Madre di creature ferite (VII)
Luminescenti segnali di festa in ogni strada –
ai margini, come seguendo orme
senza suono,
il passo ampio di chi s’impenna e vola
dove il silenzio è madre,
il dono di un’ora che si trascina
fino a che il mondo emerge dalla sua pelle infetta
e si abbandona al richiamo
del lume che tace nel profondo (il papavero
intanto
assorbe nel colore
i nomi in cui trapianta la sua sera, la nuda piaga
delle spighe sradicate) –
Declinare la cenere, coniugare gli occhi
a immaginari residui di scintille,
per dismisura di umano bruciare divise e bandiere
dare fuoco ai giorni di dicembre
procurarsi una lingua
che parla il seme e il verbo del disgelo
camminare di fianco all’angelo
che recita i nomi degli assenti
essere le sue gambe, l’acqua che porta alle sue labbra –
e ancora urlare quanto negli occhi resta
trapassando dal sonno
alla veglia misericordiosa delle ali
portare la sua ombra stretta al dito
reggere grani e vento, farsi sete.
Farsi sete – cercare il ristoro di ogni fonte
abbeverarsi all’eco
dell’altro che reca in mano
la voce ferita che ci salva,
l’alfabeto dell’unico cielo che ripara.
Francesco Marotta
Hairesis (2004)
Lecce, Terra d’Ulivi Edizioni, 2016
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