Fuoristagione

Vanessa Woods Ephemeris
Vanessa Woods – Ephemeris

Lucia Tosi

accessi di tosse lacrime rantoli
sospiri il vestibolo dell’inferno
suona e rimbomba come casa mia
per la bestemmia bisogna esserci
portati ci vuole ritmo e fantasia.

.

Testi inediti
(2013)

e piove

e piove
e ho mal di schiena
e ho fatto un sogno
e non mi piace
e niente buone nuove
e sono un’anima in pena
e invece avrei bisogno
e pure tu di un po’ di pace

*

anche i poveri s’inGozzano

zuppa di porri patate piselli
spezzati a questo siamo tornati
un cibo buono di poche pretese
con il plauso dei dietisti pivelli
che invece penso alla fine del mese
ai denari che non sono bastati.
nella miseria generale anche
una minestra innocua e nutriente
fa pensare ai guai ai soldi alle banche
perdiamo il gusto del poco, per niente

*

per/con n.c.

non odio il piangere in sé
perché mi è amico e ristoro
ma il piangere di prima mattina
mi riporta a me stessa bambina
al clop clop delle lacrime
che cadevano lente nel latte

*

“il vuoto è la misura di tutte le cose” (autocit.)

[strani vuoti. alle sette e un quarto qui non c’era nessuno, o quasi. mi pareva d’essere la donna delle pulizie prima che aprano gli uffici. per strada lo stesso: interi tratti con nessuno né davanti né dietro. vuote, a sorpresa, perché mai che io ricordi una scadenza, due ore di classe. la testa un po’ vuota, perché ho fatto tardi. la provvidenza c’è e in quanto tale vede e provvede: mi sgombra le strade e mi assottiglia il lavoro, che chissà cosa potrei combinare. ma mi riempie anche di nuovi tormenti, perché non le si può chiedere troppo: io poi che non le chiedo niente. ecco, preferirei, di gran lunga, in questo momento, potermi liberare dal bradipismo cerebrale e dinamico, riempirmi di pensieri pragmatici e di furore muscolare, e lasciar fuori i miei soliti banalissimi interrogativi sul senso, umilmente redatti nella domanda “a che càspita serve tutto questo?”. mica i massimi sistemi].

*

a las cinco de la tarde (it’s tea-time, madam!)

la bustina del mio controdolore
non posso prenderla a stomaco vuoto
son quasi contenta di quel sentore
come di cane che raspa nei bronchi
bisogna mangiare qualcosa è noto
se non vuoi che lo stomaco t’accocchi
non me lo faccio ripetere due volte
non m’importa del cane né dei cocchi
m’importa del te e dei biscotti

*

tra donne sole

nel silenzio dell’avita magione
una a correggere l’altra a scrivere la tesi
la lavastoviglie che finisce il suo ciclo
ci sorprende con il suo reiterato bip bip bip bip bip…
stiamo per esplodere!
(ci prende la ridarola nell’ora della stupidera)

***

parentesi metapoetica sulla sua già metà-poesia
(lost in the web)

1.
disse quel tal guittone da arezzo
ora parrà s’eo saverò cantare
perché non se lo filava nessuno
con quelle rime fare andare amare
fece rime dure oscure rare
e ancora lo sdegnarono un bel pezzo
poi quando non fu più imitazione
giù tutti a far man bassa a trombare
il trobar clus in continuazione
guido e guido e dante e più di uno

2.
le questioni che poni
sono fuori dalla mia portata
inventati una scusa
fai la smemorata
non dire che t’ho delusa
di’ che non m’hai trovata

3.
non vieni mai a trovarmi
perché per essermi amica
tu vuoi ch’io a mia volta
non sia amica della tua ex amica
cosa vuoi che ti dica?
mi pare cosa da persona stolta
potrei provare a provarmi
ma in certe cose sono piuttosto foca

4.
state troppo in rete
tu e le tue rime desuete!
registrati alla siae:
chi ti copiasse, vae!
proverai il disagio
di scoprire il plagio
ma ti rifonderanno i danni!
(se trovo un giudice che li condanni)

5.
visto che ti nascondi
mi nascondo anch’io
ma chi credi di essere
dico io, chi credi di essere?
dio?

