[AA.VV., Cesare Ruffato: la poesia in dialetto e in lingua, Atti del Seminario di Studi – Padova, 11 marzo 1999 -, a c. di B. Bartolomeo e S. Chemotti, Intr. di C. De Michelis, Biblioteca di «Studi Novecenteschi», n. 3, Pisa-Roma, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, 2001]
Cesare Ruffato. Cuorema di memoria
Pressoché assente nelle raccolte in lingua il tempo passato si innerva invece nel dialetto di Cesare Ruffato e lo connota, ma non trascina mai il ricordo né lo incurva nell’adorazione dello spazio perduto della totalità solare, vissuta, o sentita tale per rimozione, o solo supposta per pigrizia intellettuale e conformismo culturale(1), lì fermandolo come il massimo di inappartenenza al presente.
Appare – questo tempo passato – presenza certa nella consapevolezza, tuttavia, del suo essere perduto e nella domanda, nemmeno sotterranea, se e dove abbia depositato il valore dei legami, la valenza delle esperienze e delle loro epifanie, dei lasciti che marcano appunto l’essere vivi e l’agire, o il senso etico della modalità di essere e agire.
“[…] Festa fiera lipa maltecà
co senso interno direto, foje
lanceolate e scataroni simbolava
eros e sesso, le brute parole
colava el sugo de
barzèle proibie
e grébani de calore fondo
a creare pianetini satelliti
a se stanti o noaltri bandiere.
Piture emotive sedes sapientiae
rèfoli umani diversi dai tempi
crestoni martoriai de l’evoluzione
par vaporire anca la psiche
che desso s’invagona pro bono
pacis in parole lucrose sgionfe.” (2)(Festa fiera avida amalgamata
con senso interno diretto,
foglie lanceolate e torsoli simboleggiavano
eros e sesso, le brutte parole
colavano il sugo di barzellette vietate,
i dirupi di calore profondo
a creare pianetini satelliti
indipendenti o noi aquiloni.
Pitture emotive sedes sapientiae
refoli umani diversi dai tempi
cicatriziali assillati dell’evoluzione
per evaporare anche la psiche
che ora si convoglia pro bono
pacis in parole lucrose gonfie.) p. 209.
Nelle poesie in lingua la memoria, taciuta e non percorsa, si situa nel silenzio, camera chiara della oscurità feriale e quotidiana. Nel dialetto la memoria viene attraversata e talora minutamente indagata. Ma in entrambi i casi Cesare Ruffato prende le debite distanze: là il passato non viene nominato, mentre si seziona, impietosamente, il presente; qui il dialetto illimpidisce il presente-desiderio per e con la scrematura dell’autenticità del passato e delle sue sovrapposizioni, della copertura offerta dalla storia e dalle ideologie, dai sociologismi vari, dai diversi confessionalismi risultanti – mutati anni ed epoche – nella sostanza applicata come malta, magari giocata nel gioco mortale, per chi è costretto nella passività della ricezione, della ridondante “parolanteria”(3).
Rifuggiti, come un morbo, l’adeguamento e l’adesione al tempo della cronaca(4), evitato come una malattia (poetica)(5) il cantuccio delle figure e delle immagini levigate del “tempo trascorso” – di quello spazio in cui il ricordo incontra il rimpianto proditorio andando a definire la poesia memoriale tout court cara e diffusa anche nel nostro Novecento(6): tanto più nella lirica dialettale(7), la cui cifra spesso viene indicata proprio in questo risvolto o in quello del sentimento del tempo o del senso panico della vita – il presente diventa, nelle raccolte in lingua e in dialetto, oggetto di pungolamento mentre le sue credulità culturali, le non avvertite sconfitte giornaliere scontano l’irrisione del poeta attraverso una parola ed una lingua inusuali: ancorata alla “libertà” della sperimentazione riproposta in ogni volume, sviando accumuli e ripetitività, la scrittura si sostanzia di una inventiva linguistica fatta di ricerca, di amalgama di lingue e parole, di fantasiosa e lucida mescolanza di lessico, di forme nominali e verbali tanto più impervie quanto più realistiche.
