È un libro che trasuda buio quello di Ranieri Teti, spuria essenza di notte che condensa per consentire alla luce di piovere più autentica e forte, più feroce e ardente. Per poi concentrarsi e premere contro le pareti dure della parola scabra e spogliata fino a creparle, sgretolarle, defluendo infine in un dire poetico che di fatto rifugge l’oscurità più densa, in una intermittenza tra istanti di accecante chiarezza e repentini silenzi, ammuttolimenti e mutamenti, minuscole eclissi di spazi bianchi che preludono all’alba di un nuovo verso, o crepuscolari non detti che si chiudono nel punto esatto in cui si spalanca la sorgente del silenzio, per scagliare le parole oltre la diga della ragione. Entrare nel nero significa ritornarsi, discendersi dentro e spaccarsi per stillare sul limite del solco, coincidervi al confine con l’attorno, nel passaggio angusto tra il buio che si è stati e lo sbocco che si è, costretti o forse avvolti nell’alone di luce incerta di un futuro a stento figurato, nell’opaco che ci separa dalla superficie, “in questa brevità sospesa // tra non ricordare non dimenticare”. Perché il nero è “metà colore metà abbandono”, è grumo di ricordo e gravità di distacco, ed è accenno, sfumatura di tonalità futura. Noi stiamo nell’intercapedine, nel passaggio e nel passare. Non nel flusso, non nell’onda, né nel gorgo vorticante, bensì “nell’acqua trattenuta dalla sponda”, quella dove posa il piede prima dello slancio, prima del tuffo nell’oscuro lucore del non sapere, che è potenziale. Stiamo nella poca luce della eventualità, nel sussurro, nell’amnio cruciale del volo immaginato, mai prima osato. Divoriamo noi stessi per ripartorirci, ci consumiamo fino al nucleo per scoprire l’essenza, lo stoppino che ardendo ha restituito l’oscuro e può rifare luce, perché è “la voce che ha guardato per prima / la bocca fare a pezzi parole”, la sorgente inghiottire lo zampillo. Così come “è sabbia anche la bocca che divora la voce”, è riva friabile al margine di sabbie mobili, richiamo che rinnega, forse per paura del sole della comprensione a picco sul discorso, dell’irraggiarsi della comunicazione quando il calice del dire si frange in sillabe, esatti frammenti a specchio della parola intera e buia che siamo. Per troppa conoscenza del nero che è della scrittura, del “baratro offerto a chi è deserto”, per riconoscersi di vuoto nell’abisso, consapevoli che “nella pienezza è radicata l’assenza”, così come nell’oscurità la luce. Mentre le parole sfilano “sul bianco da un precipizio all’altro”, noi le seguiamo perciò a occhi stretti dal basso, accucciati nell’abisso, riparati dal silenzio delle cose, dove l’acqua tende, o piuttosto vorticando si frange per tornarsi, risalire, “non appartenere che a transiti e mutamenti”, ovvero vivere.
Ranieri Teti, Entrata nel nero
Prefazione di Chiara De Luca
Bologna, Kolibris Edizioni, 2011
Testi
Risonanze dell’oscuro
mostra i denti
come bestia cerca
cibo nel buio il lume
che bagna le mani
e il silenzio del foglio
delle dita sul foglio
tra i luoghi preferiti dell’insonnia
passa la notte nella sua opera
trasportare la superficie
in cerca di profondità
tra gli smottamenti delle cose
nel silenzio delle due rive
nell’acqua trattenuta dalla sponda
*
nella parte bianca la parte
ferita di derive va al nero
metà colore metà abbandono
in parte annottarsi o cadendo
disgregarsi dove si alza lo sguardo
*
nella breve intensità del sonno
in questa brevità sospesa
tra non ricordare non dimenticare
nel passaggio da una mano
che stringe a una che saluta
*
entrando in esilio da una fuga
di ore dal quadrante nel vocativo
dell’insonnia a ombre lacerate
nel valico della palpebra
quello che resta cerchia i giorni
tutto avviene intorno agli occhi
*
passaggi attraverso tenebre e altro tempo
sospinto verso la moltitudine di un giorno
inciso in questo passarsi accanto in questo
nient’altro che baratro offerto a chi è deserto
è sabbia anche la bocca che divora la voce
*
meta d’origine apice del doppio
inabissarsi nelle distanze dello specchio
tutti i passi nella metà d’ombra evasi
nel distacco dalla sostanza del movimento
andando nella memoria delle cose
più vicine a meno chiarore
*
in risonanza nell’introduzione allo scuro
recitativi e dialoghi dell’ombra sul muro
questi movimenti in figure di nessuno
