IL MUTAMENTO
In assoluta umiltà, io dico che certe cose
sono più straordinarie di altre e che io sono una di esse.
Philip Roth, La Mammella
1
Quasi sicuramente al mattino non avrò più niente. Da qualche notte me lo ripeto. Il respiro non avverte nessun affanno. Provo a tapparmi le orecchie e mi accorgo del silenzio. È veramente notte. Ora che ci penso, è stato di notte. Ogni tremendo passaggio avviene la notte. Ma non è di questa notte che devo aver timore. Tutto è già avvenuto. Mi terrorizza il dopo e il prima degli altri. L’altra mattina vedevo mia madre parlare con il medico. Mio padre appoggiarsi allo stipite della porta che separa l’andito dell’ingresso dal soggiorno. Il volume della tv imperversare sulle loro facce.
Mi chiamo Nolego Gi e ho 25 anni. Il primo sintomo è stato un non sintomo. Questo è il terrore. La mia voce la sento uguale a tutte le volte che nella mia breve vita ho parlato. Il mio olfatto è canino. Ogni cosa che guardo la vedo prima ancora di toccarla. Il mio aspetto ho deciso dal risveglio di ieri mattina di non specchiarlo più. Evito persino di guardarmi gli arti superiori e di far sfilare i miei occhi sul resto del corpo. Questo non perché abbia notato qualcosa di diverso sul mio corpo, ma perché temo di trovarlo. Perché tra la notte e l’alba di questi giorni passati è successo qualcosa alla mia persona. Qualcosa che nessuno sembra volermi riferire. E questo mi terrorizza ancor più della cosa in se stessa.
Il medico viene tutte le mattine. Mia sorella Veriosel da qualche giorno non va a scuola. Eppure quest’anno l’aspetta la maturità, che già s’è persa l’anno passato. Mio padre non va al lavoro, e non ricordo di averlo mai visto in casa a metà mattino in giorni diversi dalla domenica o da qualche giorno di ferie che riesce ad avere nel mese di agosto. Il clima appare cupo e anche i loro volti.
Oggi sono riuscito a sentire cosa diceva il medico a mia madre, e cosa lei chiedeva con profonda apprensione. E questo dialogo scarno, indecifrabile ma inquietante, mi ha atterrito.
“Dobbiamo comportarci in qualche modo particolare” — “No, non sappiamo esattamente niente di preciso, per ora limitatevi ad evitare lunghe sequenze.” – “Ora dovrò fare tutte le richieste del caso, per un eventuale assistenza…” – il dottore interruppe subito mia madre: “Signora Maia, se si tratta di quello che temiamo, lo stato non dà alcuna assistenza. Anzi, in altri tempi chiederebbero l’eliminazione. Ora basta tenerli al coperto, sotto la loro luce… a domani, signora.”
Anche la mattina seguente, per me non è cambiato niente. Chissà perché si pensa che il farsi passare la notte addosso possa sanare qualcosa che ci affligge. Mio padre passeggia pensieroso per tutta la casa. Mi dispiace vederlo in quello stato, considerando il fatto che potrei essere responsabile di ciò, se solo me lo dicessero.
2
Il cielo azzurro raro, al di là delle nuvole. Il sole sembra di plastica. Dalla finestra è questa intensa serenità che mi indebolisce. Guardo giù e noto che si radunano diverse persone. Parlano tra loro. Non vedo le loro espressioni, ma il gesticolare esprime stupore, meraviglia. Sono davanti al portone della palazzina dove vivo, in questo quartiere popolare e popolato. Mia sorella Veriosel mi evita. Questo mi fa pensare possa temere qualche contagio, oppure è arrabbiata perché a causa mia, del mio stato, non può uscire di casa per la vergogna, in quanto tutti commentano il mio stato.