Quel presente, sempre poco accattivante e attraente, passa dalla poesia in lingua alla poesia in dialetto in secondo piano. Pur avendo ancora la sua negatività non confligge apertamente nei versi: non perché mitigato dalla cadenza musicale del padovano, peraltro in versi atonali, ma perché il discorso, fondato sul tempo trascorso non perduto, scivola di risulta su di esso e lo copre.
Così il presente trova il suo luogo nella memoria attiva, depurata appunto dal desiderio non colmato, e viene riempito dalla possibilità di avere risorse che, individualmente, “ricàpino” il vivere e, fuori – nella storia di tutti -, siano il bagaglio con cui e da cui ricominciare, un po’ infanti tutti, un po’ informati dei baratri, un po’ capaci di vedere i fossati, i sabati imprevisti, sulle radici della mente:
“(…) Nolentia strambota de speci
che s’indàla, materia de coscienza
e de robe s’impirla in parole
fiape, sprofonda ne l’erba
a più ime raise de mente
afeto e scompiae de la fine.”(Antipatia stravagante di specchi
che ingialliscono, materia di coscienza
e di cose gira vertiginosamente in parole
vuotate, sprofonda nell’erba
alle radici più profonde della mente
affetto e giravoltole della fine.) p. 297.
Infanti, “bocete”, perché l’infanzia ha “stanse de sapiensa sensa botoni”(8) ed ha il tempo lungo e inconsapevole del sempre e insieme del mai(9).
“Rammemorare”(10) è azione tutt’altro che estranea alla memoria stessa della poesia di Ruffato in una felicità di rimbalzo, sembrerebbe, leopardiano(11), ma è solo una rarità:
“Repente carilla me vien in mente
l’eremo capita primo tra piere
che ne ga entrai nei fiumi de l’anima.
Giorno fin, vera vita sonorosa
de bandiere, lieto fiorio d’aurora
impòrpora el canto del sole.” […] (12)(All’improvviso mia cara rammemoro
l’eremo sbucato per primo tra rovine
che ci ha introdotti nei fiumi dell’anima.
Giorno sottile, vera vita sonora
d’aquiloni, letto fiorito d’aurora
imporpora il canto del sole.) p. 237.
La memoria, infatti, detesta la consolante stasi in se stessa. Si insinua, al contrario, in altri meandri, per nominare l’entrata della ragione e per chiedere, successivamente, conto dell’abbandono di quel costume dell’infanzia, umano culturale relazionale, proponendosi con questo costume viva: come dire e suggerire che la ricerca per dare vita al presente sta nel canale memoriale senza sbavature, rinsaldato dalle pieghe più profonde della lingua-dialetto (13) delle radici, dunque dei nomi e delle cose. Cosi:
“(…) El latin la solidifica fabula
che rimanda più antico
l’eco della vose materna
rinsaldà de fede e emossion.”(Il latino la rinsalda fabula
che rimanda più antico
l’eco della voce materna
rinvigorito di fede ed emozione.) p. 49.
“Me vien in mente”, di conseguenza, per significare un richiamo che procede da un esserci già, nella memoria, del passato: l’esserci, cioè, di un cammino segnato, di passi compiuti, di gesti fatti, di coscienza (o cossiensa, per dirla con Ruffato) acquisita. Gradini di una soglia che dovrebbe essere non sepolta né sgretolata, non rifiutata né sottratta alla storia di tutti, non sofferente.
Sofferenza e insofferenza si rintracciano di contro nella gioventù, nell’oggi, vale a dire nella superficie di quella storia quando sia stata rifiutata e misconosciuta, nei “sabati psichedelici”, gioventù-presente deprivato del proprio linguaggio, delle parole dalla valenza del tempo lungo, del dialetto simbolicamente contenitore di individualità e alterità, su cui poter contare, da cui poter attingere.
“E se melina coi verbi al condissionale
pignate de ponsiopilaterie
gargarismi ganzi co la parola
prevenzione, sensa el costruto
de cultura e carità.
La gioventù nel capio alchemico
nero svena el sacrifissio
cossi malamente
da no portarse gnente
pardelà da contare.”(E si melina con i verbi al condizionale
pentole di ponziopilaterie
gargarismi furbi con la parola
prevenzione, senza il fondamento
di cultura e carità.
