Vassìlis Laliòtis
(Βασίλης Λαλιώτης)
Condannato alla poesia
Ciò che subito si sente in Vassìlis Laliòtis è l’urgenza. La si sente anche incontrandolo. Parla molto veloce, è agitato, è impegnato in molte cose. Scrive poesie; traduce magnificamente dallo spagnolo; cura diversi blog di critica, di proposta letteraria e di interesse musicale; dirige una piccola casa editrice che pubblica autori di qualità, soprattutto giovani. Un ipercinetico. Una figura grossa, la sua, oltre che per stazza fisica, anche in campo poetico dove è ufficialmente riconosciuto come una voce significativa. Sicuramente, la frequentazione della poesia latino americana lo ha segnato, almeno dal punto di vista espressivo. Laliòtis è quanto di più lontano si possa immaginare dalla tradizione greca di una poesia “piana” e senza eccessi. Laliòtis è eccessivo, perché ha urgenza di verificare l’aderenza fra la realtà contemporanea e l’uomo che la deve reinterpretare attraverso le parole. Ha anche urgenza di liberarsi delle parole:
di mani e schiena ha bisogno il futuro del mondo
non di queste cazzo di mie parole impotenti
che diano una prospettiva di dignità a ciò che verrà.
E le sue parole si riversano, come una piena, sulla pagina, e cercano di contenere, almeno in minima parte, il fetore violento, la decomposizione della quotidianità. È una poesia come un fiume, urgente, che trascina a valle le pietre: forse per liberare il letto del fiume, forse per un’ansia di pulizia. È un uomo di grande cultura che, come molte volte succede, ha scelto di coltivare della terra della lingua i frutti più semplici, perché commestibili. Non è aulico, non è intimo, non è lirico: è l’esatto contrario. Sembra che urli. A volte sembra uno di quelli che incontri sull’autobus, che digrignano i denti e si lamentano, e guardano fuori dal finestrino con una smorfia di disgusto. Nel caos di ciò che ci attornia, nell’immondizia, è però con il linguaggio, con la lingua, che tenta una risurrezione della vita stessa. Non è facile tradurre Laliòtis. Se da una parte la sua lingua è un fiume in piena, pieno di pietre, dall’altra riemergono dal fondo fangoso quelle straordinarie e molteplici possibilità di combinazione sintattiche che rendono il greco una lingua molto flessibile. Non è possibile tradurre in un italiano comprensibile le inversioni continue fra oggetti e soggetti, le intromissioni di lunghe e complesse secondarie fra il verbo principale e il soggetto che ne è responsabile, e che compare dopo tre righe: in italiano avrebbe un che di ridicolo, di finto antico, di triste petrarchismo. Ma in greco denota una certa maestria e conduce un argomento di per sé degradato, o sgraziato, alla grazia, all’eleganza. Al riscatto che, in questo poeta, l’uomo ha attraverso il suo solo strumento:
ascolta il poeta che in fra la folla folla accetta
l’empietà della decomposizione sua per usura
È la decomposizione della lingua, la sola arma a disposizione per resistere agli speculatori, ai “responsabili” di partito, alle sommarie esecuzioni di piazza, nella realtà dove
I numeri dell’orologio digitale della borsa
tendono ogni secondo verso la morte
laddove il guadagno cresce decrescono gli uomini
Al contrario di molti, moltissimi altri in cui l’urgenza della comunicazione o della denuncia prende il sopravvento sul lavoro di parola, in Laliòtis è la lingua che ha l’urgenza di respingere la propria semplificazione a strumento utilitaristico. È un poeta nel più profondo senso della parola: fa con le parole. Per questo io metto in secondo piano l’argomento, che mi può interessare o meno, e che è però quasi sempre di carattere sociale, di denuncia. Ma forse sbaglio. Più che di denuncia, direi di considerazione oggettiva dei fatti e delle cose. “Sono tristi, le cose / considerate nella loro essenza”, scriveva