Due immagini-chiave per Quignard
Un volumetto di Pascal Quignard, Boutès, viene pubblicato dalle edizioni Galilée nel 2008, con una fascetta su cui, accanto al titolo, compaiono due piccole immagini, isolate dallo sfondo originario e riprodotte in grigio scuro: un uomo che cade riverso e un altro che si sta tuffando. In assenza di didascalie, le figurine vanno intese come un appello alla memoria visiva del lettore, che dovrebbe saper riconoscere due rappresentazioni che risalgono alla pittura antica (in un caso, addirittura preistorica): l’una visibile sulle pareti della grotta di Lascaux e l’altra dipinta su un sarcofago di Paestum.
Entrambe le figure, del resto, vengono evocate da Quignard nel corso del libro. La prima fa parte della «scena del pozzo di Lascaux, sulla collina che sovrasta il villaggio di Montignac. Lui ha il sesso eretto. Muore. Cade all’indietro. Si dice che sia un uomo che desidera e che muore sotto i colpi della sua enorme preda ma, se si guarda più da vicino, quest’uomo ha una testa di uccello e, davanti a lui, un uccello sta in cima a una pertica»[1]. La seconda figura è quella del «tuffatore che si può vedere sul retro di un sarcofago nel sotterraneo del piccolo museo di Paestum, di fronte all’isola di Capri. Si rimane stupefatti nell’angolo dello scantinato, dietro la scala, nell’ombra e nella frescura, tanto il piccolo corpo nudo, nitido, sessuato, scuro, sembra deciso mentre si slancia nel mare Tirreno e nella morte»[2].
Il volume nel suo insieme intende commentare, ma in maniera assai libera e divagante, la vicenda mitologica dell’argonauta Bute, che, non resistendo al fascino del canto delle sirene, si getta dalla nave Argo per raggiungerle; ciò lo destinerebbe a morte certa, se egli non venisse salvato in tempo da Afrodite[3]. Dunque, a prima vista, quelli alle figure di Lascaux e di Paestum parrebbero richiami puramente incidentali nell’ambito del libro, ma di fatto non è così, anzi le due immagini devono aver contribuito alla genesi stessa di Boutès. Possiamo affermarlo sulla base di un volume successivo, Sur le désir de se jeter à l’eau, che comprende la riproduzione a colori di quasi tutti i manoscritti e dattiloscritti preparatori redatti da Quignard in vista di Boutès[4]. Certe pagine recano dei disegni dell’autore, e due di essi mostrano che la fascetta che accompagna l’edizione Galilée del libro sull’argonauta è stata ideata da Quignard nella forma di cui si è detto, ossia con le due figurine a incorniciare il titolo[5]. L’ampio materiale preparatorio di Boutès è stato conservato e pubblicato in via eccezionale, per il fatto che la coautrice di Sur le désir de se jeter à l’eau, Irène Fenoglio, studiosa di critica genetica, desiderava poter prendere in esame tutte le fasi attraverso cui era passata la stesura di una singola opera di Quignard[6]. Un film documentario sullo scrittore ci mostra invece quali sono, di norma, le sue abitudini: egli ha sempre con sé, anche quando è in viaggio, una penna e dei piccoli fogli a quadretti (gli stessi usati dagli scolari per i loro quaderni ad anelli), e su di essi annota appunti di vario genere; poi li trascrive al computer, ma corregge più volte le pagine uscite dalla stampante, passando attraverso molti tentativi e ripensamenti, finché arriva alla stesura finale. Dopo aver consegnato il libro all’editore, Quignard conserva soltanto, in appositi raccoglitori, i primi appunti vergati a mano, mentre distrugge (è quel che vediamo nella sequenza iniziale del film) le pagine dattiloscritte[7].
L’associazione fra le due immagini, di Lascaux e di Paestum, si deve dunque allo scrittore stesso. Ora, però, conviene considerare in maniera disgiunta i richiami e commenti che egli fa, nel corso dei propri libri, all’una o all’altra delle due scene, che evidentemente gli appaiono particolarmente significative: quella del cacciatore e quella del tuffatore. La prima è la più antica in due sensi diversi: perché risale al Paleolitico superiore e perché compare quasi subito nei volumi quignardiani. Infatti già nel secondo di essi, La parole de la Délie, troviamo un accenno al «“pozzo” di Lascaux, che ossessiona tre degli ultimi libri di Bataille»[8]. Il riferimento a Georges Bataille è di grande importanza, perché il modo in cui questo scrittore-pensatore ha interpretato l’immagine del «pozzo» ha senza dubbio influito su Quignard. Ricordiamo che egli non dimentica mai di inserire Bataille nella lista dei propri maestri letterari[9]. Nel caso specifico, i tre libri a cui allude sono Lascaux ou la naissance de l’art, L’érotisme e Les larmes d’Éros. In ognuno di essi, alcune pagine vengono dedicate all’esame della strana «scena del pozzo».
