Note di lettura (II) – Marguerite Yourcenar

Antonio Scavone

Il blu di Marguerite Yourcenar

     Marguerite Yourcenar cominciò a scrivere Conte bleu verso il 1930 e lo lasciò incompiuto per anni fino a farlo diventare inedito: bisognerà aspettare il 1993 – sei anni dopo la morte della scrittrice – per vederlo stampato da Gallimard insieme ad altri due racconti e, per l’edizione italiana, nella breve raccolta della Bompiani “Racconto azzurro e altre novelle”, nella traduzione di Francesco Saba Sardi e con una prefazione di Josyane Savigneau. Continua a leggere Note di lettura (II) – Marguerite Yourcenar

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Il giudizio di dio (in sette paragrafi)

“Come Pastori che amano la comunità cristiana, e come cittadini di questo caro Paese, diciamo a tutti e a ciascuno di non cedere al pessimismo, ma di guardare avanti con fiducia.” Con queste profetiche e infiammate parole, monito perenne, lavacro delle miserie del presente e sprone per le future generazioni, il 27 gennaio 2011 il cardinale Bagnasco, presidente della CEI, ovverosia il consiglio di amministrazione della “Vaticano SpA”, ha demolito in un colpo solo il mausoleo granitico del regime berlusconiano, disperdendo ai quattro venti il coacervo innominabile di interessi, di collusioni e di perversioni su cui si reggeva, insieme alla corte di servi, nani, ballerine, puttane e puttani che ne diffondevano e amplificavano il verbo nel paese, tra moltitudini ormai avvilite e incapaci del ben che minimo moto di ripulsa o di ribellione. Laddove le forze e la volontà degli uomini non bastano a liberarsi da un giogo troppo gravoso, solo una superiore istanza etica, di preclara e riconosciuta autorità può ristabilire il corso della giustizia, il retto cammino delle cose e del mondo. Continua a leggere Il giudizio di dio (in sette paragrafi)

Nuvola del pensiero

Cristina Micelli

Di lato scalare le tue guglie di paura / a giri a cerchi a riparo. / Di lato accerchiare le tue mura. / Sono conchiglia marina / chiusa in un anfratto di dolomia / sono aquila d’altura / e sbircio da crepa di fessura / l’aria piana del tuo volo / il punto inciso nel ferro battuto / il centro esatto del tuo fuoco.

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Aiutami a parlare della cenere di un cuore

Orsola Puecher

“Par chacun de vos mots
si brillants dans votre or
aide-moi à parler
de la cendre d’un cœur.”

(Jean Cayrol)

Ogni anno il 27 Gennaio mi attende il dovere di commemorare il Giorno della Memoria, rinnovando una sofferenza che solo chi ha avuto delle vittime del Nazifascimso fra i suoi familiari può comprendere profondamente. Ma mai come quest’anno occorre raccontare della cenere di un cuore, per strappare la memoria alla retorica, all’abitudine e all’intento strisciante di svilire, ridicolizzare e ⇨ falsificare la storia, per poi più facilmente rimuovere e dimenticare. Mai come ora è necessario ricordare, mai come in questo momento i valori della Costituzione Repubblicana, nata dalla Resistenza e dalla lotta al Nazifascismo, sono quotidianamente usurpati e seriamente minacciati.

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Qualche articolo correlato presente su Rebstein:
Mai scenda il silenzio
La giornata delle memorie
Pavel FriedmanLa farfalla
Paul CelanTodesfuge
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Life on the tracks – Prologo

“Southern trees bear strange fruit,
Blood on the leaves and blood at the root,
Black bodies swinging in the southern breeze,
Strange fruit hanging from the poplar trees.”

Life on the tracks

A M., guardando
una vecchia foto
ritrovata per caso.

Ho cominciato a comprare qualche disco verso la fine del 1969, ma il primo che ho avuto risale all’anno precedente, un regalo graditissimo da parte della madre di una mia compagna di classe. Si trattava di una raccolta di successi di Billie Holiday, fino ad allora, per me, nient’altro che una voce senza nome e senza volto, un fantasma sonoro che inseguivo, senza sapere bene cosa stessi veramente cercando, già da parecchi mesi.

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Un’altra storia

Massimo Botturi

Per tutto il tempo, case e paesi / in ogni uguali; / le piccole chiesette affrescate a vecchie voci, / pantografi sfuggiti alle rondini. / Io suono / lo zufolo dei semplici assemblati dal lavoro, / ché questa culla è l’acqua dei morti / un calendario.

