Se mi ami – soffia
sulle ali, le ali di farfalla,
quélla di Terezin. E allarga, allárga,
l’alba di memoria, fondandola vicino
al per sempre che si apre
in cime di specchi ripetuti.
Silvia Comoglio, Via Crucis
Introduzione di Sergio Zanone
Pasturana (AL), puntoacapo editrice
“Altre Scritture”, 2013
Prima Stazione – Gesù è condannato a morte
Sfatto ora è il plenilunio in questa sola storia
di dubbio già molato nell’acqua di un bacile, “sfatto —
a pura notte dove troppo vasto è il dire degli ottusi, il —
crocifiggi! ampliato e ripetuto in alberi ghermiti
da futili linguaggi : ombre immedicate, di taglio sulla porta,
tutte declinate in chi dite che io sia su echi sovrapposto
privati di ogni loro forma : immoto soffio che si inarca
di ciottoli silenti a terra rovesciati nell’alba appena simulata —
cóntro cúbiti di olmi e bócche e pellicani tutti sparpagliati
in lunga e minuziosa má-ssima carezza —
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Terza Stazione – Gesù cade sotto la croce
L’álbero che ha specchio dentro la sua foglia
è limite del viso che a lámina sottile allunga e poi biforca
táciti disgiunti lumi di paura nel Sémpre
sempre coniugati in precíse case alla deriva, “prismi —
in cui cadere è ancora custodire l’abisso e la sua luce,
fermando, a punto certo di frontiera, la notte che si schiocca —
pura negli sterpi di pagine girate nel modo —
più casuale : è devoto sospendere il discorso
di un tempo che fluisce, mutándo in puro approdo
quest’óbolo di spazio in cui l’ombra è già recisa, e la fine —
fiorisce di eterno mio principio, se è pensato,
pensato all’infinito, il véntre, che alto di respiro —
cruna dopo cruna, esplode, déntro la sua luce, come —
amore e filo!
Quarta Stazione – Gesù incontra sua madre
Vedi? questi occhi che vanno camminando
sono terre già fissate óltre il tempo
e sopra l’acqua, óre —
tenute sempre aperte per l’albero più alto
del giorno e dello spazio. Sono mondo —
in cui l’estremo non posso più capire
lo annulla il tuo sapermi soglia óltre —
questa soglia, luce che distende
l’ántro di montagna, in-seguendosi nel vento
rípetutamente, mutando —
l’ombra che qui sembra tutta già compiuta
in dimora di vasto cielo aperto,
da guardare in silenzio e sorridendo —
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Quinta Stazione – Gesù è aiutato dal Cireneo
Tu fosti questa terra che guarda di sorpresa
il buio da me scritto per leggere e capire un giorno —
vissuto ripetendo lingue a sua memoria, e nato,
nato ritrovato, perché ha pesi, pesi immensi,
per fissare questa vita all’orí-gine del mondo, pesi —
divisi a pieno in questo solo punto límpido di sazi
úl-timi crinali, di un téndere sull’acqua di álberi e paesi
feróci e circolari, bócche di única parola —
che guarda senza fiato quanto sembrerebbe
radice di follia ma è sguardo ampliato da sua eco,
ora che fiorisce, in lunga trasparenza,
tra i contorti rami della sera : case di etere e silenzio
cresciute spalancate a lucenti essenze inconosciute
nel bacio qui rimasto sempre ripetuto in lungo solo volo
líquido di specchio, Témpo che si apre di tútto —
il suo respiro —
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Settima Stazione – Gesù cade per la seconda volta
Diáfano nell’aria l’atomo che passa
sempre parallelo al mondo già coniato,
ipotesi di viso cosciente e più vicino,
eco già confusa col bianco delle mura,
e moto che si accalca nel fiore alla radice,
nel punto in cui amare sgretola di nudo
il limite che viene di tempo a cominciare,
rovescio di fessura del rovo della terra
dove, a gemito che sono, il ventre si rimbalza
sempre più lontano, ríschiarando a luce
quanto qui si tace in ogni nostro pianto
inérpicato in gola in altezze miniate —
di crepaccio —
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Decima Stazione – Gesù è spogliato delle vesti
Io, la rondine di Dio, sprotetta e sfigurata,
venni qui sospinta nel tempo che è comune —
ombra già dismessa, inerme mondo di paura
che disfa a casa vuota il margine pietoso
tra il corpo e questa croce, un’orazione povera a silenzio,
tessuta in doppio filo, come calco, cálco —
di un ventre enigma a dismisura, “io —
la rondine di Dio, venni qui sospinta, nuda e sfigurata,
nell’aria diventata orma non di scherno, ma di bocca —
furiosa del suo affanno, di un grido tutto già riposto
sull’uscio appena aperto, dove nascere e morire
è istante denso e nominato, refolo che cresce
sul rivolo di un giorno – etérno – di farfalle —
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Terezin
Margit Koretzovà (Terezin 1942-1944 )
disegnò a Terezin Le farfalle. Il disegno
è esposto nella Sinagoga Pinkasova di Praga.
Se mi ami – soffia
sulle ali, le ali di farfalla,
quélla di Terezin. E allarga, allárga,
l’alba di memoria, fondandola vicino
al per sempre che si apre
in cime di specchi ripetuti. E poni,
poni un sasso, a nitore di fúlgido turchino,
un sasso, un sasso grande, in ore
di cesura di nudi amori nudi, e —
in becco al cardellino in lunga traversata
nel porto di ogni casa, perché resti
résti eterna la farfalla, e sempre da lì —
da lì ci guardi, da lì, da Terezin —
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Silvia Comoglio è nata a Chivasso (TO) nel 1969. Laureata in filosofia, ha pubblicato le raccolte di poesia Ervinca (LietoColle Editore, 2005), Canti onirici (L’arcolaio, 2009), Bubo bubo (L’arcolaio, 2010) e Silhouette (Anterem Edizioni, 2013). Suoi testi sono apparsi nei blog “Blanc de ta nuque” di Stefano Guglielmin e “La dimora del tempo sospeso” di Francesco Marotta, nei siti http://www.apuntozeta.name e http://www.nannicagnone.eu, nelle riviste Arte Incontro, Il Monte Analogo, Le Voci della Luna, La clessidra e nelle riviste on-line Tellusfolio e Fili d’aquilone. E’ presente nei saggi di Stefano Guglielmin Senza riparo. Poesia e Finitezza (La Vita Felice, 2009) e Blanc de ta nuque (Le Voci della Luna, 2011) e nell’antologia Poesia in Piemonte e Valle d’Àosta (a cura di Davide Ferreri e Emanuele Spano, puntoacapo Editrice, 2012).
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Grazie, Francesco, per questo post, grazie soprattutto per averlo aperto con il disegno di Margit Koretzovà, mi hai fatto davvero un grande regalo.
Silvia Comoglio
Fantastico. Queste poesie sono tutto ciò che la poesia dovrebbe essere.
Il testo di Silvia è davvero convincente.
Chi lo desidera, può leggere in proposito la mia recensione pubblicata sul sito http://progettogeum.org/
Poesie splendide che stupiscono del loro stesso stupore. Sofferenza di luce e suono, ma senza affanno nel dire la sostanza
del percorso e la trasfigurazione del corpo.
Ciao a tutti.
Giorgio Bonacini
Poesie di raffinatissima, incalzante musicalità. Grazie.
L’ha ribloggato su letteraturanecessaria.