La gioventù nel cappio alchemico
nero svena il sacrificio
cosi tristemente
da non portarsi niente
nell’aldilà da raccontare.) p. 99.
Il nucleo del dialetto-mondo si allarga fino ad inglobare, evitando di fagocitarle, cose attuali e passate, fino a pensare – per un futuro “raccomandato” – il passato “rammemorato”.
Rifiutando la riparazione sentimentale, la lingua si distende sul presente e scarta la conflittualità frontale, così versata nei volumi in italiano se non altro per l’abbondanza in questi di insistiti nomi-oggetto, nomi-azioni. Il verso si sfina nella figurazione di un agire “etico” facendo posto alla sapienza del distacco, ma anche alla sapienza della “rammemorazione” che sfugge contemplazione e conforti rimembranti. Un concentrato, insomma, di essenze sottilmente volte ad ascoltare il contraccolpo piuttosto che il colpo delle mistificazioni socio-culturali, lontano anche il pathos del perduto sotto di esse. Ma con una qualche emossion, una qualche sottile attenzione all’ascolto della risonanza nel silenzio interiore, restando la costante di parole le più varie e variate, affidate al loro valore onomatopeico e anche allargate a pienezze dicibili solo con altra(14) lingua:
“Libenter me impendo al so lume
che me s-cicìna e essensia in volo.
Sane in caritate ghe xe amore
potente super no misurabile
che ferisse l’anima fin
a l’osso. Rarefata dulcedo
stravinse e impiega omnia silentia
nel cuore d’altipiani e montagne
par tirare fondi supioni fin dove
l’eco s-ciantisa in perle simiòte.(Volentieri mi consacro al suo lume
che mi disincarna e mi spiritualizza in volo.
Certamente nella carità c’è amore
impetuoso incommensurabile
che ferisce l’anima fino
all’osso. Dolcezza rarefatta
stravince e condensa tutti i silenzi
nel cuore di altipiani e di montagne
per trarre profondi sospiri sino al punto
in cui l’eco scintilla in perle emule.) p. 327.
Il presente dovrebbe contenere quel passato, inseguito e ricomposto, per porsi come contraltare al Moloch sempre più terribile della società moderna e tecnologica e metallica, inarrestabile nei suoi sfaceli(15), ma dovrebbe anche avere in sé, per la “vose de vento” e la “bavesela” della propria fogliolina, delle foglioline (il lavoro, la vita lavorativa, le amicizie, il senso della “comunità” umana, il “lavoro” intellettuale)(16) mai lontane da questa poesia, infine il recupero di un sé non crepuscolare e dunque non trattenuto in malinconie senza slanci.
Certamente la lingua di Ruffato intiepidisce la memoria, la rende meno intrepida e più attenta all’insieme proveniente dall’interno. Come se il “rammemorare” portasse completezza e sapienza del vissuto, del vivere, fusi in una lingua che ha saputo “combinare la distansa co la speransa” (p. 55). Due punti spazio-temporali conchiusi nel passato- presente per una apertura in cui sia alleggerita la gravità del primo e acclarata la levità del secondo. Il varco al futuro si situa su queste possibilità, che contengono per Cesare Ruffato anche un afflato religioso, un Dio cristiano d’abbraccio e d’accoglienza.
“Le robe va viste con parsimonia
via dai broji de businessi. In chiete
ne l’eternità beato sarà el scolto
del sbisigolio de ‘na vita sgorgà
da morte e l’anema ne savarà
co la cognission e l’amore de Dio.
Cussì a paro par man vien vanti
nassita e morte eterne che se fa
divaganti soni e sesti de bon ton.
E chi se sbassa sarà solevà.” (17)(Le cose vanno viste con moderazione
fuori dagli imbrogli degli affari. In quiete
nell’eternità sarà beato l’ascolto
del pullulare d’una vita sgorgata
dalla morte e l’anima ci saprà
con la cognizione e l’amore di Dio.
Cosi appaiate per mano
nascita e morte eterne si fanno
divaganti suoni e gesti di bon ton.
E chi si umilia sarà esaltato.) p. 409.
Sempre e ancora, anche per questi tratti religiosi, nel simbolo della memoria stessa, l’edera(18), cuorema* di memoria.
