In fuga dal volto

Vincenzo Di Oronzo
Mario Fresa

“E’ una poesia che annuncia e fa risplendere le forme alte dell’archetipo e le infinite direzioni dell’inesplicabile verità che esse mostrano, con l’impiego di una lingua mobile e inquieta, inserita in un fluire magico e trasversale, in cui molto è lasciato, paradossalmente, al non detto, all’appena sussurrato.”

“in fuga dal volto,
il maratoneta si svuota nell’aria”

 

Mario Fresa
UNA NUZIALE COINCIDENZA

 

1.
  Che cosa vede la poesia? Il suo destino è quello di amare intransitivamente: se scompaiono la voglia, e la direzione, e la mèta di quella stessa voglia, la dolorosa tensione del divenire è, allora, azzerata da una tenera sospensione che, alla fine, impara a non volere più, e ad attendere soltanto, già tutta dimentica di sé (e dell’attesa stessa).
  Lo stesso vedere è un’azione che si subisce: noi non decidiamo ciò che si mostra («il mondo mi è dato, vale a dire la mia volontà si volge al mondo dal di fuori, come a un fatto compiuto»: Wittgenstein, in Quaderni 1914-1916).
  La poesia di Vincenzo Di Oronzo tende all’attuazione di una simile, liquida resa dello sguardo, in tal modo facendo trasformare l’apparizione della stessa parola in un istante a-temporale entro il quale coincidono, per il tramite delle forze magiche e remote di Psiche, le manifestazioni di due vicinissime realtà parallele: quella dell’esistenza contingente e individuale e quella di una scena ulteriore (archetipica e universale).
  Qui l’io si diluisce e si dilata, fuggendo di continuo da un suo possibile, unico riflesso: e accoglie, in sé, le istanze vertiginose dei messaggi dell’Ombra.
  In fuga dal volto è un libro composito, complesso e suggestivo.
  Vive potentemente, nei versi, il respiro della presenza (remota, eppure vicinissima) degli dèi e del loro indicibile mistero, posto continuamente in bilico tra il dono e la sottrazione, tra la luce e l’accecamento, e infine ansiosamente vicino alla meta di una finale identificazione degli opposti, persino nell’inquietante vicinanza di alcune parole (come ricorda lo splendido frammento eracliteo citato in epigrafe: «dell’arco il nome è vita, azione la morte»).

2.
  In tale incerta prospettiva l’uomo, attraverso l’obliqua e stupefatta visione del suo “doppio” mitico, si perde e si amplifica; si annienta e risorge; e torna, infine, a risplendere tutto: e in questo lieve ed estremo gioco di voci parallele, gli stessi dati della realtà si annullano e si arricchiscono, capovolgendosi e mostrandosi, poi, con l’ineffabile volto bifronte di un autentico mistero divino; ed è allora che la notte si configura anche, allo stesso tempo, come giorno; e il dormiente è anche colui che è desto; e la vita è la stessa morte (poiché, osserva Eraclito, «morte è quanto vediamo da svegli; sogno, quanto vediamo dormendo»; giacché noi «tanto siamo, quanto non siamo»).
  È dunque una poesia che annuncia e fa risplendere le forme alte dell’archetipo e le infinite direzioni dell’inesplicabile verità che esse mostrano, con l’impiego di una lingua mobile e inquieta, inserita in un fluire magico e trasversale, in cui molto è lasciato, paradossalmente, al non detto, all’appena sussurrato (ancora Eraclito: «la trama nascosta è più forte di quella manifesta»).

3.
  Febbrile, impaziente, denso di nervosissime deviazioni interne è lo stesso linguaggio della poesia di Vincenzo Di Oronzo, costantemente immerso in una ininterrotta, paurosa meraviglia, in cui tutto si estende fino all’inimmaginabile e all’inaudito, e ogni elemento si carica di prospettive inusitate, di sensi che si moltiplicano e che si rarefanno, che scompaiono e che ritornano a invadere e a pressare lo spazio della vista: insistono visioni costanti e ossessive (strumenti musicali antichi: l’aulòs, il cembalo; e il volto, il bianco, la luna; e un’ineffabile presenza femminile che sempre giunge a rendere più fitta, più inesplicabile la trama del viaggio oscuro del poeta).
  S’impongono accensioni che dicono l’intera vanitas dell’agire, completamente imprigionato nella follia del suo precipitare (persistente è il pericolo di un prossimo naufragio; e la mente si sbriciola, ora, «impazzita tra porte bianche»).
  L’uomo è protagonista e centro degli eventi: ma è pure esterno spettatore, e osservatore; impaurito, anzi atterrito e confuso dalle innumerevoli metamorfosi del volto dell’esistenza, egli agisce, sì, ma è pure visitato, abitato dall’Altro (ogni umana identità è allora tutta lacerata; ed è poi sempre sospesa «sulla scala dei doppi»; perché l’incomprensibile fluire dell’esistere è davvero, finalmente, «un incendio di specchi»).