Carlos Drummond de Andrade. Come sono tristi i fatti. Rimane la lingua, che trasfigura, che dona un significato, che ribattezza la nostra volgarità quotidiana. È anche un poeta iperbolico, bulimico, come mi sembra iperbolica e bulimica sia la società odierna. La prima volta che ho letto “Il carceriere di Agamennone”, mi è sembrato di trovarmi di fronte a un disegno di Grosz, a un dipinto di Bosch. Laddove però quelle raffigurazioni non portano in sé che il disgusto (o la presa di coscienza della realtà), in Laliòtis l’eccesso e l’iperbole sono mitigati dal lavoro linguistico. Dico la verità: ho avuto molte difficoltà nel tradurlo perché la lingua italiana non è altrettanto plasmabile quanto quella greca, che offre infinite possibilità e rimandi, sia linguistici che storici, che sono ancora oggi, a distanza di migliaia di anni, parti strutturanti della lingua, e quindi sentiti come componente naturale di se stessi. Così, ad esempio, se in greco scrivo hybris, pur essendo parola omerica per eccellenza, non mi suona né dotta citazione né sfoggio di cultura, ma un semplice rimando a qualcosa che sono stato prima di ora. In italiano, è difficile restituire questo senso di continuità, che non abbiamo né storicamente né culturalmente, e associare hybris ai maiali che spintonano intorno alle banconote della corruzione: lo stridere è enorme. È importante, Laliòtis, è necessario, è lui stesso uno strumento al servizio della lingua, un riscatto vivente, una resistenza fondamentale:
Delle parole in poesia sono stato un condannato
per questo domando al vostro futuro perdono.
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Breve nota biobibliografica
Vassìlis Laliòtis (Βασίλης Λαλιώτης) è nato ad Amaliada, piccola cittadina peloponnesiaca dalle magnifiche spiagge, nel 1959. Ha studiato scienza politiche all’università ad Atene e spagnolo a Salamanca. Vive e lavora ad Atene. Collabora con numerosissimi periodici letterari. Prolifico poeta, ha pubblicato sino ad oggi 7 raccolte di versi e ha tradotto Lorca (Poeta a New York, Viaggio sulla luna, Divan del Tamarit), Porchia, Jesús Ferrero, Neruda (Venti poesia d’amore e un canto disperato, Farewell), Miguél Hernández, Buñuel, Ramón Gomez de la Serna. In un’intervista, lo hanno definito “l’eremita di Kifissià” (quartiere a nord di Atene). Mi ha molto divertito questa cosa, perché è solo in parte vera: quando lo incontri, resti colpito dalle sue umanità e disponibilità.
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Vassìlis Laliòtis
Antologia poetica
Cura e traduzione di Massimiliano Damaggio
Η Τατιάνα διαβάζει Αχμάτοβα
Όπως την έφερε
ο τελευταίος αγοραστής κι ως τότε φίλος μου
με ακαριαία σάπια την κοιλιά και δόντια
σαν σοσιαλιστής ηγέτης έρως εσχατόγερος
είχα πια μπρος στην πόρτα του σπιτιού μου
και όχι στα δελτία των ειδήσεων
το πέρασμα της χώρας μου στων άδικων τον κόσμο.
Κι όπως η ενοχή κάτι το τεθριμμένο μου έφερνε στα δάχτυλα
τράβηξα από το ράφι τον παλιό Θρήνο της Αχμάτοβα
το μόνο ρωσικό πρωτότυπο γραφής για να διαβάσει.
Κι αυτή που μου συστήθηκε Τατιάνα έριχνε τις συλλαβές
σέρνοντας εν αγνοία της δύο αιώνων θάνατο
σε ωραία Ρωσικά εξωτικά.
Αυτό το ανάλογο για σας έμεινε μόνο:
Κάποια Τατιάνα που διαβάζει Αχμάτοβα
φτύνοντας πάνω μας ενός λαού τον πόνο
αφήνοντας μια γεύση σάρκας πουλημένης μες στο στόμα μας
σε ωραία Ρωσικά εξωτικά.
Tatiana legge Achmàtova
Quando la portò
l’ultimo acquirente e fino allora amico mio
con il ventre subitamente marcio e i denti
come un capo socialista l’eros quel vecchio porco,
avevo già davanti la porta di casa mia
e non alle ultime notizie
il passaggio del mio paese al mondo degli iniqui.
E poiché mi portava la colpa alle dita qualcosa di trito
presi dallo scaffale il vecchio Requiem della Achmatova
il solo scritto in originale russo da leggere.