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Note
(1) Ne scrive nello Zibaldone (passim) Giacomo Leopardi, che pure sulle ‘ricordanze’ e sulla rimembranza ha costruito i suoi idilli, facendo in parte ironia sulla illusione della felicità del passato e, a volte, mostrando pietà per l’inganno della memoria.
(2) Cesare Ruffato, Scribendi licentia, Venezia, Marsilio, 1998, opera omnia della produzione dialettale, edita, ad eccezione di Minusgrafia dialettale di Padova diletta, 1988 (Parola pirola, 1990, El Sabo, 1991, I bocete, 1992, Diaboleria, 1993), parzialmente edita (Smanie e Sagome sonambole, 1998) e inedita (Vose striga e Giergo mortis). In questo volume il poeta padovano ha posto in calce la traduzione in lingua. Tutte le citazioni, se non diversamente indicato, sono tratte da Scribendi licentia. La bibliografia di e su Ruffato è rintracciabile in L. Caniato, L’occhio midriatico, Ravenna, Longo, 1995 (per autori, fino a metà 1995) e in M. Lenti, Cesare Ruffato: la parola e il labirinto, in «Studi novecenteschi», XXIV, 53, giugno 1997 (in ordine cronologico fino alla prima pubblicazione del 1997). Da allora sono usciti: Cesare Ruffato, Smanie e Sagome sonambole (scelta), in «In forma di parole», XVIII, 3, luglio-agosto settembre 1998; C.R., testimonianza critica in M. Mincu, I poeti davanti all’apocalisse, Udine, Campanotto, 1997; Testimonianze critiche, in «La Battana», numero speciale, 3, 1997; AA.VV.; Steve per Ruffato, a cura di C. A. Sitta, suppl. a «Steve», 15, dicembre 1997; AA.VV., Poetica di Cesare Ruffato, Quaderno n. 5, suppl. a «Testuale», 23-24, 1997/98; F. Muzzioli, La poesia di Cesare Ruffato, con un saggio di D. Forni sulla bibliografia critica, Ravenna, Longo, 1998; C. Chiodo, Recenti studi su Ruffato, in «La Battana», XXXV, 130, ottobre-dicembre 1998; P. A. Rovatti, Le parole di Ruffato, in «La Battana», XXXV, 130, ottobre-dicembre 1998; E. Bedon, Il filo di Arianna. Letteratura italiana in lingua veneta, Ravenna, Longo, 1999 (pp. 50, 69, 73, 115, 123); G. Pandini, rec. a Scribendi Licentia, in «Punto di vista», 19/99, , marzo 1999.
(3) Cesare Ruffato, Scribendi …, p. 324. Quanto alla scrematura del passato è possibile leggere in questo senso anche le poesie di Smanie (per es. pp. 223, 224, 225) e di Sagome sonambole: qui il dialogo con chi più non è ricerca l’essenza di quel non essere più desunta dall’essere stato.
(4) La poesia in dialetto saltabecca sulle vicende attuali, storiche e politiche, della cronaca, con ironia e sarcasmo per il risalto che ne danno i mass-media, per l’amplificazione di sostanza e portata. Il filtro sembra richiamare le riflessioni, per echi lontani, tra altri di H. Marcuse de L’uomo a una dimensione e di Th. Adorno di Minima Moralia. Della necessità e del bisogno del silenzio, per ricercare radici e consistenza, testimonia il saggio del nostro autore, Il cantico del silenzio, in Il silenzio, a cura di C. A. Sitta, i libri di «Steve», 21, suppl. al numero 14 di« Steve», gennaio 1997. Il saggio contiene una preziosa bibliografia sulla “fenomenologia e fisiologia del silenzio” e una ricca spigolatura di espressioni del tacere e del silenzio tratte da autori vari e differenti, dall’antichità ai giorni nostri.
(5) Ruffato lo dichiara, a mo’ di manifesto poetico, in Diaboleria nel poemetto El Dialeto, in Scribendi …, p. 159.