Mia madre mi porta il pranzo in camera. Pensandoci, non mi è stato imposto, non sono stato relegato nella mia stanza. Sono io che non esco perché non so bene cosa mi stia accadendo, cosa mi sia accaduto. Una trasformazione è evidente, ma non un mutamento evidente. Mia madre appena può mi accarezza i capelli e mi tocca la fronte poggiando anche le labbra, come faceva quand’ero bambino per tastare la temperatura. Io non ho neanche il coraggio di chiedere qualcosa, ufficialmente è tutto normale. Più o meno tutti fanno le cose di tutti i giorni. A parte qualche presenza, come ho detto, in orari anomali di mio padre e di mia sorella, per il resto tutto procede abbastanza regolarmente. Se chiedessi chiarimenti potrei creare sbalordimento nei miei, potrebbero pensare che la straniata diffidenza possa avere a che fare con lo stato della mia mente. Quindi sarei io a pensare che quanto accaduto in una delle notti passate mi ha cambiato la vita?
No, la pazzia è cosa di cui difficilmente il pazzo può discernere le sfumature e il volto dei miei cari non lascia dubbi, che qualcosa d’irrimediabile si sia verificato, qualcosa che va oltre un esaurimento nervoso. Mi lasciano coltelli sul vassoio del pranzo, mi lasciano solo nella stanza e non hanno sbarrato in qualche modo la finestra. Sono io che non apro la finestra perché, e qui mi sento ridicolo, ho paura che l’aria fresca possa recarmi qualche danno. Non so esattamente questo mio nuovo stato cosa possa sostenere, rigettare con violenza o subire inerte. A volte per sorridere mi dico: non sono un vampiro, perché la luce mi avrebbe già incenerito. A meno che non sia un’evoluzione recente del vampiro, ma non avrei remore nel volteggiare sopra i curiosi davanti al mio portone per dirgliene quattro.
Quello che sono diventato non sarà una persona peggiore di quella che ero, se quello che ero non era migliore di quello che sono ora. Però prima ero una persona, e ora?
3
Sul mio letto i libri di alcune storie. Apuleio trasforma la brama di magia e curiosità di Lucio, che vorrebbe diventare un uccello, in un asino. Kafka, il povero Gregorio in un goffo scarafaggio. Philip Roth trasforma il suo professore David Kepesh in una sensibile mammella. Gogol cambia il mattino e la vita al povero maggiore Kovalèv, che controllando un foruncolo che aveva la notte prima sul naso si accorge che al posto del naso c’è una parte liscia e piatta; allora esce in giro per vedere se gli riesce di trovarlo, ma se lo vedrà sfilare e scendere da una carrozza, iniziando così un inseguimento per tutta San Pietroburgo.
Ma Nolego Gi, ossia me, cosa lo accomuna a queste diversità?
Sono tutte ben visibili. A parte Lucio, di cui potremmo non sapere che quell’asino in principio era un ragazzo; e alcune donne nel romanzo non sapendo che nelle sembianze dell’asino si cela un ragazzo, ne approfittano anche sessualmente. Però un naso che cammina in divisa con tanto di sciabola, o una mammella che pesa settanta chili, così come uno scarafaggio abnorme, non lasciano dubbi sullo stato e sulla metamorfosi di queste persone.
Anche questa giornata è ormai trascorsa. Presto un’altra notte mi darà la speranza che domani mattina questo stato possa finalmente svanire. Veriosel, mia sorella, è uscita qualche minuto con un’amica. Fuori fa già buio. Non voglio pensare che si è azzardata ad uscire perché, vista l’ora, può passare inosservata. Non voglio pensare molte cose. Ho letto tutto il giorno di storie di metamorfosi e mutamenti, senza aver capito abbastanza del mio stato. Oggi ho anche provato delle emozioni particolari. Ero sempre nella mia camera. Niente di specifico. Però c’era la porta aperta, e vedevo l’andito, la luce filtrare dalla vetrata della stanza da pranzo, che aveva la porta aperta. C’era anche la radio accesa e un programma dedicato alle musiche dei film, le colonne sonore. Non mi sembra ci fosse altro di particolare. Ricordo di non aver mai guardato così intensamente alcune ombre che si formavano e i pulviscoli di polvere dorata che brillavano leggeri tra i giochi di luci, e che tutto pareva fermarsi, fermarsi in un’eternità breve.
Poi provai a bere un bicchiere d’acqua, e l’acqua ancora mi dissetava.