Questa viene chiamata così perché si trova dipinta in una cavità sotterranea, a circa quattro metri di profondità rispetto al suolo della grotta di Lascaux. Affidiamoci a Bataille per avere una descrizione più completa e precisa dell’immagine: «Da un lato un rinoceronte, dall’altro un bisonte; fra di loro, a metà caduto, un uomo dalla testa di uccello sovrasta un uccello raffigurato sulla punta di una pertica. Il bisonte è letteralmente irto di furore, ha la coda dritta e le sue viscere scivolano fuori in pesanti volute fra le sue gambe. Davanti all’animale è tracciata, da destra a sinistra, una zagaglia, che taglia la parte superiore della ferita. L’uomo è nudo e itifallico; un disegno di fattura puerile lo mostra disteso in tutta la sua lunghezza, come se fosse stato appena colpito a morte; le braccia sono divaricate, le mani aperte»[10]. La scena è inconsueta, innanzitutto, perché vi compare un uomo: si tratta infatti di «una delle prime figurazioni conosciute dell’essere umano, una delle più significative»[11]. Inoltre, benché ci sia una differenza percepibile fra l’immagine un po’ infantile e stilizzata dell’uomo e quella più realistica del bisonte, esse risultano dipinte con lo stesso tratto di pittura nera, quindi tutto fa ritenere che siano state eseguite contemporaneamente, e non in epoche diverse. Le interpretazioni della scena possono essere solo congetturali. Bataille ne ricorda alcune, proposte da vari studiosi: potrebbe trattarsi della raffigurazione di un incidente mortale durante una battuta di caccia; tuttavia il lancio di una zagaglia non può aver causato l’eviscerazione del bisonte, che sarebbe stato ferito, invece, dal rinoceronte; il bastone con l’uccello sovrapposto potrebbe essere un propulsore, ma anche un palo funerario; la figura umana potrebbe essere non un cacciatore ucciso, bensì uno sciamano in estasi, e il bisonte una vittima sacrificale. Molte possibilità, dunque, e nessuna certezza[12].
Se in Lascaux ou la naissance de l’art, Bataille si astiene ancora dall’avanzare una propria interpretazione, le cose cambiano in un’opera successiva, L’érotisme. Qui egli contesta la concezione tradizionale degli studiosi di preistoria, quella che attribuiva alle figurazioni animali sulle pareti delle grotte una funzione magico-propiziatoria in rapporto alla caccia, e ne avanza una del tutto diversa, volta ad evidenziare l’importanza dei fattori religiosi. «Le immagini delle caverne avrebbero avuto lo scopo di raffigurare il momento in cui, con l’apparizione dell’animale, la sua uccisione necessaria e al tempo stesso condannabile rivelava l’ambiguità religiosa della vita: vita che l’uomo angosciato rifiuta, e tuttavia attua nel meraviglioso superamento del proprio rifiuto. Quest’ipotesi si basa sul fatto che l’espiazione conseguente all’uccisione dell’animale è di regola presso i popoli la cui vita è senza dubbio simile a quella dei pittori delle caverne. Essa ha il merito di proporre un’interpretazione coerente della scena del pozzo di Lascaux, in cui un bisonte morente affronta l’uomo che forse l’ha colpito, uomo a cui il pittore ha conferito l’aspetto di un morto. Il soggetto di questo celebre dipinto, che ha dato luogo a spiegazioni contraddittorie, numerose e fragili, sarebbe dunque l’uccisione e l’espiazione»[13].
Infine, in Les larmes d’Éros, Bataille torna a interrogarsi sull’immagine preistorica, ma stavolta lo fa in un modo più audace, ossia mettendola in relazione con la sfera erotica: «Un uomo, a quanto pare morto, è disteso, abbattuto di fronte a un animale pesante, immobile, minaccioso. Questo animale è un bisonte – e la minaccia che ne emana è tanto più grave in quanto sta agonizzando: è ferito, e sotto il suo ventre aperto si sprigionano le viscere. In apparenza, è l’uomo disteso ad aver colpito l’animale morente col suo giavellotto… Ma l’uomo non è del tutto un uomo, la sua testa è quella di un uccello e termina con un becco. Nulla in questo insieme giustifica il fatto paradossale che l’uomo abbia il sesso eretto. La scena ha perciò un carattere erotico, carattere evidente, chiaramente sottolineato, ma inesplicabile. […] Si afferma un accordo paradossale, accordo tanto più grave in quanto si dichiara nell’oscurità inaccessibile. Tale accordo essenziale e paradossale è quello fra la morte e l’erotismo»[14].