(6) Ruffato sembra essersi affidato alla lezione di Montale (Memoria / non è peccato fin che giova. Dopo / è letargo di talpe, abiezione / che funghisce su sé (…), in La bufera, Voce giunta con le folaghe), piuttosto che alla lezione più diffusa di derivazione leopardiana o pascoliana. Del poeta ligure si ritrovano in Ruffato tratti del disincanto delle Occasioni.
(7) Per l’assenza del ritmo lirico fono-simbolico, se così si può chiamare la cadenza della poesia della memoria più in linea con la tradizione lirica italiana, e per la presenza invece di una singolare liricità la poesia in dialetto di C. Ruffato costituisce proprio un a parte. Lo sottolineano, tra gli altri critici, i prefatori e il postfatore delle raccolte in dialetto: L. Borsetto, I. Paccagnella, A. Daniele, M. Cortelazzo, ognuno con una sua specificità d’analisi. G. Patrizi a proposito scrive: “(…) è un lirismo sempre contraddetto dalla spezzettatura dei versi, dai neologismi che rivendicano un valore conoscitivo”, in La sperimentazione dialettale di
Cesare Ruffato, in «La Battana», XXXI, 112, aprile-giugno 1994, p. 13).
(8) Cit. in F. Muzzioli, cit., p. 82.
(9) Molti i critici, che si sono soffermati sul dialetto-infanzia in Ruffato che diviene dialetto mondo, dopo i prefatori e il postfatore delle raccolte in dialetto. Cfr. la bibliografia in M. Lenti, cit. Muzzioli dedica a questo tema un intero capitolo della sua monografia, il 6° (Sperimentalismo dialettale), giungendo ad un risvolto particolarmente stimolante: l’infanzia del dialetto di Ruffato (e in Ruffato) ha un tempo proprio: “il presente rivolto al futuro”(p. 83).
(10) Uso “rammemorare” virgolettato perché il Nostro autore lo ha adoperato per tradurre in italiano il suo “me vien in mente”: “All’improvviso mia cara rammemoro” (Scribendi…, p. 237). Aggiungo, però, che non è insignificante che Ruffato abbia adoperato “rammemoro” e non “ricordo”, “me vien in mente” e non “me ricordo”. La differenza, nella funzione psichica, tra memoria e ricordo è sostanziale: in questo spazio è solo didattico e didascalico il rimando alle pagine (sparse in varie opere) sulla memoria di Freud e Jung, o Lacan e Foucault, di Ricoeur, di altri. Tornando a Ruffato richiamo qui, senza volere entrare nel merito né fare alcuna comparazione, il commento-saggio che M. Heidegger ha dedicato alla poesia Andenken di Hölderlin (in La poesia di Hölderlin, a cura di F.-W. von Herrmann, edizione italiana a cura di L. Amoroso, Milano, Adelphi, 1988, pp. 96-180), tradotta con Rammemorazione dal curatore, da altri (per es. G. Vigolo (a cura di), F. Holderlin, Poesie, Milano, Mondadori 1971, e L. Traverso (a cura di), F. Holderlin, Inni e frammenti, Firenze, Vallecchi 1974) tradotta con Ricordo. La differenza tra Rammemorazione e Ricordo può rendere diversa la sostanza stessa di Andenken. Infatti questa parola permette ad Heidegger di “leggere” dentro i versi: “La poesia Rammemorazione domanda…”; “(…) il pensare rammemorante… pensa a ciò che viene” (p. 140); “(…) il poetare pensa in direzione di qualcosa che resta” (p. 152); “(…) il pensiero rammemorante … pensa in avanti in direzione del cammino verso la sorgente” (p. 170); “Il pensiero che rammemora è un rendere saldo che rivolge il pensiero a qualcosa di saldo, a cui coloro che pensano devono tenersi per potersi mantenere saldi nella loro propria essenza.” (p. 171). Come cerco di mostrare nel mio testo la memoria di Ruffato “apre” il passato per…, cioè non si chiude sul passato. Appunto “rammemora”.
(11) Recensendo El Sabo, molti critici hanno rilevato l’ascendenza al “sabato del villaggio”, ma evidenziando che il sabato di attesa è diventato sabato di dolore. Cfr. la bibliografia su El Sabo in M. Lenti, cit.