4
Oggi, 11 gennaio, alle ore 11:30, hanno recapitato un plico a casa. Ha aperto la porta mia madre. Lei era già lì davanti alla porta, prima ancora che bussassero. La mia stanza è in fondo all’andito, all’estremità del soggiorno. In mezzo c’è la porta d’ingresso e di fronte la camera da pranzo, quella che usiamo nei giorni di festa per far accomodare gli ospiti. Inizialmente il nostro medico la mamma lo faceva accomodare nel salone da pranzo per la prescrizione delle ricette.
“Riservata per Nolego Gi, figlio di Uandèio Gi e di Maia Gior, fratello di Veriosel Gi. Firmi qui, signora. Lei è Maia Gior?” – “Sì, sono io.” Trema come una foglia, mamma. È strano come questa comune similitudine rende appieno la fragilità di alcune persone. Il reca plico è rigido nell’aspetto e nella forma. Vestito con una sorta di divisa azzurra, ha i capelli dall’aspetto plastico. Mia madre dopo aver firmato lascia cadere a terra il plico, che fa un bel rumore. Lo raccoglie incerta come a non voler vedere il contenuto. Apre la busta che è grande, come a contenere delle pellicole radiografiche. Legge qualcosa e poi cade anche lei, mia madre, lasciando ricadere sul suo viso tutti i fogli.
È una scena cui assisto impietrito nella mia stanza. Non riesco a precipitarmi verso di lei. Sono immobile, bloccato, seduto sul letto con le spalle al muro. Mio padre sente il trambusto e si sporge dal soggiorno, per poi correre solcando l’andito e urlando il nome di mia madre fino a chinarsi su di lei. Si presta anche mia sorella, la dolce Veriosel, alquanto spaventata. Sono affranto da un senso di rimorso. Il mio stato ha creato tutto questo. Il mio stato sta frantumando un mondo che era sereno, e che poteva ritenersi felice, della felicità della gente semplice.
Questa mattina all’alba ho pensato che avrei finalmente avuto la testa malformata, oppure il collo allungato e ripiegato su se stesso. Invece ho continuato ad avere tutto al suo posto, tranne un’infinità di sensi indescrivibili. Per esempio, mi è parso di vedere gli odori camminare e i suoni colorarsi a lungo.
Vedo mio padre avvicinarsi alla mia stanza. Ha un passo lento, la testa bassa. In una mano tiene il plico che ha fatto svenire mia madre. Nell’altra, che non vedo, penso abbia una pistola. Ma è il pensiero di un attimo. Si affaccia sulla porta e mi porge la busta con uno sguardo comprensivo. “E mamma come sta?” – “Meglio. Non tutto è finito. Noi saremo sempre uniti!”
La busta ha un colore carta da zucchero. Al centro ha un simbolo, un grosso cerchio giallino. C’è una sigla: CNMS. Centro Nazionale Monitoraggi Sistematici.
Non aspettavo altro. Eppure stento ad aprire la busta e leggere. Qui c’è il mio destino. Qui c’è il mio futuro o non futuro.
5
Sequenziamento del DNA eseguito. Esito positivo. Ricerca effettuata dal professor Miky Presmu. Un numero alterato di cromosomi ha reso mutevole nel tempo il mio genoma. Un’ulteriore variante delle Trinucleotidi, triplette che si ripetono nel DNA in modo frequente, scatenando malattie degenerative. Il mio caso non è tra quelli contemplati e riferiti a questa anomalia genetica, però presumono sia una mutazione genetica che parte da questa ripetizione eccessiva in alcuni punti del DNA. Inizia tutto con un’alterazione degli stati sensoriali, in particolar modo olfattivi, per esplodere con bagliori animati, quasi ologrammi.
La mia mutazione non lascia scampo, è irreversibile. L’analisi è stata ripetuta più volte per essere certi. Sono mutato della mutazione dei miraggi. Deficio Uti Rentalis. O più banalmente Sindrome del Videotecaro. Una figura antica e scomparsa dalla nostra società. La loro scomparsa è stata causata dall’abbattimento di tutta la razza, perché ritenuta inaffidabile e pericolosa. La loro comparsa era inizialmente tenuta in gran considerazione. Gli si affidava il compito di sollecitare le emozioni del popolo, così come loro ritenevano giusto per ognuno, assecondando ogni persona. Avevano inoltre il compito delicato di indicare, come fosse un racconto, storie dedicate ai bambini. Da lì di fatto partì la caccia al videotecaro, perché la sua volubilità scatenò la paura nella gente, decretandone la pericolosa inutilità.
