Carlo Bordini
“Io non scrivo, sono scritto. Ho imparato a diffidare delle ideologie e del senso del dovere, la realtà è infinitamente più grande, vera e libera del pensiero. Se esaminassimo tutta la letteratura civile degli ultimi 150 anni, scopriremmo che funziona solo chi, fuori dagli schemi, porta in sé un elemento di eresia”.
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io non creo ma sono
creato, non
scrivo ma sono scritto,
e quindi
non sono un
creatore
ma una
creatura
Carlo Bordini
I costruttori di vulcani (Tutte le poesie, 1975-2010)
Prefazione di Roberto Roversi
Introduzione di Francesco Pontorno
Roma, Luca Sossella Editore, Collana “Numerus”, 2010
Poema a Trotsky
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E cosa avrai mai pensato
ucciso dai tuoi stessi fratelli
braccato dai mitra proletari
un sapore di dolce e d’amaro
un sapore di sangue in bocca
che cosa mai avrai pensato degli uomini
se pure hai pensato
Leone Trotsky
Nel 1918 Trotsky era a capo
dell’esercito rosso. Aveva dovuto organizzare,
come è noto, un esercito dal nulla.
Aveva organizzato una cavalleria fatta da
operai,
utilizzato lo spirito patriottico di molti ufficiali
zaristi,
organizzato l’azione di bande che agivano isolatamente,
ecc. Aveva dovuto
essere furbo, astuto, spietato, e
lungimirante.
Seppe che Aleckin, campione del mondo di scacchi,
e uno dei piú grandi genii, del mondo degli scacchi,
grande maestro internazionale,
era in prigione a Mosca.
L’andò a trovare e lo sfidò
a una partita.
Aleckin, timoroso, cominciò
a giocar male.
Trotsky gli disse: se perdi,
ti faccio fucilare.
Fu l’arroganza di satrapo
o l’esaltazione della lotta
a suggerirgli questa frase indubbiamente ironica?
Aleckin voleva perdere?
Trotsky voleva forse perdere?
Entrambi volevano forse perdere?
Mi ha sempre colpito questo incontro
tra lo stratega e lo scacchista
come la partita a scacchi tra il cavaliere
e la morte
(c’è una bellissima fotografia di Tito
che gioca a scacchi).
Trotsky voleva perdere?
La sua anima ebrea concepiva già
il terribile esodo?
Aleckin vinse. Poco piú tardi
fu liberato ed emigrò a Parigi.
Fu campione del mondo
dal 1927 fino a poco prima
della morte. Si suicidò nel
’46, accusato
di collaborazionismo coi tedeschi.
Nella mia gioventú sono stato
trotskista per molti anni. (gli anni migliori). Soggiacqui
al fascino di Trotsky,
uomo sconfitto.
Soggiacqui a questa angoscia della sconfitta
a questo fascino dell’angoscia della sconfitta,
quest’uomo sconfitto,
doppiamente sconfitto,
Io studente soggiacqui.
Quest’uomo nobile e dolente,
e insieme forte,
io che ho avuto un padre
generale, e fascista, e non molto affascinante,
Soggiacqui.
Ora ti rivisito
e vedo me stesso.
La tua ferocia purificata dalla morte,
Fosti un padre
pulito,
un esempio,
una figura nobile,
Un guerriero
che sa morire.
Io che non sapevo assolutamente che fare della mia vita,
scelsi la tua morte
permeata di intelligenza.
Tu, intellettuale ebreo radicale,
pedante,
cristallizzato e andato in briciole,
padre dolente
nuovo Gesú e Cristo.
Il fascino del martirio
m’ipnotizzò studente.
Mi affascinò l’uomo tagliente,
quasi pirandelliano,
capace di esprimersi
in frasi lapidarie,
“Né pace né guerra”
“Proletari a cavallo”.
Come tanti anche tu morivi per gli altri
nobile cavaliere
anch’io ho mangiato un pezzetto di te.
Troppo velenoso è il tuo nutrimento.
