Divaricare la vita in soffio e il soffio in volo / è puro andare terribile di veglia, mondo / in cui prendere le case e fare forme nuove
Silvia Comoglio, Inediti, 2009-2010
Sequenze
Sequenza 1.I
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- … mi soffi – come avessi –
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- tutto un fango – sulla brina, cóme
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- se ti fossi – la nótte – di púbblica fatica …
La sponda-notte ―
è gioco già cosparso – di ciglia
e di memoria: pioggia, pioggia maestosa!,
a ómbra – e violacciocca!, fúlmine che dice
le tende sbattute a caso, l’ingánno
dell’álbero a radura – nel canto –
estivo di rumore: → il lábile ridire,
talvolta, nella luce, gli improvvisi
á-liti di pietra, núdi – e cigolanti ―
gli improvvisi immaginarsi
matrici della trama: térre – elétte –
a ócchi – di cicala —
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Sequenza 1.II
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- → quíndi fu fárvi –
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tútto un cerchio sacro
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- e dárvi – un ángolo di bacio : un lómbo : un filo d’acqua,
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- il suono che spalanca il soffio di una stanza [ ]
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DIS-LOCATO in réfolo di sogno
plúrimo di vita, foste órdine posposto
al fiore – aperto a meraviglia, márgine che venne
a pianta spaventosa, a sémpre che già scosta
corólle e ómbre – e quésta nuda porta: il modo esatto
di sórgere sugl’occhi – di luce uguale a buio,
a órbita di fiato di lunghi rematori
misurati in cristalli – di singulti ―
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Sequenza 1.III
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- fácile è vederti –
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peccare
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- in questo bosco, nel fare e già venire
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- di nomi – déboli di petto, “di pura
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- nostra forma – aperta – dentro al petto …
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…
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perenne, l’álbero è perenne, se saldo
e immaginario, scala disarmata
fino al primo fango, arcuato “”e custodito!”
déntro questo fronte – a ócchio silenzioso, “déntro
questo fronte in cui è urtare, urtare-a-caso,
del véntre – cóntro la sua terra, a pura tosse – appéna –
immaginata, incisa – óltre la montagna, in piante
álte e indefinite, affacciate – tutte – in controcielo
sénza – giuro – mai finire
[ ]
Sequenza 1.IV
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- quale giorno – è maglio
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- nel senso della luce, síllaba nel nome
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- – lénto – dell’attesa? bel tempo
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- di amore e colpa – rasénte – alla finestra,
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- piánta – a stelo aperto?
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dímmi – se mi pensi tra l’órbita e la terra
se l’ómbra – è l’álbero che schiudi
piano addormentando lo spazio e il suo guardiano ―
se lo sforzo – in cui vissi a costruirmi
è alba sperticata déntro il suo soffione, la trama
del geco che trasmuta – gli ócchi – in pura luce → e dímmi
se l’urlo – lívido di volto – è disceso nell’acqua che si sgela
in lungo scintillio, nell’impronta, tesoro, del vento
del tutto ricavato dal témpo rimasto ancora appeso
all’último guardarti, “al fóndo – dell’úl-timo guardarti”,
in piogge – di éstasi leggera, “molate
da illó-giche tue vesti —
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PEGASO
(il volo che muta in stella)
I
Effigie eterna di archetipo che mima
enigmi di muta meraviglia, sei luce che fende in equilibrio
lo sghembo tetto della casa, l’albero scalato
dentro alla bufera. E moto, sei moto, a stasi e punto fermo,
pura erranza a crescere nel mondo fin oltre
la prossima parola, fin dove all’apice del canto
l’ignoto si rovescia in assolo di orbita segreta, in dono
lungo a labirinto. E il volo, il tuo volo,
è volo a differenza dal tempo che già disfa
angoli di terre aperti sulle rose, sorgente che si accalca
nel fiore alla radice: un’ implosione di fragili millenni
rimasti nel vento a sillaba corale, a grandi
enormi orchi e ciclamini.
II
“Vedi? l’amalgama che siamo è storia tutta già narrata
nel volto appena generato, soggiorno puro di cammino
dove l’ala forte è l’ombra ruvida di terra, un dire ricondotto
verso lumi di liquide radici. E l’orma
è il blocco di partenza, lo schiudersi leggero di ordini di segni
in cui voli, voli scommessi senza fine, sono mia e vostra luce
a misura di frattempo, di un taglio a risalire all’eremo di guardia,
all’alba chiara e sibilante, come fosse folle
folgore traslata dal tempo al paradiso, ebbrezza
da cui venimmo fiammanti di gran vento”.
E l’orizzonte è casa ormai caduta, afasia in cui si fonde
il mondo e la sorgente, lo sguardo da me a te appena transitato,
vivo di racchiuso attimo restato
terso e ripetuto nel fragore di vecchie lettere d’amore.
III
Divaricare la vita in soffio e il soffio in volo
è puro andare terribile di veglia, mondo
in cui prendere le case e fare forme nuove
e intessere le strade tutte di bisbiglio, isolando
voci da parole. “Orientarsi è scommettersi nel vento
tornato di sorpresa, fare balzi simili ad incanti
da brughiere e manzanite fino al culmine del cielo,
al tempo trainato verso la rete
estesa delle stelle, la lingua tracciata a dirci
come avvenne l’amore forte impazzito alla finestra,
e l’eco di un giorno sfuggito al proprio corpo;
la vaga sorte in pieno suo stupore.”
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ho viaggiato, una splendida sensazione che mi resta.
grazie.
Mi sembra che la ricerca poetica di Silvia, da sempre rivolta alla riflessione sulla lingua, si arricchisca di suggestivi toni espressionisti ben “trattenuti” all’interno del verso e, proprio per questo, efficaci.
Cito una bella immagine:
“Divaricare la vita in soffio e il soffio in volo”.
Grazie per l’apprezzamento. Silvia è un poeta da tener d’occhio. Anzi: “d’occhi”. E ben spalancati.
fm
Grazie Francesco per l’ospitalità e per la bellissima immagine che hai scelto a commento dei miei testi.
Un saluto a Natalia e a Marco.
Silvia Comoglio