Da qualche anno chi viene invaso da questa mutazione, non viene più abbattuto. Il governo ha messo a punto uno studio che possa permettere alla famiglia di accompagnare il proprio caro durante questo cammino, che è senza ritorno. Per le famiglie è un carico devastante. Li guida l’amore, che li tiene uniti, lo stesso che li estranea inesorabilmente dal resto della società, in quanto non più comuni agli altri. Una ragazza mi aveva detto: il tuo destino è nel tuo nome! E mai avrei pensato potesse essere realmente così.
I familiari del Deficio Uti Rentalis, una volta accertata la mutazione, vengono tutti sottoposti a rigide analisi, anche se questo tipo di lacuna del DNA non viene trasmessa dai geni. Paradossalmente potrei prolificare senza che i miei figli nascano con il DNA visionario, scassato.
E questa sembra una bella storia.
6
Oggi è il compleanno di Veriosel. Mia madre le ha fatto tingere i capelli. I suoi capelli sono castano chiaro. Oggi ha i capelli biondi. Sciolti e cadenti sulle guance. Indossa una magliettina stretta e degli short. Stranamente porta degli occhiali da sole dentro casa con le lenti a forma di cuore. Oggi ho anche passeggiato lungo l’andito, fino al soggiorno. Sul tavolo una pila di libri. Sembrano tutti relativi al cinema. Uno, il cinema di Kubrick, ha in copertina una ragazzina che somiglia a Veriosel. Oggi c’è il mercatino dell’usato, nel quartiere. Arriva gente da tutta la città. Mia madre e mio padre sono usciti presto, questa mattina. Inizialmente pensavo per i preparativi della festa di compleanno di Veriosel. Ma non è così. Mio padre è appena salito di corsa, agitato e sbracciato per aprire l’altra metà della porta d’ingresso. Mi vede sull’andito e sorride – “ciao Nolego, ti vedo bene”. Poi scompare di nuovo nella tromba delle scale.
Mi sono riadagiato sul letto, mentre sento la voce di mamma infilarsi dal pianerottolo nell’andito fino alla mia stanza. Poi un trambusto seguito dall’apparire di uno scaffale e subito dopo alcune scatole. Mio padre si avvicina alla mia camera, strisciando lo scaffale, che non dove essere pesante. Lo ferma poco prima della porta, ed entra controllando le pareti e misurandole con il palmo della mano. Ha un sorriso sereno, come di chi ha scoperto qualcosa, o come di chi ha scoperto una nuova stella, o il modo di accarezzare la luna, o di chi ha saputo che non morirà più.
I miei hanno metabolizzato il mio stato. Fa parte di loro perché io sono parte di loro. Hanno comprato una serie di cianfrusaglie al mercato dell’usato, scaffali e oggetti che usavano le videoteche. Hanno girato per tre ore, prima di trovare qualcosa. Nessuno più tratta questi articoli. Non si rifilano neanche gratis. Solo una bancarella vende ancora questi oggetti. Si è creata un mercato rivolto alle esigenze come la mia. Una sorta di parafarmacia della sindrome del videotecaro.
Mia madre guarda mio padre con tenerezza, mentre lui costruisce il mio habitat naturale. La cosa strana è che anch’io li guardo senza dire niente, compiaciuto e per niente stupito nel vedere quegli scaffali riempirsi di copertine di dvd, riempirsi di storie altrui e sogni colorati e in bianco e nero.
E non appena mio padre finisce di sistemare le pareti, mia madre chiama mia sorella per venire a vedere l’acquario che mi permetterà di nuotare e respirare. Solo che anziché chiamarla Veriosel, l’ha chiamata: – “Lolita, vieni a vedere”.