Uomo dall’equilibrio
sempre spostato in avanti
in moto incessante
forse volevi cadere (in avanti).
E il bello era che avevi ragione
o almeno avevi in gran parte ragione.
Mi rannicchiai nella tua ragione, perché avevi ragione,
ma tanto, era ormai una ragione sconfitta, e cosí,
vivevo nella parte di dietro della storia, e stavo comodo.
Nessuno poteva disturbarmi. Tanto ormai tu eri morto.
Io avrei dovuto aspettare ancora qualche diecina d’anni per morire
e intanto mi tenevo la ragione. Studente, decisi cosí.
Eppure la tua razionalità radicale era eroica
comodo vivere dell’eroismo altrui. Cosí morii vivendo.
Poi rinacqui. (Non potevo rinascere se prima non morivo). dalla tua morte]
cosa rinasce? Nulla. Una sola frase, una sola
parola,
“O socialismo o barbarie”. La ragione sconfitta ha la sua rivincita.
(Rivincita orribile, tragica rivincita, tragica consapevolezza,) annichilante]
profezia. Vissi grondante di morte, sapendo quello che sarebbe
venuto, ed ora che la barbarie
dilaga, e il tuo ottimismo cade,
non cade la tua intelligenza. Intelligenza sterile. È vero: o socialismo
o barbarie. La barbarie dilaga,
o socialismo o barbarie. Io lo sapevo e fingendo
ottimismo rivoluzionario
contemplavo la catastrofe della Storia.
Forse volevo perdere anch’io, come la storia che ho raccontato,
che non so se è vera,
ma mi ha affascinato
Trotsky, capo dell’esercito rosso, sfida il
campione del mondo di scacchi, entrambi
vogliono perdere, entrambi perdono, finiscono
tragicamente, ma che bello,
che bello scegliere la parte perdente, morire per procura
attraverso
gli altri,
suicidarsi in effige
(in quel periodo avevo pensato al suicidio come possibile
strategia
del mio senso di inutilità)
e poi incontrai l’articolo di giornale che parlava di questa
partita a scacchi
e ne fui
affascinato
adesso sono molto diverso da quando ho cominciato questa
poesia
so molte cose
e tante altre poi che non sono scritte qui
in quel periodo c’era anche una ragazza bionda un amore sfortunato
ho giocato troppo coi sentimenti degli altri
Non è vero: vissi una situazione di millenarismo,
per questo vi rimasi tanto tempo.
in questo mondo che scade verso la barbarie
***
Per la poesia di Carlo Bordini
(Estratti dalla Introduzione di Francesco Pontorno)
Chi scrive Carlo Bordini? Perché se una cosa egli non prevede, questa è la scrittura; non ne calcola i benefici istituzionali. È il sentirsi scritto (“sono scritto”) formulato nell’Appendice a Sasso e nella seconda poesia di Frammenti di un’antologia. Esso si coniuga con un’irresistibile pulsione autobiografica; i poemetti di Bordini hanno, infatti, un avvio e un decorso autobiografico (fino al rischio del dolore); sono allucinati saggi in versi con obiettivo gnoseologico, costruiti su una narrazione combinata con aperture atonali, deragliamenti del senso e dell’intreccio, immagini sformate.
