La parola non sostituisce l’assassinio.
Il simbolico lo argina.
Dice Caino – non so scrivere
parlo poco
e incontrerò mio fratello
in fondo al campo e le pietre
per tradirlo.
Giungi in tempo parola!
che richiami i figli per nome…
o del come fosse
finzione il temporale e gioco la ferita.
– Un trucco di rosse bacche
mi inciderà la fronte.
[…] Nelle prime pagine di Chiaro di terra ci troviamo in una condizione di nuovo cominciamento, per cui non sorprende l’apparizione di Caino, colui che, assassinando il fratello, attua anche lo strappo definitivo dai genitori, l’ulteriore allontanamento dall’origine (la “fonte” di cui dice Hölderlin nel suo poema famoso, Andenken/ricordo); Antonio Pibiri costruisce un testo nel quale Caino, che incarna la violenza cieca e ignorante, si prepara all’assassinio proprio perché manca la parola che dirima la questione – “giungi in tempo parola!” – scrive il poeta perché nominare (chiamare i figli, ma anche le cose e i luoghi per nome) significa sottrarsi e sottrarre gli esseri umani alla violenza cieca, nata dall’incapacità di articolare il pensiero, quindi di capire e di dialogare. (Antonio Devicienti)
[Il saggio di Antonio Devicienti su “Chiaro di terra” di Antonio Pibiri
sarà leggibile in “Quaderni delle Officine“, LXXXII, luglio 2018]