7
Il campanello suona. Ciò che stupisce è che non aspettiamo nessuno. Dalla conclamazione della mia mutazione non è venuto più alcuno a trovarci. I parenti sono scomparsi. Gli amici sono scomparsi. Oggi suonano alla porta. Sono le 17,30 e il suono del campanello sembra gracchiare. Sembra come quando parli dopo essere stato zitto per ore. La voce non si compone.
Mia madre apre la porta con un sorriso sereno. Probabilmente pensa che si stia mettendo tutto a posto. Che ogni cosa vada per il meglio, ormai. Che è stato solo un brutto periodo. Mio padre si affaccia sull’andito e ha lo stesso sorriso. Questo è quello che pensa ogni famiglia quando viene attraversata da anomalie, che tutto torni presto alla normalità, anche se mai più potrà essere possibile.
La signora Teresa del quinto piano, due sopra il nostro, è lì sulla porta per riportarci alla normalità. E nessuno, tranne me, ha notato il sorriso di mia madre, per un attimo, spegnersi. E’ stata una frazione di secondo, un muoversi di ruga per inerzia. Perché la signora Teresa è una prostituta. E nel quartiere la chiamano Teresa la lorda. Però quell’attimo è stato tale, e mia madre ha subito fatto accomodare la signora Teresa nella sala buona, alla stregua del dottore.
Dopo averle offerto un caffè, l’accompagnano verso la mia stanza. Lei mi guarda e sorride. E’ molto bella e ancora giovane. Mio padre tossisce guardando mia madre, e lei come ricordandosi qualcosa da fare immediatamente, si allontana dicendo: – “scusate, stia pure comoda, qui con Nolego”.- E si trascina via mio padre chiudendo la porta della mia stanza con molta attenzione, come a non frastagliare un’atmosfera che sembra crearsi.
La signora Teresa continua a guardarmi e ha un sorriso che ti mette a tuo agio. Così seduti sul lettino della mia cameretta, con la mano tenuta tra le sue sopra le sue gambe, comincio a parlarle spudoratamente di film e delle luci e delle ombre e delle voci che camminano sopra il cielo tra le nubi e dei piani sequenza che tolgono il respiro. E lei è la prima persona che mi ascolta senza scappare via.
Teresa mi guarda finire il racconto di Elephant man, la storia di una malformazione cefalica che ricopre un’intelligenza sensibile, e mentre mi stringe le mani piange. Teresa la lorda è la prima volta che offre una prestazione d’ascolto. Emozionata le trema la voce e non parla. E’ la prima volta che sta con un contaminato che può stringere in un abbraccio senza timore. Teresa è stata abilitata dopo un breve corso di formazione dal CNMS. Le è stato insegnato come incamerare ogni lampo d’immagine, ogni controcampo, ogni storyboard, senza averne ritorni emotivi e soprattutto senza mai riportare all’esterno e ad altri ciò che il Deficio Uti Rentalis manifesta come un film muto fatto di parole.
Ma Teresa ha un cuore antico, e non lo si può rendere impassibile.
***
cos’è, una sorta di diario…?
la scelta delle immagini è sempre molto interessante, a prima vista non mi sembrava un profilo di viso ma il nudo torace di una donna.
Ciao Carla…sì, questo attendere che il giorno gli passi addosso a tirar via qualcosa, può far pensare a una sorta di diario…ma non si può definire propriamente un diario…
E’ vero, le immagini che Francesco sceglie e abbina ai post sono soprendenti e veramente esaustive…
molto intrigante
è verosimile che in una società di mutanti si possa accettare la deformità, ma forse è meglio dire la difformità.
fa pensare a quali e a quante aberrazioni e circostanze al limite del vivibile, si adegui l’essere umano… e questo fa un po’ paura.
Ciao Cristina, le aberrazioni e circostanze sono talmente tante che la maggior parte sono integrate nell vivere quotidiano e non risaltano più a nostri occhi, in continua e crescente appunto aberrazione ottico-emotiva…il sentire paura verso una “diformità” normalizzata o normalità diformizzata, può essere ciò che ancora ci salva…
Un Saluto
mm
Maurizio è un giocoliere potente ed ispirato. Le parole cadono dai suoi becker per raggrumare sul foglio (elettronico) con efficacia ed originalità. E, cosa alquanto inusitata per le nostre asfittiche penne nazionali, il precipitato di significanti che tracimano dai suoi alambicchi è sempre di qualità, sia esso in prosa piuttosto che in versi. Un saluto, Luca
Un saluto a te, caro Luca!…
Grazie della presenza e del segno!
