Fosca Massucco
Alberto Mori
“Il genio dell’uomo è foggiare
rotonde balle di fieno
immote in una laguna
d’erba disseccata.
La perfezione di dio
è disporre sopra due corvi.”
Qualcosa di imperfetto che giunge e raggiunge mentre il tempo si restringe e bisogna farsi trovare pronti… Dio ha inviato il segno. Due corvi.
Alla fine dell’insonnia è necessaria una trasformazione.
Una trasfigurazione.
Nella prima sezione intitolata “di dio” del libro L’Occhio E Il Mirino di Fosca Massucco si avverte una premizione sotterranea. Il desiderio della preghiera di uno sguardo diverso alle cose mentre la poetessa si dispone anche all’inatteso, perché ogni certezza sembra esaurita ed ora: “Ci sono luoghi in cui / è Dio pellegrino a trovare me” (P.10).
La natura si agita e viene agìta: sente l’angustia di chi la pone in versi anche quando “La rosa rampicante, ad esempio, non rispose più / inchiodata dal sole, fiorita di pidocchi;” (P.25).
In questo “jardin de la souffrance” nasce la rivolta della poetessa.
Ella si pianta con il corpo nella terra per aprirsi profonda. Non perdersi e disperdersi.
Così nella seconda parte (“dell’armonia”), la poetessa colloquia fra sé nella ripetizione dei gesti quotidiani, immobile di fronte ad una natura che continua ad essere indifferente.
Il paesaggio esistenziale non permette più “il tempo di guardarmi da fuori”, ma intanto cresce un movimento che sospinge lo spazio, inscritto in un tempo che via via si rastrema e si incarna di luce sorta polita, come accade in un verso d’apertura davvero mirabile che va considerato da solo sia per la sua costruzione allitterata fonosimbolica che per il suo notevole esito di senso plastico plasmato all’invisibile:
“Statue di albe senza dimensioni”. (P.43)
Un nuovo tempo si rende disponibile. Ora è il gipeto che si alza in volo poiché: “Nulla è sublime più che attraversare il mondo / lasciandolo immutato.” (P.44) proprio come gli uccelli che lo trascorrono nei voli e portano lontano anche quota e precisione dei nostri sguardi.
Nella parte finale della plaquette la poetessa si autoritrae e sembra ora possedersi compostamente. Trova il sostegno “delle cose”. La concretezza e la sua concrezione trovano un’altra natura sempre a lei corrisposta: “Voglio fare come il bosso in giardino (…) gettare radici e protendermi tenace negli anni” (P.50) e se ritorna l’attesa, è quella del parto, del deporre la propria consapevolezza attraverso questa auto restituzione che avviene nell’anima della poetessa per frequenze oscillanti del sentire che comincia ad aprire la sensualità amorosa.
“L’Occhio E Il Mirino” è una raccolta di versi che svolge in acutezza di sguardi ed attenzioni la natura dei versi per trovare luce di individuazione condivisibile, sia da un mondo silenzioso di rivelazioni che da quello contemporaneo, il quale scandisce i suoi inesorabili protocolli spesso fatti di nulla e la poesia fra queste polarità accolte con mente e corpo in ascolto conosce e trova da sola la sua strada.
(Alberto Mori, Ottobre 2013)
Fosca Massucco
L’occhio e il mirino
Prefazione di Dante Maffia
Postfazione di Luigi Papandrea
Forlì, Editrice L’Arcolaio, 2013
Testi
Così sale un arcobaleno in quota –
l’occhio è un mirino, a fissarlo non lo scorge –
inchiodato al cielo tra gola e vetta
come a immortalar se stesso.
Così sono io, l’occhio e il mirino –
il volo del gipeto che trafigge l’iride –
ospito domande immense nelle vene
senza arrestare lo schiocco.
Nulla è sublime più che attraversare il mondo
lasciandolo immutato.
*
Statue di albe senza dimensioni.
Vergine di nostalgie azzurre –
rotolo come biglia di marmo
senza meta. Non giurare su di me:
raggiungo sempre il mio traguardo.
*
Voglio fare come il maggiociondolo sul colle
(che avviciniamo vagando
con sottile attenzione)
aprirmi tardi alla piena del sole
quando attorno la stagione è ormai certa.
Voglio fare come il bosso in giardino
(verde invariante – onde discrete
ad ogni alzata di vento)
gettar radici e protendermi
tenace negli anni.
Voglio fare come la ginestra falsamente distante
(di cui sorvegliamo prudenti
i progressi) impossessarmi ostinata
di ciò che fino a ieri ancora eravamo ignari
di voler cedere.
*
E quando pensavo di averlo trovato
l’equilibrio immobile delle sere agostane
quando mi convincevo a credere – e credevo
che i mandorli, l’aria e le briciole
che tutto nella sua perfezione
fosse fermo, quando anche il dolore
degli amici – sepolti spietati –
aveva trovato requie, neppure
il tempo di guardarmi da fuori e sorridere
senza stavolta strozzare la gioia
– mi trovo a piangere appoggiata al carrello
freddo di novembre, tra gli scaffali
dei formaggi e del cibo per cani.
“Entrée gratuite pour tous –
Toute l’année, visites à 10 heures,
à 14 heures et à 15h30 heures précises”
Musée Alexandra David–Néel – Digne–les–Bains
Ogni vita ha dimore dello spirito –
la mia dimora è a Digne–les–Bains,
quando arriva agosto e l’onda viola.
M’illude come un Tibet
in miniatura, uscendo dalla tenda
zuppa di nubifragio. Un accrocco d’alpi,
l’albeggiare bizzarro – il silenzio spaesato
che fu di Yongden. Ci sono luoghi in cui
è dio pellegrino a trovare me.
***
Un grazie sentito all’autore di questa efficace recensione, le cui ultime sette righe raggiungono quietamente e acutamente la verità di Fosca e del suo contatto con la Natura e il mondo. Complimenti veri ad Alberto Mori. Un grazie all’amico Francesco Marotta, sempre generoso e accogliente con i poeti de L’arcolaio (e con me). Un abbraccio, caro amico! Un saluto alla mia cara Fosca -voce sorpresa della poesia di questi nostri tempi difficili-.
Gianfranco.
grazie dell’ospitalità, Francesco.
gran testo!