E questa Tatiana che mi fu presentata lanciava sillabe
trascinando a sua insaputa due secoli di morte
in belle esoticità russe.
Questa sola analogia vi è rimasta:
qualche Tatiana che legge Achmatova
sputandoci addosso il dolore di un popolo
lasciandoci in bocca un sapore di carne tradita
in belle esoticità russe.
*
Ο Φύλακας του Αγαμέμνονα
Σκυλίσια νύχτα κι αυτό το στρώμα δροσισμένο
από φυγή ονείρων, κουράστηκα να περιμένω
παιδί ήμουνα κι ο χρόνος με ροκανίζει ανελέητα
μόνος μου άθλος μισός αιώνας κλεμένος του θανάτου
στρατιώτης κι η μισή κυβέρνηση αστράτευτη
εκεί που γέμισε ο τόπος κλέφτες, και πού στ’ αλήθεια
ήταν κρυμμένο όλο αυτό το ερπετό με βουλημία
ως εμετού καλιεργημένη από πολιτικούς ηγέτες
και δημοσιογράφους, γουρούνια σπρώχνονται
γύρω από πεταμένα εκμαυλισμού χαρτονομίσματα,
το διπλανό ανθρωπάκι ανεβασμένο στα ικριώματα
της εξουσίας με μια νάυλον ψυχή σημαία, βαρέθηκα
πια να τους βλέπω εκπεσόντες των ποιητών τους
κραυγάζοντα λαρύγγια δικαιωμάτων χωρίς όριο
και να γυρίζουν κύκλους γύρω μου τ’αστέρια
δυο τρωικούς πολέμους κράτησε το φαγοπότι
αποφοράς σπρωγμένων για τα ψίχουλα, ναι,
κι αυτό το βόδι να μου πατάει τη γλώσσα όσο
φιμώνοντας το σκυλολόι των δημοσιών ρητόρων
το εξ αρχής και παλαιόθεν ύβρης επακόλουθο
επίγραμμα ντροπή για την Ελλάδα άλλη μια φορά
να πω απλά: τα αφεντικά μου έπαιξαν και τώρα
είμαι εγώ που χάνω και πρέπει να πληρώσω.
Il carceriere di Agamennone
Notte da cani e questo materasso fradicio
da fughe di sogni, sono stanco di aspettare
ero ragazzo e il tempo impietoso mi consuma
sola mia impresa metà secolo rubato soldato
di morte e metà governo non schierato
laddove si riempì di ladri, e dove davvero
stava nascosto tutto questo rettile di bulimia
fino al vomito coltivata da segretari politici
e giornalisti, maiali si spintonano intorno
alle banconote della corruzione buttate intorno
il tuo vicino l’omino innalzato al palco del potere
con la bandiera di un’anima al nylon, sono stanco
di vedere decadere le laringi ululanti
dei loro poeti intanto che reclamano diritti senza limiti
e a girare in cerchio le stelle intorno a me
due guerre di Troia è durato il banchetto
fetido degli affamati di briciole, sì,
e questo bue che mi schiaccia la lingua fino
al bavaglio del branco dei pubblici retori
l’ira antica e originaria il conseguente
epigramma vergogna della Grecia una volta ancora
sarò diretto: i miei padroni hanno giocato e ora
sono io che perdo e che devo pagare.
*
Η απόσβεση του Franz Kappus
Με τ΄ όνομα σου ο αιώνας έφερνε πολλούς
ορφανούς της απλής φράσης: Ο Θεός είναι νεκρός…
καθώς οι ποιητές από ένστικτο νερού θα γδύνονταν
για να φανεί ό λόγος από τα ονόματά τους
εσύ θα γύρευες απ’ την αντίθετη οδό
μια υπόσχεση για συμπερίληψη ονόματος
στην χλιαρή σου κλίση της γραφής προς ποίηση.
Ποιός νέος δεν έγραψε και δεν ηπατήθη
μη δοκιμάζοντας το μέσα του δαιμόνιο
αλλά προσφεύγοντας σ’ εύκολες εγγυήσεις.