Maurizio
Maurizio, da qual giocoliere ispirato è, non si offenderà se trovo i suoi versi più potenti della prosa..forse perchè sono più, come dire…*eletrizzanti*…?
p.s., Francesco deve avere un bel repertorio di *immagini artistiche* dal momento che riesce sempre ad azzeccare quella più adatta al contesto).
Un carissimo saluto anche da parte mia :-)
C.
Ma perchè qualcuno potrebbe mai offendersi con te?…
Contraccambio il carissimo saluto…:)
mm
concordo con Carla,lo scrivere di Maurizio,svincolato da obblighi poetici,gli permette di giocare con i colori della mente,facendo parole come materia da manipolare,una creta di immagini…
i miei complimenti…hasta
Ciao Thomas…ogni svincolo nasconde a sua volta un vincolo…
e noi che siamo fatti della stessa sostanza dei film
non possiamo sottrarci.
Grazie della presenza!
(per il post signore e signori c’è un plagio voluto alla seconda riga…:)…)
Caro Maurizio, come vedi le “note” non sono servite: un testo, quando è valido, arriva sempre – dove e come deve.
Ciao. E grazie a tutti.
fm
Già!…Grazie per la tua grande disponibilità.
Un caro saluto.
mm
Di grande suggestione. Complimenti Maurizio.
Ciao Pasquale, grazie del tuo graditissimo passaggio qui!
mm
ottima “sceneggiatura”. a ragion veduta citi apuleio, kafka, roth, gogol – non c’è che dire, un bel quartetto d’archi_tetture narrative – rivisitando con coraggio il topos della metamorfosi. l’intuizione di traslare il mutamento dal piano fisico a quello funzionale, mantenendo intatto il pathos sotteso all’avvento del mostruoso (orrore, impotenza e smarrimento), mi pare più che buona. esteriormente, dunque, nessun aberrante mutamento è riconoscibile quasi che l’io narrante dicesse: “sono un mostro anche se non si vede: ora te lo mostro”, iniziando per l’appunto a narrare.
: )
in questo senso, aggiungerei un pizzico di dick (la realtà in sé è mostruosa, poiché è rappresentata da un numero infinito di storie, di immagini, di controcampi e di storyboards paralleli, tutti soggettivamente tangibili, ma oggettivamente insussistenti). ecco dunque che la capacità di abbinare la storia giusta alla singola persona, compito proprio del videotecaro (nolego gi = noleggio), diventa in effetti una facoltà mostruosa e inaffidabile: solo l’abominio del totalitarismo può immaginare un criterio soggettivo che s’oggettivizzi, sottomettendo il reale alle nostre esigenze, siano esse edificanti o terribilmente funeste.
l’occasione persa è che avrei insistito di più sull’ambivalenza della figura del videotecaro: il mostro in ultima analisi si rivela un’entità quasi positiva (sindrome semi-disnejana da bella e la bestia?), mentre la natura del tutto sarebbe stata assai più scomoda/inquietante lasciando il lettore nel dubbio dell’inconoscibile (gorgia che trionfa su kant, sbaragliando le nostre rassicuranti categorie mentali). ergo, nel finale, sul lettino accanto alla prostituta, mi pare che la figura del protagonista scarti troppo verso il buon “cinefilo/affabulatore” tradendo l’ambivalenza prevaricatrice e *transoggettiva* del videotecaro…
la figura della *escort* invece calza a pennello, in quanto come il videotecaro vende astrazioni mentali così la puttana vende fisicità corporali: sempre prostituzione è, con l’aggravante che si passa dalla congiunzione carnale dell’amplesso alla congiunzione mentale *venduta* come fosse materica. il libero mercatodico ormai ha fatto di noi impeccabili patrioti del consumo, adepti della setta spesatanica mondiale: il vero orrore è questo, almeno per me che da sempre sostengo il copy-left nell’arte.