UN’ALTRA STORIAomaggio a Tonino Guerra

I desideri, e la fretta di vivere mi piace.
Qualcosa su un diario segreto di una santa,
di una ragazza di terra
sconosciuta.
Con troppa barba alle gambe,
e il ventre freddo
come certe distanti alberate di febbraio
che hanno il naso dritto alla primavera
altrove. Continua a leggere Un’altra storia

Nuovi parametri etici

Livio Borriello

Pubblico con piacere questo intervento “fuori dal coro” di Livio Borriello. Condivisibile o meno che sia, soprattutto in taluni passaggi “urticanti”, rappresenta comunque una ventata d’aria in un panorama mortalmente asfittico, appestato da quintalate di moralismi riversati da giorni a piene mani, in particolare da quanti (in primis esponenti politici e intellettuali se-dicenti di sinistra), negli ultimi due decenni, nei fatti, non hanno mosso un dito per cercare di arginare l’instaurarsi del più sordido e devastante regime della storia italiana (ed europea) degli ultimi cinquanta-sessanta anni, incapaci di proporre un’idea, un’ipotesi minimamente percorribile di alternativa: tutti compresi, com’erano e sono, nel ruolo “istituzionale” di chi si parla addosso, di chi non fa altro che celebrare il proprio immobilismo come la più lungimirante delle strategie politiche, o il proprio “collaborazionismo mediatico”, “in partibus infidelium”, come un “disegno rivoluzionario” di presunto accerchiamento del nemico. E tutti in attesa, oggi come ieri, delle ipocrite sacre “lamentationes” del “consiglio di amministrazione” della Vaticano SpA, uno dei cardini del mostruoso leviatano che ha inghiottito il paese – in uno, tra gli altri, col nazismo a conduzione familiar-municipale della moltitudine verde-incamiciata-e-incravattata. (fm)

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Dire e vedere in Raymond Roussel

Michel Foucault
Raymond Roussel

[N. d. T.] Dire et voir chez Raymond Roussel, in «Lettre ouverte», 4, 1962, poi in M. Foucault, Dits et écrits, I, Paris, Gallimard, 1994, pp. 205-215; il saggio è una variante del primo capitolo di M. Foucault, Raymond Roussel, Paris, Gallimard, 1963 (tr. it. Raymond Roussel, Bologna, Cappelli, 1978 e Verona, Ombre corte, 2001). La presente traduzione è già stata pubblicata in «Arca», 8-9, 2003, pp. 129-141. [Giuseppe Zuccarino].

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Repertorio delle voci (XIV)

Manuel Cohen
Marino Monti

Lus

Lus ch’al n’ha fatèz
al s’apéja
int e’ bur.
L’udor dla môrta
l’é póch luntân.
La mi crôsa
la j è a là
in che mur d’ombri
za pronta
par pighem
e’ côr.

[Luci – Luci senza sembianze / si accendono / nel buio. / E’ vicino / l’odore della morte. / La mia croce / è là / in quel muro d’ombre / già pronta / per piegarmi / il cuore.]

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Inseguendo lampi lontani

Ivan Crico
Maurizio Benedetti

“Penso a queste nevicate, gli alberi / che sembrano dentro, il sale // sulla strada, la vita animale, che deve / decidere e pensare”. Un cantico doloroso e folgorante e rivelatorio, questo di Maurizio Benedetti, dove le divisioni tra dentro e fuori, bellezza e orrore, perdite e conquiste, si fondono fino a trovare una straniante e, insieme, esaltante armonia. Lirismo e sperimentalismo qui, come raramente accade, si incontrano sottraendosi al vacuo intimismo o al gioco verbale fine a se stesso per dare forma e voce ad una interiorità ferita nel profondo ma, al tempo stesso, capace di inscenare rituali di grande, non solo per sé, forza salvifica. Continua a leggere Inseguendo lampi lontani

La parola e la cura

Valeria Serofilli
Gianmario Lucini

Questa poeta (…) mostra, nella sua scrittura, la costante ricerca di una mediazione fra forma e contenuto. La sua è una scrittura che non intende rinunciare a una forma che punta diritta all’eleganza (della prosodia) ma nello stesso tempo si pone in modo incessante il problema del contenuto – aspetto questo che probabilmente la poeta mutua, per sua stessa ammissione, da una frequentazione della poesia di Mario Luzi, che ella ammira e che considera suo costante punto di riferimento. Va precisato che la forma curata dalla Serofilli non si basa affatto sul canone prosodico tradizionale: l’autrice usa il verso libero e non si cura di raggruppare i suoi versi in modo particolare, secondo gli schemi tradizionali (non troveremo sonetti, quartine o stanze né strutture di endecasillabi e settenari). L’aspetto che incuriosisce e che vale la pena di esaminare è la sua capacità di conciliare in una struttura qualcosa che all’apparenza non osserva nessuna regola. In altre parole: la capacità di stare dentro la tradizione ma nello stesso tempo sentirsi libera e non vincolata a nessun canone.