Με τ’ όνομα σου ο αιώνας θα έφερνε πολλούς
μέσα στη σύγχυση του ποιήματος και της βιογραφίας
ο κάθε φοβισμένος του σβησμένου ονόματός του
που θα διαγκωνιζόταν να εκβιάσει λήθη χρόνου
να γράψει κάπου κάτι για να έχει υπάρξει
τώρα που δεν υπάρχει πια εγγυητής ονόματος.
Δεν θα έχεις όνομα, δεν θα σε αναγνωρίζουν,
δεν θα υπάρξει ένας στίχος σου στη μνήμη κανενός
η απόσβεση του ονόματός σου θα είναι ένα κείμενο
και θ’ απομείνεις πάντα με το αντάλλαγμα
να είσαι όλοι εκείνοι οι αποδέκτες οι ανώνυμοι
που στράφηκαν στην ποίηση εξ αιτίας σου
να είσαι ο άγνωστος προς τον οποίο έστειλε ο Ρίλκε
πασίγνωστα τα γράμματα του σ’ έναν νέο ποιητή.
L’estinzione di Franz Kappus
In nome tuo il secolo ha portato molti
orfani della semplice frase: Dio è morto…
mentre i poeti per istinto d’acqua si spoglierebbero
perché dai loro nomi si riveli il verbo
tu cercheresti nella strada opposta
una promessa per l’inclusione del nome
nella tua tiepida inclinazione alla poesia.
Quale ragazzo non ha scritto e non ha sofferto
non sperimentando il demone interno
ma rifuggendo verso semplici assicurazioni.
In nome tuo il secolo porterebbe molti
alla confusione fra poesia e biografia
ogni timoroso del proprio nome cancellato
lotterebbe per vincere l’oblio del tempo
e scrivere qualcosa per essere esistito
ora che non esiste più un nome rassicurante.
Non avrai nome, non ti riconosceranno,
non ci sarà verso tuo nella memoria di alcuno
l’estinzione del tuo nome sarà un manoscritto
e te ne resterai sempre con lo scambio
di essere tutti quegli anonimi accettati
che splendettero in poesia per causa tua
di essere lo sconosciuto cui Rilke spediva
le sue conosciutissime lettere a un poeta.
*
Τελικό Ποίημα
Ελλάδα μη γαμήσω το στοματικό σου στάδιο
φαγητό λόγια ξερατό και ποιήματα εκεί που
όλα καλούνε το καλάσνικωφ να κελαηδήσει
για να μας βγάλει απ΄την κατάρα της γραφής
με τη σοφία που η Μαρία λέει όταν της δείχνουν
τα ωραία γραφτά των παιδιών: Δώσαμε δώσαμε.
Δεν θέλω ποιήματα, δεν θ’ αφήσω ούτε λέξη να
έχουν τα παιδιά μου εμπόδιο στο μέλλον τους
παρά μονάχα έναν απλό κανόνα όπου η λέξη
θα έχει την αξία της δέσμευσης ή αλλιώς σιωπή
μακριά από τα στόματα, στα χέρια, στο κορμί
χέρια και πλάτη έχει ανάγκη το μέλλον του κόσμου
όχι αυτά τα γαμημένα λόγια μου τ΄ανήμπορα
να δώσουν μια προοπτική αξιοπρέπειας στα ερχόμενα.
Μη με διαβάζετε λοιπόν, δέν έλλειψαν τα λόγια
φύγετε από δώ, μακριά, όχι με φαγητό και λόγια
ξερατά και ποιήματα, μα ένα ελάχιστο της πράξης
που επιτέλους στη ζωή αληθινά να τ’ άνασταίνει.
Ένας κατάδικος υπήρξα λέξεων πρός ποιήματα
γι αυτό ζητάω από το μέλλον σας συγνώμη.
Poesia finale
Grecia me ne fotto del tuo stadio orale
cibo parole vomito e poesie laddove
tutto chiama il kalasnikov a cantare
per salvarci dalla condanna della scrittura
con la saggezza di Maria quando le mostrano
i bei scritti dei ragazzi: Abbiamo dato, e dato.
Non voglio poesie, non lascerò una sola parola
che sia di ostacolo al futuro di questi ragazzi
se non solamente un semplice canone dove la parola
abbia il valore dell’impegno oppure silenzio
lontano dalle bocche, le mani, il corpo
di mani e schiena ha bisogno il futuro del mondo
non di queste cazzo di mie parole impotenti
che diano una prospettiva di dignità a ciò che verrà.
