(La sede de “l’Unità” era al quarto piano del maggior palazzo dell’Angiporto Galleria), covo di innocui trasgressivi (…), centro di attrazione dove la sera convergevano, a ondate, scontenti, curiosi, naufraghi bisognosi di una zattera cui aggrapparsi, giovani e meno giovani “promesse”, qualche bella donna, qualche campione del catalogo degli “intelligenti”.
La cui stella più brillante si chiamava senz’ombra di dubbio Renato Caccioppoli, l’estroso professore di analisi matematica, anticonformista fino allo struggimento. Anzi fino allo scandalo.
Le serate finivano per lo più all’osteria. Talvolta finivano a casa di Caccioppoli dove lui e Francesca si mettevano a suonare a quattro mani: pezzi per lo più dannatamente romantici, pezzi che non finivano mai, oppure finivano per congiungersi quasi senza soluzione di continuità ad altri pezzi, obbligando incalliti chiacchieroni ad un silenzio forzato, talvolta insopportabile, tanto che il gruppo si sfoltiva progressivamente, per successive defezioni in punta di piedi (pag. 15 dell’edizione ET Einaudi, 2002).
Di ciò che gli ardeva dentro, del suo “fuoco”, Renato aveva tentato una sorta di compendio iconografico esposto allo sguardo di tutti: aveva piazzato sul proprio scrittoio, in due portaritratti d’argento, il volto di un poeta e quello di un matematico, Rimbaud e Galois, destinati a tenersi diuturna compagnia e a colloquiare tra loro, nonché con lui stesso, nella comune consapevolezza di parlare tutti la medesima lingua, di perseguire tutti, per vie soltanto in apparenza diverse lo stesso scopo: rintracciare lembi di quell’armonia che si nasconde sotto la pesante crosta del caos. “Scava, scava, – spiegava spesso al giovane amico [Renzo Lapiccirella] che lo ascoltava incantato, – alla fine che cosa scopre, al di là dei confini del disordine, colui che ha occhi per vedere? Scopre frammenti di armonia, di perfezione. E ce li regala. Questo fa il genio, si tratti di un matematico, di un musicista o di un poeta” (pagg. 119 – 120).
Il testo qui richiamato, vergato da E. Rea, resta fondante per chi volesse cercare di comprendere aspetti non notissimi e di Napoli e dell’Italia di quegli anni e/o tempi incredibilmente lontani/vicini (paradosso? Forse) e vorrei segnalare il libro scritto da Francesca Nobili Spada (la Francesca citata nell’articolo a firma di A. Devicienti): ANGIPORTO GALLERIA, a cura di Viola Lapiccirella (Madre dì F. N. Spada), per i tipi della Silvio Zamorani Editore in Torino, che, per certi versi, fa da pendant a “Mistero Napoletano”, testo ritrovato, testo amaro, testo.. e non aggiungerei altro se non un suggerimento di lettura sensibile,
r.m.
Grazie di tutto cuore per il suo contributo, Roberto.
Per quanto mi riguarda Ermanno Rea e Renato Caccioppoli sono due fari luminosi cui spesso guardo per cercare di orientarmi.