***

variae

settenari, così, di tacco

alzandomi ho pensato
chi avrà lasciato mai
la luce accesa in sala?
era nebbia spalmata
sul vetro uno schermo
scintillante/inquietante,
un velo pascoliano
che tutto ha ammantato nascondendo le cose
vicine, schermo/siepe
che lo sguardo esclude.
non mi sento protetta
e nemmeno sognante:
penso al traffico lento
ai capelli bagnati
ai denari buttati
alla noia che cova
un quesito un’ansia
antica e insieme nuova

*

in vino veritas

sull’orlo di un discreto alcolismo
bianco secco gelido e serata solitaria
mi sogno sfatta biascicante con un dito di
grigio tra i capelli bisunti le ciabatte la vestaglia
irrecuperabile a me stessa al mondo: adoro questa
messa in scena di me debole insoddisfatta quasi demente
da cui mi salvo per il troppo ridere che ogni cosa mi trasmette

*

leucade

il delfino che tra skorpiòs
e lefkada facendo carambole
coi suoi fratelli mi incantò,
sembrava volesse parlarmi,
dirmi vieni! tuffati! non aver paura!
mi trattenne un pudore strambo:
un’occasione noumenica perduta,
ancor mi chiedo se mai ne riavrò.

*

threnòs

si diceva di gente sana che tenga i piedi per terra
che scriva, se ne è capace, se ha qualcosa da dire,
ma che non pensi la vita come tutta nelle parole
scritte, ché, come la metti, sempre finzione è
e non è vita. questa scorre, e non sempre ci esalta:
anzi, a dire il vero, a pensarci è piatta come una pianura,
assolata o piovosa, son dettagli: sul fondo la certezza della noia.
tornando, il bus gareggiava sul ponte con un treno che, uscito di stazione,
– ed era di sicuro il tuo, le undici o giù di lì – andava lento e pareva
lasciasse vincere le ruote in un’illusione di gara. ora un soprassalto
lo spingeva avanti, e le teste scomparivano alla vista, ora un improvviso
rallentamento mi rimetteva sotto gli occhi il ragazzo e la giovane
con le dita e le braccia intrecciate sopra il tavolino: una volta, due volte,
tre! ecco la vita e i piedi per terra: lui che la trae a sé e la bacia ridendo,
e ancora e ancora. dietro il treno e dietro le mie spalle
stavi tu laguna, e tu luna invisibile. io a sognarvi entrambe,
senza vedervi in figura, con i bastioni dei cavalcavia
in ipnosi alcolica dentro gli occhi, ho pensato: ecco, il solito
scacco, la vita è qui e quando la vedo pulsare mi ammalo di parole,
la penso da subito in parole. opera aperta, in fieri, non so.
era poco fa.

*

la verità che giace al fondo (cit.)

non ho mai preteso di possedere
la verità che non può stare dentro
di me o di te o di lui di noi di essi
è presunzione di piccoli e fessi
non sta di lato e neppure al centro
è uno sguardo lungo: un antivedere

***

Madri

Madre

Avevo nove anni quando tu avevi
gli anni che ho adesso io. Troppi
i tuoi per parlarmi troppo pochi
i miei per capire il tuo primo addio
alla giovinezza. Scopro adesso
gli stessi segni, le stesse ingannevoli
morbidezze dell’abbandono.
Non ho io però una bambina ignara
a vedermi vecchia e irripetibile:
ho una fanciulla in fiore
rivolta verso un altro sole.
Sola ero senza di te allora
adesso sola nell’incalzare delle età.
Te ne sei andata, or son tre anni,
al solito, senza parlare.

*

Le creature di cielo

Potessi andare al mercato a comprarla
ci correrei: vedi, c’è il sole
che invita a passare tra i banchi e le ceste.
Intenta a cercarla
non potrei non vedere i fiori, i pulcini
morituri dopo le feste – ricordi? -,
e il vestito da niente che a te con poco
starà così bene. Ti comprerei
almeno tre cose: una maglia, un vestito,
un cappello di paglia, ché arriva l’estate.
Li metteresti e io penserei un’altra volta
“guardate!, non è un amore questa bimba cresciuta?”.
Ma son venuta per cercarti una cosa
sperando la vendano a peso.
Tu l’hai perduta e io non ne ho:
è da un po’ che non se ne vede,
è diventata una rarità:
“scusi, per caso, lei vende
– per la mia figliola ventenne –
un po’ di serenità?”.