per voce sola e illeso riflesso in vetri
quasi un richiamo dalla parte dell’eco
*
davanti a sé non ha pianure la superficie del suono
non ha dolore l’inserzione della lingua alla gola
e il tempo che passa da una parola all’altra
è un precipizio in equilibrio ancora sui crinali
di un’attesa uguale al nero che vive nel giorno
alla notte dentro le parole che passano
in fila sul bianco da un precipizio all’altro
*
da un luogo che non ha misura né arrivi
nessun collegamento sull’orlo delle cose
in un confinato perdersi di vista esitando
l’ombra staccata dal passo la sua impronta
in una terra respirata più volte si allontana
la destinazione che diserta nel suo contrario
*
dove prepara la carne un lascito di cornee
viscere della visione nella deriva delle cose
resta l’esitazione di un arto scomposto
sospeso tra arresto e passo e quell’ombra
non ha scheletro che la destini a portarsi
dov’è fermo lo sguardo rovesciato in occhiaia
*
tornano da sempre le voci del buio
le parole della notte tra pagine e fango
i dispersi e il fronte vivo del vuoto
nel giorno che restaura frontiere
*
tra sé vede confusa altri colori
la notte che si vela nel finale
con la fine nel chiaro del vero
ecco l’andare che ritorna nelle vene
questo movimento staccato del sangue
porta notizie di tutte le scomparse
*
nella divisa unità della frase
il bianco intorno unisce e separa
tutto quello che è nascosto e grida
in suoni sordi nel loro ritrarsi
di occhi al ratto delle visioni legati
al nero del film che assedia i colori
*
divide pensieri una parola mancante
diventa luogo di nessuno dentro
i solchi delle mani prossime al volto
simile a una porta dimorata in passaggi
nelle ore senza penombra nell’imbrunire
vasto di soglie che arretrano negli occhi
*
mentre si cambia colore
non dice del nero il bianco
nelle due finitezze pensata
la fine di ogni fine legata
all’inizio di tutti i partire
pensata una parola abitata
mentre si cambia dimora
______________________________
Nota biobibliografica
Ranieri Teti è nato a Merano nel 1958.
Ha pubblicato: La dimensione del freddo, prefazione di Alberto Cappi, Verona 1987; Figurazione d’erranza, prefazione di Ida Travi, Verona 1993; Il senso scritto, prefazione di Tiziano Salari, Verona 2001; Controcanto (dalla città infondata), immagini di Pino Pinelli, nel volume collettivo Pura eco di niente, prefazione di Massimo Donà, Morterone 2008.
È presente nelle antologie: Istmi. Tracce di vita letteraria, a cura di Eugenio De Signoribus, Urbania, Biblioteca Comunale di Urbania, 1996; Ante Rem. Scritture di fine novecento, a cura di Flavio Ermini, con premessa di Maria Corti, Verona 1998; Akusma. Forme della poesia contemporanea, a cura di Giuliano Mesa, Fossombrone 2000; Verso l’inizio. Percorsi della ricerca poetica oltre il novecento, a cura di Andrea Cortellessa, Flavio Ermini, Gio Ferri, con premessa di Edoardo Sanguineti, Verona 2000.
Fa parte, dal 1985, della redazione della rivista “Anterem”.
Collabora a riviste, cartacee e on-line, italiane e straniere.
Per conto delle Edizioni Anterem cura la collana “La ricerca letteraria”. Co-fondatore e responsabile del Premio Lorenzo Montano, ne cura il periodico on-line “Carte nel Vento”, presente nel sito www.anteremedizioni.it.
Figura nella direzione artistica del festival annuale VeronaPoesia. Vive a Verona.
______________________________
***
Partitura oscura nella notte della parola, nel nero dell’assenza, la materia si fa densa, opaca, assorbe tutta la luce, nel baratro dell’esilio, nella perdita. Capovolta la luce si fa ombra, non ricorda, dissolve la forma, sparisce perisce al fondo. Notte greve, nell’assenza di rifrazioni e mondi, la parola assorbe il vuoto dopo la fuga del bianco, tra “non ricordare e non dimenticare”, inghiottita dal nero che avanza..
Un testo gotico, tout noir.
Un saluto a tutti
SR
Grazie dell’intervento, Stefania. E grazie a Ranieri, che prosegue con questo libro la sua ricerca e la sua esplorazione sui/dai/nei margini della parola. Qui l’entrata nel buio ritaglia una soglia/sosta privilegiata nell’alternanza di transito/mutamento: un punto di osservazione/ascolto dove “il silenzio del foglio” viene a declinare i suoi alfabeti – dove l’oscurità è la lingua mai muta del suo inesorabile, ciclico trascorrere tra nominazione e oblìo.