(12) La funzione della “memoria per il presente” si trova in moltissime poesie di Scribendi… Per es. alle pp. 239, 257, 271, 289, 293, 301, 304, 319, 321, 327, 341, 347, 355, 362, 399. Ma è solo una scelta minima.
(13) Cfr. bibliografia critica in M. Lenti, cit., e quella ragionata di D. Forni , cit.
(14) Si sa che Ruffato attinge a lingue diverse: italiano anche scientifico, provenzale, spagnolo, latino, volgare italiano, neologismi ecc., reinventandone spesso il significato a seconda della contestualità.
(15) Cfr. la poesia a p. 272 di Scribendi…
(16) Lavoro, mestieri, studio, tracce della vita dell’uomo sono detti o sottesi in moltissime poesie. Anche per riuscire a vivere la vita, secondo lo Zarathustra di F. Nietzsche (“creare, la creazione salva dalla sofferenza e rende sopportabile la vita.”). Della comunità umana è buona traccia nelle poesie alle pp. 356-357, per es., di Scribendi…, in cui si parla della guerra nella ex Jugoslavia.
(17) La poesia è tratta da Giergo mortis, raccolta che ha il suo significato nel titolo e che dice la morte, oggi, nella pietas di una ricomposizione futura con le creature di Ruffato non più vive. Ma Giergo mortis sembra anche una trenodia del presente storico.
(18) Cesare Ruffato, Scribendi …, p. 301.
* Cuorema è un titolo e un libro di Ruffato, come si sa: in parte il significato rimanda alla scienza, in parte alla linguistica. Nel mio testo l’ho adoperato senza segnarne la provenienza, absolutum, sciolto cioè dal suo luogo e dalla sua non del tutto rintracciabile etimologia: spero di essere riuscita a dare a ‘cuorema’ il significato di “nucleo biologico e vitale della memoria”.
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Tratto da:
Maria Lenti, Cartografie neodialettali
Poeti di Romagna e d’altri luoghi
Introduzione e cura di Gualtiero De Santi
Villa Verucchio (RN), Pazzini Editore, 2014
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Piccola antologia di testi in dialetto
Parola droga
Parola pìrola pàrola nel scuro
doping scorpion sbate sul muro
specioso colabrodo la sfibra
sangue servelo figà langue
in bivachi imbriagoni infumega
magna fora tuto ingrassa giro
losco smorsa l’istinto de vita
vis-ciosa calamita stracopa 1’anema
brusca al fiele la boca.
De la socia ben altro torente
xe stà dito scrito contrito.
Parola droga
Parola pìrola pàrola al buio
fa doping scorpione sbatte sul muro
specioso colabrodo lei sfibra
sangue. cervello fegato, langue
in bivacchi etilisti affumica
sperpera alimenta giro
losco, spegne 1’istinto di vita
vischiosa calamita distrugge l’anima
pota al fiele la bocca.
Della ribalda ben altro torrente
è stato detto scritto.
*
El sabo
El sabo discoteca psichedelica
Luna afrodisiaca in covo
oci paonassi, peoci ratrapíi
mulin de fandonie, lambada alcolisà
tabacae de velen
crack e ecstasy che i cani no snasa
spicioli micidiali
albo de bolidi fracassai
clinamen de fantasmi al metadone
ore picole sonambule
de psicomedesine. No serve gnanca
a consolare i bruschi el mistero
del rito nel proprio specio scuro
viliaco. Epure a corpo morto
se insiste nel delirio prometeico
forse a robare el vero
che se sa ‘na falsità del pato
socíale che tien su la vita,
forse la sfida finale
1’anema soto de un cielo
che bisogno ga de purga.
Il sabato
Il sabato discoteca psichedelica
luna afrodisiaca nel covo
occhi paonazzi, pidocchi contratti
mulino di fandonie, lambada etilista
tabaccate di veleni
crack ed ecstasy che i cani non annusano
spiccioli micidiali
album di bolidi fracassati
clinamen di fantasmi al metadone
ore piccole sonnambule
di psicofarmaci. Nemmeno serve
a consolare i foruncoli il mistero
del rito nel proprio specchio oscuro
vigliacco. Eppure a corpo morto
si insiste nel delirio prometeico
forse a rubare la verità
che si sa un falso del patto
sociale che sostiene la vita,
forse per la sfida finale
dell’anima sotto un ciclo
che abbisogna d’essere purgato
*
Na frana da diluvio
un buso nero tra cei europei
e quei del mondo poareto
co quarantamila morti al dì,
prima del domila sentosinquanta
milioni ris-ciarà la fine per fame
da sterminio evitabile co pochi schei.