4.
  Chi guarda, allora, s’illude di sapere e di essere (ché tentare di indagare la vita significa procedere con «una bendata follia»).
  L’uomo, così, è un danzatore cieco (anzi «un funambolo», suggerisce Di Oronzo), precipitato nel vortice delle ombre, delle illusioni, del proprio incessante frantumarsi e ricomporsi; egli corre, disperato, sempre verso qualcosa (verso l’esterno; e verso se stesso). In vero, il movimento è il suo destino e la causa della sua inadeguatezza rispetto alla totalità della vita in sé: «l’uomo – denuncia Lacan – non può mirare ad essere intero, alla personalità totale» (in Il seminario I. Gli scritti tecnici di Freud).
  La delimitazione del tempo suggerisce, poi, un’ulteriore ansia: l’avvertimento acuto di una distanza tra il soggetto e la cosa desiderata.
  È una tensione inconsumabile che assilla sempre l’individuo, invitandolo a colmare l’insopprimibile voragine segnata dalla dolorosa separazione tra sé e la vita, identificata con il desiderio.
  Se, dunque, il vero poetare coincide con il superamento di tale separazione, in cui il dolore sovrasta la differenza tra l’essere e il desiderio, tra il soggetto e la vita da raggiungere, bisogna dunque affidarsi a un’idea di finale coincidenza tra il poeta stesso e la scrittura, e tra il lettore e la poesia; ovvero, tra colui che guarda e la visione stessa (così come ricorda il mònito del distico finale che conclude Il Pellegrino cherubico di Angelus Silesius: «Amico, basta oramai. Se vuoi leggere ancora, / Va’ e diventa tu stesso la Scrittura e l’Essenza» ).

5.
  Le epifanie mitiche che appaiono nei testi di questa raccolta sono figure dell’Altro. Esse sanno evocare nuove, inesplorate forme dell’essere, avvicinabili soltanto nell’abbandono e nell’accoglienza di quelli che Jung definisce fenomeni di sincronicità.
  Sono brucianti proiezioni, queste, che si mostrano col duplice volto della malattia e del risanamento (poiché esse sono sempre farmaci, nel senso ambiguo della parola greca) e che si offrono allo sguardo dell’uomo, allo stesso tempo, come carezza e come lama.
  Ed è proprio la poesia a presentarsi come arcano, ermetico, iniziatico tramite tra la dimensione razionale e quella irrazionale: essa riesce a far convergere, in virtù di un estremo, e altrimenti indicibile incanto, i segni e i suoni di quell’intenso, profondo dialogo ch’è giocato, ansiosamente, tra il mondo esterno e il mondo interiore.
  L’uomo attraversato dalla poesia diventa altro da sé: intero e franto; uno e molteplice.
  Il suo movimento riguarda, ora, l’ascolto passivo di qualcosa che non tocca la ristrettezza della sua psicologia, ma che gli offre la beatitudine di osservare il vero, e il suo acuto segreto, nella loro esatta unità, finalmente ricomposta e ricongiunta (per un istante solo: cioè nella sconvolgente apparizione della parola poetica) in una inesplicabile, nuziale coincidenza trasfiguratrice.

 

***

 

Vincenzo Di Oronzo, In fuga dal volto
con uno scritto introduttivo e dipinti di Mario Fresa
Salerno, Edizioni L’Arca Felice
Collana «Coincidenze», 2010

[Libro di arte-poesia a tiratura limitata
(199 esemplari numerati a mano).
pp.64, più una litografia fuori testo.]

 

 

Testi

 

dell’arco il nome è vita, azione la morte.
Eraclito

L’IMMAGINAZIONE DEL TEMPO

L’immaginazione del tempo
                                    è il loto
o il tempo è l’aranceto insanguinato
                                    della luna?
                                    L’essere è acqua

o acqua
è l’anphora vuota della làmia?
Amore è mancanza
o amore è il sax incantato sulla strada?
Poesia è l’assenza
o poesia è la Sfinge
che interroga il foglio bianco?
Si sfrenano i cavalli concavi nella notte
del senso. Alzando
fuochi di sabbia.
Edipo disciolto nella sua ombra

 

PERSONÆ

Non c’è presente che non
si costituisca senza rinvio
ad un altro tempo, un altro presente.

J. Derrida

La mente grida oltre i vetri.

Passano

                  (Come i gesti di ieri
                  Come in sogno)

Personæ bianche.

Qualcuno mima l’amore,
Qualcuno indossa due nomi,
Qualcuno abbraccia nell’ombra
Le statue del dormiveglia.

 

CNOSSO

Tutto è sonno intorno a noi.
G. BRAQUE

[Cahier, 1917-1955]

*

L’alta dismisura
del gesto,

alti occhi
di statue
sulla piazza ovale,

donne
alzano scialli di pietra.