Leggendo Bordini ci si può chiedere perché mai uno dovrebbe mettersi a scrivere gli episodi della propria pena. Credo per scalzarsi, accettando di diventare polvere del nostro tempo (un tentativo di rinascita) e conquistando anche l’onestà che Bordini ha nei confronti dei suoi versi. Se è fedele alla poesia, la ragione non sta nel suo desiderio di essere poeta, ma nell’idea di poesia intesa come strumento autoanalitico, misericordioso e politico, che gli consente l’investigazione di una discreta verità. Scrivere sarà allora per Bordini una fatica complessiva, non un esercizio, e ciò segna la sua massima distanza dallo sperimentalismo storico, ma non esclude che vi sia sperimentazione nei Costruttori di vulcani. Anzi, pensare che Bordini non tenga a mente la ricerca letteraria sarebbe una mislettura. […]
Bordini ha iniziato a scrivere da giovane, ai tempi del liceo. Finito il classico (dove aveva avuto tra i suoi primi lettori Giorgio Manganelli, professore d’inglese nella Roma anni cinquanta), frequenta per un breve periodo l’università che abbandona per dedicarsi alla politica, aderendo a una formazione trotskista. Interrotta dopo circa dieci anni l’esperienza militante, decide di riprendere gli studi, diventando in seguito ricercatore e docente di storia moderna alla Sapienza di Roma. Nel frattempo, vive la controcultura degli anni settanta declinandola a suo modo. Da questi pochi dati, si capisce che Bordini ama frequentare le virate e i cambiamenti; imbocca strade, recupera, rinuncia, riprende, conquista. Elementi autobiografici che leggibili nelle poesie, rivelano un’analisi dell’esperienza non innocua, anche se muta, defilata.
La sua prima raccolta è Strana categoria del 1975, un ciclostilato che mandò per critici e scrittori. L’esordiente viene recensito da Enzo Siciliano e poi schedato da Franco Cordelli nella storica antologia Il pubblico della poesia. Da quell’avvio, Bordini ha precisato una notevole poetica del detournement, del collage, dell’innesto, dell’inserto. Parla con chiarezza teorica di semplicità e classicità quali criteri e traguardi estetici, ricerca ritmi per i suoi versi, poesie e macrotesti. Tuttavia resta sempre impossibile presentare Bordini attraverso le tappe della formazione di un intellettuale italiano nato nel 1938 che fa politica extrapartitica per anni; e come uno scrittore nostrano cresciuto sui tanti testi della cultura occidentale (e non solo), le letture una volta comuni ai liceali di buona famiglia presi dallo slancio rivoluzionario. Non è possibile perché Bordini è un poeta politico e feroce, letterariamente irriducibile. L’“enorme secondarietà della letteratura” – frase di Amelia Rosselli, sua amica vera – citata in Questa è una poesia, non è la strumentalizzazione del testo e l’engagement, è piuttosto l’integrazione della letteratura e della vita, è l’idea che la letteratura possa essere legata all’autenticità del comportamento, all’etica.
Come detto, dopo una parentesi universitaria, si unisce a uno sparuto gruppo trotskista. Lo sceglie bene – opta per uno senza avvenire – e ci sta completamente dentro per un decennio, fin quando non scopre che è meglio riaffiorare. Durante il periodo di attività politica non tocca un libro, non scrive, non legge. Questa totale vacanza dalla letteratura – che in parte continua oggi essendo egli un lettore selettivo, non bulimico – scoraggia tentativi di accostamento ad altri scrittori. Il sentimento intellettuale che cresce fra libri della tradizione letteraria e generazionali, biblioteche e salotti (anche in senso buono), non è di Bordini. Neanche le ascendenze culturali nette sono sue. Quando se ne parla, si fanno i nomi di Gozzano, di Apollinaire […]. E Bordini ha di certo apprezzato il Pasolini di Trasumanar e organizzar, ma non è uomo di tutti i libri, e anche per questo è tanto diverso dai poeti della sua generazione.
[…] scarta dunque il profilo del poeta italiano d’oggi e collocarlo da qualche parte o di fianco a qualche nome non mi riesce. L’unico appiglio per me criticamente persuasivo resta l’autobiografia, tanto che perfino il detournement, di cui dirò altro, non mi sembra provenirgli da letture particolari; con la sua voglia di conquista di uomini e cose alla scrittura, l’avrebbe inventato o almeno annusato il detournement, se non fosse esistito. […]
Bordini ha sempre cercato intorno a sé e dentro di sé. Denuda e mostra come un moralista classico contemporaneo; uno spietato, ironico cronista del vero.
***
Roberto Roversi – La inquieta e affascinante follia della parola
Nelle pagine di prefazione (o di introduzione) di Francesco Pontorno
è detto tutto ciò che si doveva dire, non c’è quindi bisogno di
completare o aggiungere nulla, nello specifico e per l’occasione.
