presentare Pro/Testo, ospite di Massimo Palme, si parlava proprio di questo… anzi di più, si parlava della possibilità di essere disposti a rinunciare alla propria riconoscibilità, per far viaggiare la poesia, e il messaggio che essa veicola, al di là di un nome. E questa sembrava l’unica cosa che avesse un senso in una società dove, vincere, apparire, mostrarsi, dimostrare, sembrano le uniche ossessioni sebbene risultino poi azioni del tutto vuote di contenuto.

    ***

    Ho molto apprezzato la discussione in calce a queste poesie di Luca, mi ritrovo molto nelle parole di Marco, che erano una risposta a precedenti commenti, e che forse non saranno originali dette così senza i nomi (ma poi i nomi li sappiamo e non erano necessari), ma sono importanti da dire perché testimoniano una condivisione allargata di uno stesso sentire da parte di molti di noi.
    Arriverà il tempo che tutto questo si trasformi in cultura, con la c maiuscula, o si continuerà a lasciarsi “assorbire” dal sistema?
    Dovremmo avere il coraggio di farci padri, di essere esempio, di guidare, e senza dover per forza portare avanti la nostra poesia. C’è bisogno che un nutrito numero di persone cominci a lavorare a un sistema migliore. Un poeta o scrittore onesto, oggi, non può immaginare di portare avanti una sua poetica, un suo stile, rinunciando al confronto con la realtà. Forse esagero, ma in una società del tutto svuotata, come quella in cui viviamo, la poesia e chi ne scrive o pretende di farlo, dovrebbe farsi carico di qualcosa in più che della semplice produzione di versi.
    E qui potremmo cominciare a parlarne all’infinito…

    ***

    Venendo al motivo per cui ero qui, l’annuncio della pubblicazione di Contratto a termine, sono davvero felice per Luca che la sua opera in fieri, trovi questa prima edizione.
    Quella di Luca è una poesia molto particolare, e credo che costituisca un caso unico nel panorama letterario, non tanto per lo stile o la poetica ma per i temi che tratta.
    Mi sono più volte chiesto che senso avesse oggi, riprendere immagini e temi della resistenza, quale fosse il legame tra un giovane nato nel ’79 e personaggi ripescati da mezzo secolo prima. E poi ho capito che il valore della poesia di Luca sta proprio in questo, nell’essere (almeno quando ha cominciato a scriverne…) un giovane che avesse voglia di ricordare. E mentre più avanza, esponenzialmente, il progresso tecnologico che ci rende tutti connessi, come atomi pronti a ricevere impulsi e a disfarsene rapidamente, più la poesia di Luca acquista valore. Se Forest Gump è l’esempio perfetto di uomo nuovo occidentale, vincente e malato di agnosia, vincente perché malato di amnesia (quella storica), Luca è invece una forma nuova di pioniere, non lanciato a esplorare nuovi mondi, ma a riscoprire storie del passato (ormai destinate all’oblio). Come un vero pioniere, Luca si spinge in quest’atto gnoseologico non per passatempo, ma per la necessità incombente di fare i conti col proprio destino. E lungo il percorso gli capita di fermarsi nel tempo e nello spazio, e di raccogliere e restituirci immagini vivissime, testimonianze di un decadimento, di un procedere che vede proprio nel voler dimenticare e nel volersi dimenticare, la causa prima del suo disfacimento.
    E per questo che nella sua poesia riemergono di continuo anche temi e sistuazioni post-moderne, facebook e youtube, la scuola e le dismissioni industriali.
    Non so in che direzione andrà questo lungo e in progress lavoro di Luca, ma mi piace immaginarlo sempre più alla ricerca del passato e proiettato nel futuro come la poesia di un vero pioniere della memoria.

  35. Caro Carmine, ti ringrazio per questo lungo commento dove evidenzi benissimo il motivo che ci ha spinto a creare Pro/Testo e Vicino alle nubi sulla montagna crollata (non da solo infatti). Sai l’idea e il progetto che portiamo avanti e penso anche io, da un po’, che anche in poesia, a volte bisogna mettere da parte questo individualismo sfrenato dell’apparire e dell’esserci che ci ha ammorbato! Sia chiaro, è giusto naturale che ogni poeta mantenga un proprio stile e la propria indentità ma questa peculiarità deve unirsi ad altre per non rimanere un sassolino nello stagno!

    Per quanto rigaurda la mia poetica hai centrato: mi conosci da un po’ e sai cosa anima il mio scrivere versi o almeno provarci. Questo è il primo capitolo del mio romanzo in versi, vediamo cosa verrà fuori prossimamente!Per me la memoria è fondamentale, non sono certo il primo a dirlo ma una società senza radici, storia e memoria è destinata a fallire
    Grazie per esserti soffermato così tanto.

    Un caro saluto

  36. non entro nel merito della discussione, se non attribuendo alla poesia di Luca un valore alto, almeno per me. vorrei introdurre un’altra discussione, scusatemi per l’OT. ne parlavo con mia moglie, di questa cosa della precarietà, etc, e mi sono detto: allora, la nostra generazione viene da sessant’anni durante i quali è stato introdotto l’inedito concetto di stato di benessere sociale. vorrei dire: inedito per l’essere umano, per il quale, in fine dei conti, da quando è comparso su questa terra, le uniche costanti furono fame e pericolo. bene, vediamoli allora chi sono questi “coccolàti dallo stato di benesse sociale”: un’umanità che francamente non mi piace, pingue, reazionaria, e superba: l’uomo occidentale, in fin dei contri. Tanto superbo da dire che è il minimo avere il benessere sociale, quando metà del mondo, e più, è letteralmente alla fame. quindi noi “giovani” abbiamo una buona opportunità, non diventare quella roba lì: ciò che non siamo, ciò che non vogliamo

  37. Caro Domenico, hai perfettamente ragione, la nostra epoca, la nostra società e almeno due, forse tre generazioni vivono questa piaga in una società occidentale al declino, un un modello di vita in crisi da qualche decennio e il resto del mondo – come dici tu – che non vedrà mai un miglioramento delle proprie condizioni di vita. Io penso che la poesia non possa certo far cambiare queste cose ma, secondo me, compito del poeta è sensibilizzare anche su ciò, secondo le proprie facoltà-
    Grazie per essere intervenuto.

    Un caro saluto

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