Una città d’acque mi si dispiega davanti agli occhi; sguardo e scrittura sono inscindibili: Amburgo avvia immediata la gioia di scriverne, la sua elegante architettura (ardito equilibrio tra tradizione e modernità) (incontro dell’uomo e dell’acqua) racconta una continuità traverso il tempo.
Città votata da sempre al commercio, vi si può approdare dal mare e poi entrando nell’amplissimo, profondo estuario dell’Elba: un porto vastissimo e dai mille anfratti e, lo confesso, riemerge in me lo stesso stupore di quand’ero bambino, di quando mi portavano al porto di Otranto o di Gallipoli (minuscoli porti di sud est, favolosi ed enormi allora per un’infanzia facilmente incline alle fascinazioni del mondo): nella zona dei cantieri navali di Amburgo gli scafi sollevati delle navi, enormi, rivelando la chiglia e l’elica normalmente invisibili, hanno magia e sentore di mondi nascosti, di rotte lontanissime, mentre le gru attendono i carichi da sollevare ed erano, un tempo, merci favolose (spezie, caffè), oggi tonnellate di globalizzate cose stipate nei container.
L’Elba, grande Fiume che unisce Amburgo a Dresda, ha quest’oggi una nota lunga di metallico colore, un’eco di bellezza e di memoria: quando gli Alleati bombardavano a ondate impietose la Germania e quando Lessing rifletteva sul teatro e sulla vita.
E l’Alster, l’altro fiume di Amburgo che gettandosi nell’Elba forma il bacino interno chiamato Binnenalster, apre allo sguardo la prospettiva della città e delle guglie altissime delle sue chiese, i cui nomi, a ridirli, sono musica del Nord e bellissima suggestione da una lingua bellissima:
Sankt Pauli (silenzio e spoglia eleganza, spazio ascensionale, biancore – scabro biancore – delle pareti); Sankt Petri (di nuovo bianco, scabro, che accoglie – silenzioso e solenne – i pochi dipinti alle pareti – i numeri dei salmi – com’è uso nelle chiese protestanti – da cantare durante l’ufficio divino sui pilastri della navata centrale e anche qui estrema semplicità, monacale, sobria, delle vetrate); Sankt Katharinen (bianco, di nuovo assoluto e totale all’interno che pare contrastare con l’esterno severo di mattoni rossi, stelle oro/blu sulle volte a crociera, una sola vetrata colorata dietro l’altare, fulgore di colori dentro il candore dell’ambiente e pavimento, come sempre, di mattoni rossi e una Crocifissione alla parete, dolorante e di totalizzante sofferenza, come Grünewald sapeva dipingerne); Sankt Nikolai (avanzo di archi spezzati, mura riarse e sbreccate, dolorante memoria della guerra: tra la statua di bronzo dell’uomo disperato piegato su se stesso e seduto su un cumulo di mattoni franti e la torre campanaria altissima imbozzolata nelle impalcature potrebbero muoversi i personaggi di Borchert, quegli infelici reduci dal fronte e dalla prigionia che al ritorno in patria trovano l’assenza impietosa di una casa, la dissoluzione dell’amore); poi la Michaeliskirche: la sua bianca teatralità, l’abbraccio del Coro sull’Assemblea dei fedeli, i tre organi – quello di fronte all’Altare imponente – diranno nell’armonia delle fughe e dei contrappunti la bellezza del mondo. Ellittiche e curvilinee le andanze dell’unica navata: così s’intreccia Amburgo traverso il silenzio delle sue chiese, l’attività incessante del porto, l’anticomoderna bellezza della Speicherstadt.
Credo che le cose e i paesaggi siano muti: è il nostro parlarne che dà loro voce; il paesaggio tace: è il nostro contemplarlo che gli attribuisce senso (almeno relativamente all’imbastire quello che chiamiamo senso attorno e traverso il mondo). La scrittura è forse una curvatura della mente, una variazione nella percezione apparentemente lineare del mondo, un’aggiunta esponenziale alla semplice esperienza percettiva. La scrittura non trascrive né traspone i ricordi: inventa una situazione (sensoriale ed estetica) connessa all’esperienza. Amburgo è presente, ora, quale città densa di visioni che genereranno parole. L’impermanente si lascia un attimo catturare nel riflesso dei canali, poi scompare. Eraclito balugina ovunque, anche a queste latitudini, brevissime accensioni di tempo, scorrere incessante d’acque.