*

L’innamorata del Gioco
sulla scala dei doppi.

Se cerchi il suo volto,
se cerchi il suo corpo
in modi di farfalla?

*

Abitanti fissi
sulle soglie.

I guardiani si uccidono nel Tempio.

*

Pasiphæ Ombra

Sfiata l’effigie di un uomo.
La mente impazzita tra porte bianche.

 

I GUARDANTI ISTANTANEI

La ragazza forata alla gola
sulla strada dei carillon.
La statua sulla piazza che medita
il confine.
I guardanti istantanei

applaudono la morte.
La nave che approda
nella sua immagine bianca.
Tamburi di silenzio:

in fuga dal volto,
il maratoneta si svuota nell’aria.

 

LA TERRAZZA

Sulla terrazza dell’Ovest, c’erano dodici
                                                fanciulli
                                                tra vasi di oleandri,

allineati nel bagliore.
Abiti vuoti
sulla corda del vento.
Icosaedri balenanti
tra orologi d’acqua.
Hanno fatto in tempo quei volti ad amare
tra la metamorfosi e il sogno?
Ha fatto in tempo ad amare
la bambina murata alla fontana.
Quando a sera i giocattoli alieni
rubano gli occhi
ai passanti del Corso?

 

LUNA-PARK

Il tempo è ciò che è formato e ciò che è
senza forma, entrambe le cose.

[Maitri Upanishad]

3 cigni, bianchi per morire, guardano la mente
nello stagno.

3 manichini
3 lune
si disfano sull’arca del nulla.

Harmonium

Personæ
si sfogliano in uguali baléni.
Il corpo e la voce
in ritardo col tempo.
Nella gloria del Luna-Park
rotola un blues.
Con dadi di paglia
i ragazzi abbagliano la morte.

 

L’ECCEDENZA

[Per Flavia, Roma, 2010]

        Sconfina in sé
la bambina sul cartone di bambole.

        E il piede si mette a ballare.
        Il giocattolo bianco
        impaurito dal buio.
Scivola il costume sulla porta del sonno,
la cantilena nel cartiglio segreto.
L’occhio notturno veglia nel cristallo
la madre sul lago dell’istante.
        Sventolano cavalli d’acqua
        alla Fontana delle Naiadi.

Profili bendati si sfogliano nella sera.
        Eccede la luna:
        contro la parola,
        la linea s’inabissa
        nel pentagramma stellato.

 

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Nota biobibliografica

Vincenzo Di Oronzo, nato a Ceglie Messapica (BR), risiede a Roma e svolge la sua attività artistica e culturale. Già preside in Istituti di Istruzione Secondaria Statale, è critico letterario, saggista di Psicoanalisi junghiana, di Estetica, di Ermeneutica. Opere di poesia: La Coscienza dell’acqua (International Publishing, Ragusa, 2004); Mimi e sonnambuli (Edizioni Empiria, Roma, 2007); Hanphora Hermaphrodita (Cierre Grafica, Verona, 2007); Calchi di luna//Moon Castings (Gradiva Publications, New York, 2009). Opere di psicoanalisi e filosofia: Le lune di Jung (Moretti & Vitali Editori, Bergamo, 2009); Medea, in “Nel nome della madre” (Moretti & Vitali Editori, Bergamo, 2008). Suoi testi sono stati pubblicati su «Gradiva», rivista internazionale di poesia diretta da Luigi Fontanella. È presente in prestigiose antologie di poesia contemporanea del secondo Novecento. Nel 2008, ha vinto la VII Edizione del Premio Internazionale di Poesia ARCHÉ, di Anguillara Sabazia Città d’Arte.

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6 pensieri riguardo “In fuga dal volto”

  1. “In fuga dal volto”, poesia aulica e meta-fisica in cui si fissa se stessi nei simboli dell’immaginario classico. Scrittura popolata da statue-sculture in cui la realtà si ferma come pietrificata. Forse nell’immobilità è più facile rinvenire orizzonti, meditare sul nulla. La parola diviene effige, con-fine tra la vita e la morte.

    Rosaria Di Donato

  2. Di Oronzo è l’autore di un’altra bellissima opera che ho letto: “Hanphora Hermaphrodita”.

    Il saggio di Mario Fresa rende pienamente conto di una poetica affatto unica e originale.

    fm

  3. Hai ragione Cristina: Poesia. In uno dei suoi mille volti.
    Privilegiarne uno, come è ormai costume perversamente diffuso in rete e fuori, significa violentarne la natura, cercare di ridurre ad unità fittizia ciò che, per sua intrinseca necessità, è metamorficamente refrattario ad ogni rigidità, ad ogni gabbia, ad ogni tentativo di razionalizzarne la materia e i confini.

    fm

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