*

Forbidding mourning

un camion con rimorchio
mi è passato sopra l’anima
una specie di febbre petecchiale
senza le petecchie – almeno in superficie –
mi sento tirata e stirata da una pressa
centrifugata rimestata da un torchio
bastonata da una clava morsa da cani
rabbiosi strappata in mille brani
che dici? non posso che sentirmi male:
ho tagliato il secondo cordone ombelicale

*

le madri

le madri sono essenziali per un’infinità
di inezie bazzecole pinzillacchere e quisquilie
solo loro sanno se il beige va col nero
e se il nero è troppo o troppo poco
come segugi lo apprendono le figlie
fingono indipendenza inalberano caparbietà
poi cercano le madri ne sopportano
lo sguardo di fuoco il piglio battagliero
si fanno piccole e giudiziose
bussano alla porta. le madri sanno
è un gioco stanco che si tramanda
come le ricette più appetitose.
ma per le cose insidiose
che contano pungono fanno impensierire
le madri sono delle inette come se
non avessero vissuto non fossero
state giovani mai. le fanno ammattire
smaniare imbestialire istupidire
le figlie alle madri con i piedi nelle fosse

***

Fuoristagione

oggi dal cielo cadevano stracci
angeli che si smutandavano
in assenza di dio (andato
in vacanza alle barbados
stanco del freddo e vergognoso
di non potere nulla sul tempo)
annoiato a morte dai battibecchi
degli umani. verrà il diluvio
universale e senza noè,
morto ubriaco.

*

povere piante e poveri molto
alberi da frutto già fioriti.
penso ai fiori smarriti e intirizziti
al patto con il sole morto e sepolto.

*

accessi di tosse lacrime rantoli
sospiri il vestibolo dell’inferno
suona e rimbomba come casa mia
per la bestemmia bisogna esserci
portati ci vuole ritmo e fantasia.

*

il pesce d’aprile è un Leviatano

[l’ora del tempo
la dolce stagione
la discesa all’inferno
tutto ti dice
se solo stai accorto
che il tempo si compie]

*

il cane sciolto
randagio s’è fatto
è un cane colto
ma non “sul fatto”

***

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16 pensieri riguardo “Fuoristagione”

  1. più d’una sono quelle che mi portano cos’ lontano da Lucia da ritorvarmi vicino a me stessa, alle impronte che anch’io calpesto perchè sono le mie in tutte quelle degli altri, paesaggio compreso, vuoto alla mattina presto e alla sera quasi alle otto, con la gente che ormai sta in casa persino il sabato.Chissà forse avrà un picco la fertilità anche se qui in città in giro per le strade si vede scritto di donare il 5 per mille alla ricerca sulla sterilità degli uomini.Alllora mi domando dove siamo arrivati,se si è corso tanto per vederci disumanizzati.
    ferni

  2. Vorresti stringerla in un pugno e serbarla gelosamente, questa poesia, manciata di riso sapido, riserva tenace di arguzia, lume “antivedere” al sussiego mortalmente serio e mortalmente ridicolo; dietro la curva, tuttavia, si realizza, la sorpresa dell’incontro – scontro, partita a scacchi, intuizione, momentaneo connubio o scazzottata – della pianura desolata della vita e dell’attrazione della parola:
    “e ancora e ancora. dietro il treno e dietro le mie spalle
    stavi tu laguna, e tu luna invisibile. io a sognarvi entrambe,
    senza vedervi in figura, con i bastioni dei cavalcavia
    in ipnosi alcolica dentro gli occhi, ho pensato: ecco, il solito
    scacco, la vita è qui e quando la vedo pulsare mi ammalo di parole,
    la penso da subito in parole. opera aperta, in fieri, non so.
    era poco fa”.
    Comprendi, allora, che non può, non deve essere sottratta ai desti, a tutti coloro che desti intendono esserlo.