Molto interessante e centrata anche la nota introduttiva di Chiara De Luca.
fm
testo barocco se barocco vuol dire essere già di un altro mondo.
questi testi non sono “in assenza di rifrazioni e mondi”, anzi. ne sono così densi che non si può ricordare non si può dimenticare, non si può che transitare in mutamenti e rovesciamenti. resta “la parola abitata mentre si cambia dimora” : il nero assorbe tutti i colori, non è buio! il nero è ritmo in questi versi, musica. e sapendo da dove arrivano questi versi (ovvero dalle altre pubblicazioni di Ranieri Teti) direi che non è conquista da poco. testo bianco mentre avanza la luce.
franco
Grazie dell’intervento.
fm
Elegantissima suonata per buio e parole! Genera un suono liquido
che supera quello verbale possibile e là dove un pezzo di immagine velocemente si illumina, gli occhi per esempio, un braccio, ci sembra di guardare il negativo della foto degli occhi. Ranieri fa diventare musica le parole, puro “ascolto”, distillazione, e quale atmosfera è più conciliante per farci sentire il pensiero stesso della parola pensata -che è suono- se non l’oscurità?
Come se delle mani suonasero sott’ acqua.
Cristina.
Grazie, Cristina.
Le “mani che suonano sott’acqua” è un’immagine bellissima: il “distillato” è la rifrazione pura dell’ascolto.
Un caro saluto.
fm
Anche a te, caro Francesco e ancora un bravo a Ranieri.
Cristina.
Complimenti a Ranieri, che ha illimpidito la sua voce a timbri di grande naturalezza. Questo “nero” è luminosissimo.
Un abbraccio.
Marco
Bellissime queste poesie di Ranieri Teti, che sembra voler esplorare la “soglia” i l’ombra da tutti gli innumerevoli angoli prospettici. Sciogliendosi in canto.
Grazie al caro e inimitabile Francesco
lucetta
Leggerò con estremo interesse questo libro di Ranieri che ho ricevuto proprio ieri e che mi sembra vicino al mio modo di sentire.
Un caro saluto
Mauro
Concordo completamente con Franco. Sono felice che sia stata colta, da Cristina e Lucetta, l’idea di musicalità legata a questi versi. Al di là del pensiero che ne è sotteso, come traspare da tutti i commenti. Un grazie a Francesco, al suo sguardo, al suo straordinario lavoro. Ranieri
Vi invito a leggere questa nota critica di Rosa Pierno:
http://rosapierno.blogspot.com/2011/06/ranieri-teti-entrata-nel-nero-kolibris.html
Un saluto a tutti.
fm
“/…/nero/metà colore metà abbandono”
Con queste parole la poesia di Ranieri che è fatta di vista e udito, diventa scrittura che spacca il cristallo puro del senso per regalare frantumi di illuminazione a un’oscurità che non chiede luce (non ne ha bisogno) ma li accoglie ugualmente, senza per questo dire “del nero il bianco”. E’ una poesia che lascia intatta la leggerezza del senso, che si sdoppia ogni volta
che l’esistenza dei nostri colori, tra il bianco e il nero, è assediata.
Si entra nel nero non per risalire al bianco, ma per cercare e per provare a ricomporre nella nostra difforme lingua, che in poesia è la nostra vita, ciò che sta tra “non ricordare” e “non dimenticare”.
Complimenti a Ranieri.
Un saluto a Francesco e a tutti.
Lo sguardo acuto di Giorgio ha focalizzato un punto centrale: “Si entra nel nero non per risalire al bianco, ma per cercare e per provare a ricomporre nella nostra difforme lingua, che in poesia è la nostra vita, ciò che sta tra non ricordare e non dimenticare”.
Mandel’stam affermava: “La poesia è un vomere che ara e rivolge il tempo portando alla superficie i suoi strati profondi più fertili,(…) la sua terra nera torna alla luce”. E’ proprio questa nera terra la materia della poesia. E proprio questa nera terra il poeta deve provare a innalzare, a illuminare, scavando sotto la crosta del mondo o dell’io.
Con la “nostra difforme lingua, che in poesia è la nostra vita” e contro la lingua della comunicazione.
Questa poesia ha tentato uno scavo per ritornare come musica.
Ringrazio Francesco per il rimando alla acutissima recensione di Rosa.
Un saluto a tutti i lettori.
complimenti a Ranieri per il suo libro.
il ‘gioco’ delle due zone, il nero (perché no sinonimo di assenza, lutto, mancanza) e l’altro luogo, il previo, l’anteriore, la zona che ci preapra alla transizione, al mutamento, mi pare sia raggiunto appieno e con uno stile sempre alto.
complimenti, ancora.
un abbraccio
” Entrata nel nero” di Teti è come entrare in un buio cupo, sono molte le sensazioni che si possono percepire, il buio talvolta è rigenerante, che diviene ebrezza e luce quando ne usciamo. “Disgregarsi dove si alza lo sguardo” è “nel giorno che restaura frontiere”.
Teti in questa sua profonda meditazione “credo” abbia voluto alleggerire l’angoscia del nero in tutti i suoi significati regalandoci poesia a dir poco magica.
Lino Giarrusso