Su queste pagine, posso semmai prendermi l’arbitrio, controllato, di
stendere una breve riflessione semplicemente da lettore; su questo
volume di Bordini che ha il merito e la forza (come è stato detto) di
srotolare problemi, emozioni, violenze utili e riflessive.
Proprio cosí.
Denso fino all’orlo, induce a questa disposizione problematica e alle
piú specifiche considerazioni, entrando nel merito.
Dunque:
è un breviario? è un libro di viaggio? un Wanderbuch con le relative
implicazioni di sorprese e di risvegli intrisi di faticose consolazioni?
Lo posso riavvicinare (si può dire?) alla dolorosa compulsiva agitazione]
letterariamente esaltante di Walser, al suo andare abbastanza
intrepido, nelle sue passeggiate, sotto la sferza di una pioggia calda o
fredda della vita? O è una autobiografia apertamente impietosa, tesa
a scavare in ogni dettaglio delle giornate passate o perdute e a cercare]
di ritrovare una qualche unità con il dovuto vigore nelle regole
ferree e sia pure dilacerate della scrittura?
Dico intanto che è un fiume. Un fiume che va e viene e si ripercuote,
scorrendo, fra le rive. Ascolto il frusciare deciso delle parole (dell’acqua)]
sull’erba (le righe del testo, le parole che si aprono e si
chiudono, si rinchiudono, scosse dal fiato dell’autore che le alimenta
e non le lascia).
Il fiume, cosí, delle parole non lo posso rallentare con le mani degli
occhi; posso solo inseguirlo.
Lo leggo come un ampio racconto, meglio: resoconto, epico in versi.
Un progressivo testamento steso con una rabbia quasi feroce, però
dentro a una luce forte.
Posso dire: a cuore aperto? I vulcani, il loro misterioso cratere che
sembra freddo e indifferente e che all’improvviso esplode, avvampa.
Fuoriescono ceneri e fuochi, balzano a chilometri, in alto? Un
Empedocle che ci gira intorno e si lascia, per fame di conoscenza,
bruciare?
Il racconto, cioè la poesia, si alza si abbassa, respira forte.
Sfoglio (e leggo) le pagine; alle volte sembra di strisciare le mani sul
tronco di un albero che trasmette il brivido del passare del tempo;
che ha trapassato e ha resistito a cento naufragi di inverni, alle tempeste]
(della nostra esistenza turbata).
Altre volte la pagina (le pagine) si apre e si ripiega docile, come un
ramo nella fioritura di primavera, poi torna a distendersi, improvvisa,
in un canto di qualche melodia; come fosse toccata (sfiorata)
dalla memoria che sopravviene e adagio la esalta.
I buoni volumi di poesia hanno sempre, a mio parere, un contenuto
esplosivo; perciò, sempre a mio parere, vanno maneggiati (letti, riletti)]
con cura, con lo scrupolo di una attenzione costante per ogni dettaglio.]
Per arrivare al fondo, a percepirne il respiro interno, il mormorio
(appunto) delle acque, il fuoco dei tramonti (appunto) il fiume
Pecos e i bisonti che bivaccano vicino e osservano il cielo e non sanno]
che stanno aspettando la morte. Eppure sono scossi da un tremito.
Nelle pagine densissime del prefatore è già detto tutto (lo ripeto) e
si è portati a ben intendere, a capire.
Ripeto: il volume è buono nel senso pieno e autentico di portatore di
umori, di valori, di rabbie e furori autentici (introiettati e distesi) .
Aiuta, nella lettura, l’empito (trascinante) quasi eroico nei termini
della pazienza e dell’infinita resistenza e insistenza sugli inestricabili
(e affascinanti) lacci e legami che compongono (confortano o addolorano)]
una esistenza umana. Una vita vissuta.
Per richiamarmi all’inizio di queste righe, direi proprio che questo
libro è una autobiografia in frenetico dettaglio. Lo è; come i libri
che contano e che parlano. Facendosi ascoltare.
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[Carlo Bordini / Roberto Roversi]
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