  3. come mi piacciono queste poesie!! Raro trovare questo esprit nella poesia cosiddetta “femminile”.
    Complimenti!
    lucetta f.

  4. Felice di vedere ancora una volta in questa dimora gli splendidi testi di Lucia!

    “e ancora e ancora. dietro il treno e dietro le mie spalle
    stavi tu laguna, e tu luna invisibile. io a sognarvi entrambe,”

  5. fuori stagione è un pre-testo con cui schizzare il lettore di riverberi di annate intere. non una stagione non quattro ma sessantaquattro?, dico, per me qui ci stan tutte sessantaquattro. una scacchiera pari. anche il numero di poesie e pari. pari tra i pari. il poeta è il pezzo dei pezzi non un pezzo facile e tutto ciò che ‘ tocca’ le è speculare. come dire ‘ è’ chi scrive il poeta, la donna, uno spirito autentico.
    c’è l’ oggi lo ieri e il domani. l’ istante senz’ altro, affiato, già trascorso ma in memoria, spigoloso, femminile, leggero e serio quando maneggia medicamenti. ironica poesia soprattutto autoironica, a tratti poco calorosa studiata forse per non essere comunicativa apposta ma esortativa imperativa assertiva (e questo doventa un originale valore aggiunto) che è poi la corsa che scalda i muscoli del lettore e diventa cronaca struggente, e serie episodica di cammei a cui si arriva fino in fondo.
    versi che vogliono farsi accarezzare versi controcorrente di una poetica qui amara nelle radici come lo sono paradossalmente le cose buone quando sono ‘ in rima’ col mondo, basta ecco, star con gli occhi aperti.
    un saluto.
    paola

  6. trovo sempre stupefacente, piena di grazia, l’accoglienza delle mie cosucce che si manifesta in questo luogo. mi conforta la comprensione esatta del messaggio (non aspiro troppo – da irriducibile antiermetica – a vaticini oscuri). mi è di sprone il riconoscimento del fondo di ironia: fintanto che esso permane posso dirmi salva prima di tutto come persona. se poi questo varrà anche per un qualche stile personale (parola grossa, stile, ma non ne trovo altre) tanto meglio.
    è bello essere letta e sentita dalle donne: bellissimo!
    vi ringrazio veramente tanto, tutte.
    permettetemi un abbraccio lungo a natàlia castaldi che ha editato i testi dopo averli scelti con la sua mano gentile.
    un caro saluto a francesco marotta.

    1. Ciao Lucypestifera! Mi sono ripromessa di commentare il minimo necessario alla buona educazione, ma non posso esimermi dal risponderti con queste poche righe:
      In primo luogo sai bene che volevo da tempo i tuoi testi e finalmente ce l’ho fatta. Ritengo, poi, le tue “Conversazioni con i morti” – pubblicate sempre qui sulla Dimora – una raccolta di vero e autentico spessore, dalla cui lettura mi hai letteralmente conquistata.
      Ridurre la tua scrittura all’ironia, però no! non te lo concedo: c’è ben altro e molto altro, c’è la vita in tutte e con tutte le sue sfumature di gioia e dolore, così come dev’essere.
      Poi, tu sai bene che per me il “poeta” è tale prima di tutto per lo spessore umano che attraverso i suoi versi lascia transitare, e per la coerenza umana che nella vita lascia trasparire, il resto, per quanto stilisticamente e tecnicamente ottimo possa essere , se è carente di quel quid, resta solo un mero esercizio di stile, apprezzabile anche, ma che – per quanto mi riguarda – non incide.
      un caro abbraccio.
      nc

      1. grazie, natàlia! per il momento il che cosa e il come vanno d’amore e d’accordo. quando sopraggiungessero contenuti incapaci di trovare una forma consona ovvero la forma volesse imporsi prepotentemente sul messaggio, ho fiducia che tacerei, temporaneamente o definitivamente. per me, l’essere stata toccata dal sentimento del contrario che spinge a scrivere, così tardi, è una grazia che non finisco di contemplare incredula. non sono una che ha cominciato a scrivere da piccola, anche se mi pare di non aver fatto altro tutta la vita. condivido in pieno quello che dici!

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