Non leggetemi allora, non mancano le parole
andate via, lontano, non con il cibo e le parole
i vomiti e le poesie, ma con un minimo di atto
che finalmente alla vita per davvero ridoni vita.
Delle parole in poesia sono stato un condannato
per questo domando al vostro futuro perdono.
*
Εκπεσόντος Χρόνου
Οι αριθμοί στο ψηφιακό ρολόι του χρηματηστηρίου
τίκτουν με κάθε δευτερόλευτο προς θάνατο
εκεί που αυξάνει το κέρδος μικραίνουν οι άνθρωποι
μια θέση εργασίας λένε είναι η τετάρτη συνέπεια
κάποιων συγκυριών στην κίνηση του κεφαλαίου
κι ας έκανε η εργασία και τον άνθρωπο και το κεφάλαιο
όμως άκου τον ποιητή και φαντάσου νεαρό σπεκουλαδόρο
μπροστά από μια οθόνη υπολογιστή έχοντας μόλις
στη χρυσή του μύτη τη γραμμή της κόκας του
να σε κοιτάει ολόκληρος μέσα στο θάνατο με μίσος
του παλιού ευνούχου στο Σαιξπηρικό πανόραμα
όμως άκου τον ποιητή όταν ο χρόνος πια δεν έχει
την ιερότητα από θεού ή από επαναστάσεως
όταν τον σέρνουν εκτροχιασμένοι μέσα τους
άκου τον ποιητή πως μές στο πλήθος αποδέχεται
το ανίερο της σήψης του από την τοκογλυφία
γιατί ο τόκος είναι του προτεστάντη ο Χριστός
που ανασταίνεται κι αυτό που λένε οικονομία είναι
η θρησκεία από αριθμών του προτεστάντη ακού
τον ποιητή που λέει ως άγγελος θανάτου ενός θεού
ανήμπορος να συναγείρει τη ζωή σε κύκλο φύσεως
έτσι στεγνά πως: Κάθε Μάρτη αρχίζει μιαν άνοιξη.
Tempo decaduto
I numeri dell’orologio digitale della borsa
tendono a ogni secondo verso la morte
laddove il guadagno cresce decrescono gli uomini
dicono un posto di lavoro sia la quarta conseguenza
d’alcune congiunture nel movimento del capitale
e che il lavoro faccia pure l’uomo e il capitale
ma ascolta il poeta e immagina giovane speculatore
davanti a uno schermo di computer appena
una linea di coca al naso dorato che
ti guarda dentro la morte tutt’intero con l’odio
dell’antico eunuco del panorama di Shakespeare
ma ascolta il poeta quando il tempo non ha più
la santità di dio o della rivoluzione
quando lo trascinano dentro loro i deragliati
ascolta il poeta che in fra la folla folla accetta
l’empietà della decomposizione sua per usura
poiché è l’interesse il Cristo in risurrezione
del protestante e ciò che dicono economia è
la religione dei numeri del protestante ascolta
il poeta che dice come angelo della morte d’un dio
impotente che in ciclo naturale muove la vita
seccamente come: Ogni marzo inizia una primavera.
*
Η Πολυπλοκότητα του να τρως Ψάρια
Κάποια γυναίκα καθαρίζει ψάρια στη Σενεγάλη
την είδα χτες τη νύχτα στο ντοκυμανταίρ
βγάζει τα λέπια και τα σπλάχνα και ξεπαγώνουν
κάνοντας κύκλους στο φούρνο μικροκυμάτων
Κάποια γυναίκα καθαρίζει ψάρια στη Σενεγάλη
έχει χρόνο απέραντο ένα μαχαίρι κι ένα παιδί που κλαίει
καθαρίζει ψάρια στη Σενεγάλη κι εγώ βιάζομαι
καθαρίζει ψάρια που ποτέ δεν θα φάει κι ανάμεσά μας
μεσολαβεί ένας πιλότος και τρεις μεταπράτες
απόσα πλήρωσα δεν θα φτάσει σχεδόν τίποτα
να σταματήσει αυτό το παιδί “το αληθινό πρόσωπο
των αγγέλων” να κλαίει από πείνα.