*lor-darsi* d’emozioni, quindi, pare essere il messaggio finale (di nuovo, forse, troppo rassicurante?), appeso alla speranza che qualcuno degli “utenti” conservi ancora un cuore antico-nsumistico. vabbè… spudoriamoci, allora, spudoriamoci tutti insieme, seppure financo entro gli ultimi baluardi di resistenza sia ormai contenuto il germe della resa (nevvero, te-resa?)
: )
: (
ohi, scusami il delirio e grazie per la bella lettura che m’hai regalato.
(occhio, refusi: “un eventuale assistenza”, “che non dove essere pesante”)
Che bel commento Malos!…:)
Chiaramente non potevi sapere del mio “conflitto d’interessi” in questo racconto…:))…ma “il mostro che in ultima analisi diventa una figura quasi positiva” non è solo per questo conflitto… la tua nota mi ha fatto venire in mente alcune domande: è nato prima l’uomo o la televisione? – è più veloce il pensiero o il telecomando?…ancora: è nata prima la coscienza o i ghetti?…domande a cui possiamo dare risposta ma che stiamo lasciando scivolare tra quelle di cui non si avrà mai risposta, antinomie…e il “vero orrore” è questo. L’accomodamento, quello che chiamiamo “selezione naturale” e conseguente relegazione. L’orrore lo vogliamo osservare senza toccare, ricordandoci e mettendo in atto uno dei primi insegnamenti non appena muoviamo braccia e mani: guardare senza toccare!
Il posto-altro-ghetto è quello che ci rassicura come unica possibilità degna per chi potrebbe disturbarci stando al nostro fianco, respirando la stessa aria, allora interviene la selezione naturale che è auto inflitta se ti accorgi che è il momento di “ritirarti”, inflitta se non provvedi da solo.
Il “lor-darsi” d’emozioni seduti nel lettino-acquario-ghetto, è il punto di partenza, il riaversi, provare a tastarsi senza terrore, a riconoscersi, una “prostituzione” senza richiesta. Il cuore “antico-nsumistico” siamo noi a farlo pulsare, a curarlo, a bypassarlo…”un danacol a sturare le vene”…(mi cito addosso…:D)…
Anche a me piaceva l’idea di lasciare il protagonista senza risposta…e qui forse s’infila un po’ il mio “conflitto d’interessi”…:)))
Grazie della lettura e della bellissima nota.
Un caro saluto
Maurizio
ps
Tu che sei delle “brigate in prosa”…in questo blog trovi grandi cose…cerca i testi di Antonio Scavone…
Comincio con una premessa: provo una certa sensazione di familiarità con i tuoi scritti. Mi identifico con il tuo io narrante.
Trovo nei tuoi lavori molta energia e coraggio nel raccontare il tuo io più segreto, mi rispecchio in te.
Ne “Il mutamento” citi Kafka e Elephant man, miei personali oggetti di studio, inoltre Philip Roth è un autore che ho “annusato” ma non ricordo se ho letto qualche suo romanzo.
Ti lascio con una critica: non chiamare lorda la donna di malaffare che ti ascolta, chi ti ascolta è sempre un angelo.
Ciao Giovanni, grazie per l’osmosi…:)
però non devi mischiare troppo i ruoli…l’io narrante chiama Teresa la Lorda perchè così viene chiamata nel quartiere…credo che Teresa nel racconto assuma un’importanza “alta”…che rasenti la figura dell'”angelo”…del fango da cui nascono i fiori…
Un caro saluto
Maurizio
che cosa strana…nel dipinto di Ivan Crico non ci vedo più il torace di donna ora, ma solo il profilo e l’orecchio…
Maurizio, bello il tuo collegamento alla canzone del Faber, Via del campo.
[per Francesco:
se passi da me ho trovato una bellissima citazione di Cioran sulla musica di Bach, la metto sotto *Esilio di voce*]
Buona domenica!
bello tosto davvero
nella sua commutevolezza
effeffe
ciao Francesco
grazie per lettura e per il segno lasciato.
mm
(emmemme) :))