Contrariamente a quanto forse si crede, la Germania ha un’antica, profonda vocazione marittima: Freie und Hansestadt Hamburg (Libera e Anseatica Città di Amburgo, suona l’orgogliosa denominazione ufficiale ancora oggi), città del pirata libertario Störtebecker; Brema, Lubecca, Rostock vanno orgogliose della propria identità marittima; un fine letterato come Adelbert von Chamisso (l’autore dell’indimenticabile Peter Schlemihl) compì il periplo del pianeta come botanico della spedizione guidata da Otto von Kotzebue a bordo della nave Rurik tra il 1815 e il 1818, pubblicandone anche un diario. Chamisso recava in sé due lingue e due nazionalità, la francese e la tedesca, diventò direttore dell’orto botanico di Berlino, altra città sui fiumi.
Relitto barocco sull’Elba, Città di porcellana è Dresda nelle parole e nella poesia di Durs Grünbein, il quale canta la bellezza fragile della sua città natale, ne tesse, tra passato e presente, la storia splendida di “Firenze dell’Elba” e tristissima del bombardamento a tappeto durante la Seconda Guerra Mondiale; molte le città di porcellana in Europa: Varsavia, rasa al suolo con il suo Ghetto dai Nazisti, Sarajevo, sventrata durante il lungo assedio, Guernica, ovviamente, e Colonia, Aquisgrana, Berlino e tutte le città tedesche distrutte.
Il grande drammaturgo e teorico, chiamato a dirigere nel 1767 il Nationaltheater di Amburgo, scrisse nella città anseatica la Hamburgische Dramaturgie che pose le basi del teatro moderno; Lessing, autore di Nathan il saggio, campione dell’Illuminismo tollerante e sodale di personalità quali Moses Mendelsohn e Johann Kaspar Lavater, rappresenta l’anima aperta, libertaria e multiculturale della Germania: percorrendo il porto verso le antiche banchine d’attracco (le Landungsbrücken) ho visto ripetuto sull’asfalto una decina di volte a distanze regolari questo motto: kein Mensch ist illegal – nessun essere umano è illegale. Eccola la Germania che più amo, poliglotta e accogliente, aperta al mondo, curiosa dell’altro: una mano ignota ha voluto imprimere con lo stencil un’idea che purtroppo è ancora necessario ribadire e l’ha voluto fare in un porto, luogo aperto per eccellenza.
Speicherstadt significa “città dei magazzini”, perché nei grandi edifici di mattoni rossi lungo i Fleete (i canali) venivano immagazzinate le merci in arrivo o in partenza; oggi quegli edifici ospitano teatri, atelier, musei. Ma Amburgo non è solo il suo porto e il suo centro: nei quartieri periferici, negli antichi quartieri operai ricostruiti dopo la guerra, si può incrociare forse lo spirito di un grande scrittore che, appunto, preferiva l’Amburgo operaia a quella imbalsamata nelle cartoline per turisti: Arno Schmidt. Ed egli, eccelso genio della parola, fu anche fotografo sapiente dei paesaggi d’acque e di boschi della Germania settentrionale; amava compiere passeggiate portando con sé il binocolo; scrittore dallo sguardo analitico, dalla sintassi che sembra agglomerare galassie di senso. Trascorse i primi 14 anni ad Amburgo, quelli decisivi nei quali si formano carattere ed inclinazione di un individuo.
L’opera della sua vita, Zettels Traum (il sogno di Zettel) è un monstrum che gareggia con Finnegan’s wake di Joyce, Horcynus Orca di D’Arrigo e Rayuela di Cortázar e Paradiso di Lezama Lima per l’estremismo del progetto, per l’ambizione a esaurire in un’opera letteraria tutta la realtà. Perché Amburgo sa suggerire l’azzardo di tracciare una scrittura-mondo, la scommessa della mente di discendere negli inferi dell’esistere.
grazie, Antonio, per questo prezioso excursus su una città che sbirciai molti inverni fa sotto la neve e il ghiaccio con la visione stupefacente e indimenticabile del suo immenso porto. Grazie per avermela fatta sapientemente rivedere,
mi associo, lucetta, a questo; descrizioni ispirate, eccelso il brano e supertip Arno Schmidt! <3
Sono io a ringraziare, grato, entrambe, ma anche tutte coloro e tutti coloro che leggono le proposte della “Dimora del Tempo sospeso”.
Su Arno Schmidt tornerò senz’altro.
Leggo con stupore questo che mi appare come un insolito diario di viaggio, denso di memori, visioni d’arte e riflessioni , da conservare prezioso per un mio futuro -chissà- attraversamento anche solo onirico, di queste bellissime città. Alla prossima , Antonio, grazie.
Pardon: Denso di memorie
Annamaria carissima, non mi stancherò mai di esprimere la mia gratitudine per chi ha voglia di leggere i miei testi.
Colgo qui anche l’occasione per ringraziare pubblicamente Francesco Marotta di avermi invitato a collaborare direttamente alla Dimora: questo è motivo per me d’immenso onore e fonte di un’energia intellettuale ed etica che mi sforzerò d’impiegare al meglio.