Κάποια γυναίκα καθαρίζει ψάρια στη Σενεγάλη
τα βάζω στο τηγάνι και μυρίζουν κρέας
κρέας τηγανιτό κι ανθρώπινο που πεινάει.
Ανάμεσα σε μένα και στα ψάρια που θα φάω
υπάρχει μια περίπλοκη πραγματικότητα
κάποιες εξειδικεύσεις κάποιες λησμονιές
για να με κάνουνε να φάω κρέας ανθρώπινο που κλαίει.
Κάποια γυναίκα καθαρίζει ψάρια στη Σενεγάλη
κι εγώ ετοιμάζομαι να ξεχάσω πως τρώω κρέας ανθρώπινο.
Είναι πολύ περίπλοκο στις μέρες μας να τρως ψάρια
θα πρέπει πρώτα να κάνεις μια μικρή προσπάθεια να μη σκέφτεσαι.
Della complessità nel mangiare Pesci
Qualche donna pulisce pesci in Senegal
l’ho veduta ieri notte nel documentario
toglie le squame le interiora e scongelano
facendo giri nel forno a microonde
Qualche donna pulisce pesci in Senegal
ha tempo infinito un coltello e un bambino che piange
pulisce pesci in Senegal e io ho fretta
pulisce pesci che non mangerà mai e fra noi
s’interpone un pilota e tre commercianti
di quanto ho pagato non arriverà quasi nulla
per fermare questo bambino “il vero volto
degli angeli” dal piangere di fame.
Qualche donna pulisce pesci in Senegal
li metto in padella e sanno di carne
carne umana in padella che ha fame.
Fra me e i pesci che mi mangerò
esiste una realtà complessa
certe specializzazioni certe dimenticanze
che mi fanno mangiare carne umana che piange.
Qualche donna pulisce pesci in Senegal
e io mi preparo a scordare che mangio carne umana.
È molto complesso ai giorni nostri mangiare pesci
dovresti prima fare il piccolo sforzo di non pensarci.
*
Κεφάλια
Κι εσύ ακόμα που θα πήγαινες
όπως πήγαν τον φιλήσυχο πατέρα σου
με τουμπελέκια και κλαρίνα κάτω
από το κρεμασμένο το κεφάλι του Άρη
στην πλατεία της Λαμίας, κι εσύ ακόμα
καταλαβαίνεις πως ο κόσμος μας
όπως τον ήξερες τελειώνει και θα πρέπει
κάτω απ’ τη μπότα που σε λιώνει
να ζυγίσεις ποιο το μεγαλύτερο κακό
να γίνεις επιτέλους ζυγαριά που γέρνει
έστω και με βαριά καρδιά
και να σκεφτείς για τα παιδιά σου ένα μέλλον
που να μην είναι της φυγής
του θύματος ή του φονιά.
Τα τουμπελέκια τώρα και τα κλαρίνα που ακούς
προσμένουν κρεμασμένο σε πλατείες
όχι του διπλανού μα το δικό σου το κεφάλι.
Teste
E tu se anche te ne andassi
così come scortavano il tuo pacifico padre
coi tamburi e i clarinetti sotto
la testa appesa di Ares
nella piazza di Lamìa, e tu se anche
lo capisci che il nostro mondo
come lo conoscevi finisce e dovresti
sotto lo stivale che ti consuma
pesare il male più grande
diventare infine bilancia che si piega
seppure a malincuore
e pensare un futuro ai figli tuoi
che non sia di fuga
di vittima o di assassino.
I tamburi ora e i clarinetti che senti
agognano appesa in piazza
non quella del vicino ma la tua di testa.
Poeti Greci Contemporanei (III)
[scarica l’e-book]
***
Bravissimo Massimiliano! Prima ha potuto aprire la porta della poesia di Laliotis, con la sua resa intuitiva, e poi renderlo in Italiano!
Veramente, una fatica da Ercole :)
,
Σας ευχαριστώ, κυρ Παστάκα
Hai ragione, Sotirios, un gran lavoro di traduzione, esattamente come le tue versioni di Magrelli:
http://www.poiein.gr/archives/23498/index.html
Ciao, un caro saluto.
fm