Tra le diverse letture dell’immagine proposte da Bataille, quest’ultima è senz’altro la più congeniale a Quignard. Egli, pur insistendo assai meno del suo predecessore sulla connessione fra crudeltà sadica ed erotismo, non dissocia comunque quest’ultimo dal rapporto con la morte. Ciò contribuisce a spiegare una certa consonanza (e somiglianza anche esteriore) tra Les larmes d’Éros, volume su arte ed erotismo riccamente illustrato, e i due «libri neri» quignardiani sullo stesso tema, Le sexe et l’effroi e La nuit sexuelle, sui quali avremo modo di tornare[15]. Ma procediamo con ordine, notando che anche per lui, come per Bataille, quello raffigurato nel pozzo di Lascaux è innanzitutto «l’uomo morto desiderante», ovvero «un uomo itifallico che muore riverso»[16]. D’altronde, la scena gli appare quasi di tipo onirico: «Nel sogno la rappresentazione umana linguistica, codificata, illustrata, torna al suo materiale di immagini: il sogno (non la vista) è la fascinazione ottica allo stato puro. Allora l’occhio regredisce verso la sua immagine, in cui il corpo cade, mentre con quella caduta il desiderio mammifero si drizza. […] È il segreto della scena dipinta nel fondo del pozzo di Lascaux, che dei bambini scoprirono all’inizio della seconda guerra mondiale al di sopra di Montignac»[17].
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Leggi l’intero saggio di Giuseppe Zuccarino
in “Quaderni delle Officine”, LXIII, Novembre 2015.
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Note
[1] P. Quignard, Boutès, Paris, Galilée, 2008, pp. 33-34 (tr. it. Bute, Asti, Analogon, 2014, pp. 33-34; si avverte che i passi delle traduzioni italiane cui si rimanda vengono spesso citati con modifiche).
[2] Ibid., p. 12 (tr. it. p. 12).
[3] La storia è desunta da pochi versi di Apollonio Rodio, Le Argonautiche, IV, vv. 912-919, tr. it. Milano, Rizzoli, 1986; 2008, p. 639.
[4] P. Quignard – Irène Fenoglio, Sur le désir de se jeter à l’eau, Paris, Presses Sorbonne Nouvelle, 2011.
[5] Cfr. ibid., pp. 231 e 233 (ma anche la copertina e le pp. 26, 41, 43).
[6] Si vedano, all’interno del volume, i tre saggi di I. Fenoglio: Le manuscrit de «Boutès», traces d’une genèse (pp. 13-39), «Chutes» (pp. 263-276), Ouvrir un manuscrit (pp. 287-299).
[7] Il documentario a cui facciamo riferimento è «À mi-mots» Pascal Quignard, film di Jacques Malaterre del 2001; poi in DVD, Paris, MK2, 2004.
[8] P. Quignard, La parole de la Délie. Essai sur Maurice Scève, Paris, Mercure de France, 1974, p. 175.
[9] Cfr. ad esempio P. Quignard, Rhétorique spéculative, Paris, Calmann-Lévy, 1995, pp. 157-159; Pascal Quignard le solitaire. Rencontre avec Chantal Lapeyre-Desmaison, Paris, Flohic, 2001, pp. 97 e 182.
[10] Lascaux ou la naissance de l’art (1955), in G. Bataille, Œuvres complètes, Paris, Gallimard, 1970-1988, IX, pp. 59-60 (tr. it. Lascaux. La nascita dell’arte, Milano, Abscondita, 2014, pp. 100-101).
[11] Ibid., p. 64 (tr. it. p. 108).
[12] Cfr. ibid., pp. 94-95 (tr. it. pp. 136-137).
[13] L’érotisme (1957), in Œuvres complètes, cit., X, p. 77 (tr. it. L’erotismo, Milano, SE, 1986, pp. 72-73).
[14] Les larmes d’Éros (1961), in Œuvres complètes, cit., X, p. 597 (tr. it. Le lacrime di Eros, Torino, Bollati Boringhieri, 1995, pp. 32-34).
[15] P. Quignard, Le sexe et l’effroi, Paris, Gallimard, 1994 e La nuit sexuelle, Paris, Flammarion, 2007. Questi due volumi, di formato album e con molte illustrazioni a colori, sono definibili come «neri» in riferimento al colore della copertina e delle pagine. Spiega l’autore stesso: «Le sexe et l’effroi e La nuit sexuelle costituiscono i due tomi sul mondo sessuale. Ho scelto per entrambi lo stesso formato da libro per organo e lo stesso fondo nero» (Pascal Quignard, «La nuit sexuelle», intervista di Jacques Henric, in «Mondes francophones», 12 agosto 2008, http://www.mondesfrancophones.com).
[16] P. Quignard, La haine de la musique, Paris, Calmann-Lévy, 1996, pp. 47 e 168 (tr. it. L’odio della musica, Torino, EDT, 2015, pp. 16 e 104).
[17] P. Quignard, Vie secrète, Paris, Gallimard, 1998, p. 110 (tr. it. La vita segreta, Milano, Frassinelli, 2001, pp. 77-78).
Giuseppe Zuccarino studia da anni con il rigore e la passione che gli sono abituali l’ opera di uno scrittore straordinario come Pascal Quignard che, in Italia, meriterebbe molta più attenzione e riflessione. Un ennesimo grazie alla Dimora e a Giuseppe che ci dischiude mondi colmi di suggestione nei quali la cultura (stupefacente) di Quignard non è mai esibizionismo, ma nutriente terreno per il lettore.