Più de meso milion a l`ano
orbo, più de diese milioni
miniprofughi e un milion xe orfani
nati da mare col virus de l’Aids.
La strage famosa dei inosenti
se scancela al cospeto de ‘sta qua
genìa ruinosa de erodi
in grana bravae e petrolio.
I spetri killerini che desso
discola strepito mitra cortci
co grinta mafiosa vien fora
da ‘ste pignate turbie
che infanga impapina sassina l’aura
de l’infansia che no capirà mai.
Una frana da diluvio
un buco nero tra bambini europei
e quelli del mondo povero
con quarantamila morti al giorno,
prima del duemila centocinquanta
milioni rischieranno la fine per fame
da sterminio evitabile con pochi soldi.
Oltre mezzo milione all’anno
cieco, più di dieci milioni
miniprofughi e un milione sono orfani
nati da madri col virus dell’AIDS.
La famosa strage degli innocenti
sparisce di fronte a questa
masnada rovinosa di erodi
con soldi bravate e petrolio.
Gli spettri killerini che ora
fanno discoli rumore mitra coltelli
con grinta mafiosa escono
da queste pentole torbide
che infangano rendono esterrefatta assassínano l’aura
dell’infanzia che non comprenderà mai.
*
El dialeto
Lo scometo neta biologia
dei bocete e de la vita calante
alcova rinverdia de scritura
de l’età maura. Nel sesto decenio
el me xe spanìo da vero sincero
smissià coi libri de le docense
foto zale scartofie de pension
gnancora definia po sinque ani,
coi spasmi del precordio e pression
el me nitzanana anca nel troto
roto senile ei me liga al conereto
cavandome i selegati sensa sigarme
par sgorbi de acenti e ortografia
nel volerlo maridare co la lengua
matricolada. Ei m’intiva sempre
versendome l’eden e l’Eva fruà
de la langue. Me smissio inretoricà
sensa idee ciare e co passiensa
voria riscrivare tuto ma me lasso
parlare segnare da bon ad libitum.
Il dialetto
Lo scommetto netta biologia
dell’infanzia e della vita calante
alcova rinverdita di scrittura
dell’età matura. Nel sesto decennio
è in me sbocciato proprio sincero
mescolato coi libri delle docenze
foto gialle scartoffie della pensione
non ancora definita dopo cinque anni,
cogli spasmi del precordio e della pressione
mi fa la ninna nanna anche nel trotto
rotto senile mi lega al concreto
strappandomi i segreti senza sgridarmi
per errori di accenti e d’ortografia
nel volerlo maritare con la lingua
egemone. Sempre mi indovina
aprendomi il paradiso e la Eva consunta
della langue. Mi mescolo retoricizzato
senza idee chiare e con pazienza
vorrei tutto riscrivere ma mi lascio
parlare segnare per bene ad libitum.
*
Spasemanti
Da quando el volante m’insende
incapo neí posti batui dai pedoni
qualche sparuta farfala incredula
me rasenta e slissega la mente
de ‘ste moche no se sa più gnente
qualche muceto de parole ciare
pesae forse ciamae lemmi e rare
me dà el naturale ma no le toco
gnanca le scrivo, finta de no saverse,
no le me magna e in busìa veniale
el naso se slonga e m’impinocio.
Spasimanti
Da quando il volante mi nausea
mi ritrovo nei luoghi percorsi dai pedoni
qualche farfalla sparuta incredula
mi sfiora e scivola il pensiero
non si sa più niente di queste moine
qualche grumetto di parole chiare
ponderate chiamate lemmi e rare
mi dona il naturale ma non le tocco
nemmeno le scrivo, si fa lo gnorri
non mi divorano e in bugia veniale
il naso si allunga e divento Pinocchio.
(Qui un’ampia selezione di testi di Cesare Ruffato.)
***