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Le architetture perdute di Inés Fontenla

Rosa Pierno
Inés Fontenla

Ricostruire la geografia perduta delle terre sommerse dando fondo al blu oltremare, come se soltanto nella sua intestina profondità fosse possibile stornare il tempo e rendere il mito presente, fare slalom fra le rinvenute colonne, forse anche colpirle col mappamondo e frantumarle, per riportarle finalmente a più miti ordini, ove si possano recidere relazioni e porre distanze siderali, ove tutto l’universo appaia contratto, affinché in uno spazio così nitido divenga finalmente possibile udire il suono di metalliche sfere e si possa associare un unico referente: la nostra razionale mente.

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Nota di lettura ai “Sonetti dolenti e balordi”

Francesco Scaramozzino
Lucetta Frisa

Sono tutt’altro che “balordi”, questi sonetti di Lucetta Frisa, sia nella forma che nel contenuto, sia, soprattutto, nella lucida consequenzialità che li collega in un percorso “alchemico”, logico e consapevole, capace di essere rielaborazione, trasformazione e, insieme, definizione di un programma di vita, di una modalità nuova e salvifica di approccio ai grandi temi dell’esistenza.

La raccolta origina dal dolore, un dolore profondo e radicato, archetipico e personale, così che tutta la prima, eponima sequenza è pervasa da termini, concetti, verbi, aggettivi (quali “sprofondata, entrare, sottoterra, dentro, entrata, ficcata, interrati, involucro, corpo nella fossa, murate, maschere, clessidra”) che definiscono una visceralità centripeta, espressa in un volgere quasi ossessivo a un’interiorità sentita non più come ripiegamento protettivo, ma colta nel suo inevitabile confrontarsi con un “fuori” lontano ed estraneo (“Grigio cielo di nuvole in estate”, “La via lattea lassù e qui la strada grigia”), in una dialettica vissuta per sua natura come rifiuto ed espulsione.

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Lettera dal Cansiglio

Pier Franco Uliana

Lettera dal Cansiglio ad AZ

tagli ritagli in sylva
varchi-vartóra per Val-
òrch
(ucci ucci per i bravi scolarucci
del centro di educazione ambientale
seguir il forestale                    e mùci!
[silenzio!]
e che odorino d’euro
spande l’aura silvestre
che daini impallinati
insaccati in zaini
per gli aurati dandy gipponati
e per i non addetti sol funghetti)

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La letteratura del capitale

Antonio Scavone

Quanto sono lontani gli anni che ci hanno dato romanzi come “La macchina mondiale” o “Memoriale” di Paolo Volponi o “La vita agra” di Luciano Bianciardi? Dove sono stati riposti e dimenticati quei romanzi che vennero definiti industriali, sorretti cioè o ispirati da una duplice intenzionalità, da un duplice progetto letterario e ideologico?
     Porsi queste domande oggi sembra insensato o accademico, se non addirittura inopportuno e fuorviante per la maggior parte degli scrittori di romanzi contemporanei. Sembra infatti ai più (romanzieri e critici) che occuparsi della realtà industriale da parte e per conto dell’affabulazione letteraria sia semplicemente desueto come fonte di ispirazione, incerto e approssimativo come manifesto ideologico. Seppure la scrittura di un romanzo sia stata stimolata, negli anni ’60-’70, dall’adesione o dalla condivisione delle dinamiche socio-economiche del lavoro subordinato (impiegati e operai), quella particolare attenzione letteraria ai problemi dello sviluppo e della crescita di una società industriale ha perso col tempo – in questi ultimi quarant’anni – quella “spinta propulsiva” che era sembrata allora congeniale e preziosa. Continua a leggere La letteratura del capitale

Cuore comune


Enzo Campi
Renata Morresi

Leggendo “Cuore comune” ho subito pensato a un molo, un bordo (se preferite: un margine), una linea orizzontale dove, compiendo un solo passo (nel vuoto), si potesse tra(n)slocare dalla rigida e solo apparente stabilità della terraferma alla docile instabilità dell’acqua.
Perché l’acqua?
Perché “Cuore comune” è una sorta di fiume ove le parole si allettano e scorrono.
Forse condizionato dal fatto che la prima lirica che ho letto terminava così: “come se fosse nato ora / dall’interno, un fiume”, forse perché questa parola ritornava più volte in altri componimenti, forse perché l’acqua, via via che leggevo, proponendo un’altra parola-chiave: “galleggiare”, si rendeva depositaria di un messaggio sempre più chiaro: ciò che conta è anche quello che viene in superficie e che non rinuncia al movimento.

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