Fine pena mai

pulcino

Dinamo Seligneri

1
Sogno di un proletario

– Sicché tu vagheggiavi di scrivere un nuovo Ulisse con i pensieri e le parlate della gente di campagna della zona tua?
– Mah… non proprio… ‘na mezzaspecie..
– Una mezza specie…
– Mbè, sì, su per giù… ma era un’idea tanto per… infatti oh non l’ho scritto alla fine… tranquillo… troppo difficile per me.
– Nemmeno un rigo?
– No, niente… era solo un pensiero, così, non ho fatto niente
– Questo è quello che dici tu. Perché allora abbiamo trovato tutti quei fogli scritti a casa tua… Tra qualche ora dovrebbero essere portati alla pesa, lo sai no. Il Dottore stima ad occhio che ce ne avevi per casa almeno mezzo quintale.
–  Eh mò mezzo quintale…
– Eh, mezzo quintale mezzo quintale… poi dici che non scrivi niente.
– Mannò, marescia’, solo qualche appunto qua e là… un racconto per passà il tempo…
– Lo sai che è proibito. Ed è proibito possedere più di dieci chilogrammi di carta manoscritta o dattiloscritta in casa.
– Ma non facevo niente di male… non l’ho fatti leggere manco a mojime.
– Mojime… senti come si esprimono questi scrittorucoli di campagna che poi vogliono mettersi a competere con i grandi classici… mojime… Ma per favore. Prima imparate l’italiano… no mojime…
– Appunto, se so’ tanto incompetente che disturbo vi do…
– Senti giovane, non è che io c’ho voglia di perdere tempo appresso a te. Se lo sapete quali sono le regole, perché dovete rompere il cazzo… La gente come te, della tua condizione socio-culturale, non può scrivere, nemmeno per diletto.
– Per di…che?
– Per diletto! Vuol dire per svago, per piacere, per passatempo. Hai capito mo?
– Penso di sì… non lo so sicuro
– Senti, prima che mi fai incazzare veramente, te lo ridico un’altra volta, non fare il furbo. A me i furbi come te non mi so’ mai piaciuti. Ricominciamo: come t’è finito in mano l’Ulisse?
– Mah, è passato un sacco di tempo, mo preciso non mi ricordo… mi sa che ce l’avevo a casa…
– Tu quel libro a casa? Gente della tua condizione non possiede libri in casa. Chi te l’ha dato?
– Non mi ricordo veramente…
– Di chi sono tutti quei libri a casa tua? Chi te l’ha dati?
– Ma nessuno… so’ miei… un po’ l’ho trovati…
– Dove?
– In giro
– In giro… madonna madonna… li ha trovati in giro… in giro dove? per strada? Ti pare che i libri si trovano per strada… Dove lavori?
– Ad Amadori
– E coi soldi che prendi ti ci esce a comprare i libri?
– Sì sì… ci esce
– Sui polli hai mai scritto qualcosa?
– No niente… aspè, sì… una volta… ‘na cosarella…
– E come faceva ssà cosarella?
– Un giorno i polli si ribellavano alla grande ma gli andava male uguale. Vinceva comunque Amadori.
– Come vinceva Amadori?
– Ammazziamo tutti i polli e vince Amadori… muore qualche operaio ciecato ma alla fine ci ripigliamo il comando noi…
– Perché non fai il tuo lavoro e nel tempo libero non vai in giro a giocare alle macchinette, il superenalotto, a drogarti, a fare aperitivi, non vai a puttane come fanno quelli come te?
– Lo faccio… tranne le macchinette, là non ci abbocco mai
– Epperché?
– Con rispetto parlando, Marescià, a me fesso là non mi ci fanno. Io sui tavoli c’ho lasciato pure mille euro e passa ‘na volta… e quante botte c’ho preso poi, marescià, dagli zingari che rivolevano i soldi… ma dove li pijavo io mille euro subito subbito da ridargli?  Però là le macchinette non ci vado… chi è abituato a giocare colle persone vere, che c’ha l’esperienza, si può fidare, a ssè robacce ci gira largo.
– Sarà…
– È è…
– Vabbè, mò com’è è, però ti sei messo pure a fare il grande scrittore…
– Grande mò… così…
– Sì tu sempre “così”… “cosà”…
– Così…
– Eh così così…
– …
– Senti tu qua ti ci fai vecchio se non mi dici chi ti rifornisce di prodotti culturali… Libri, film, fotografie… Chi te li dà?
– Le trovo un po’ qua un po’ là… li compro
– Dinamo Seligneri come nome ti dice qualcosa?
– No non mi pare
– Larry Massino?
– Mai sentito…
– Anco Marzio?
– Mbò, no… che era un re di Roma
– Va bene, allora hai deciso di non collaborare… Stanotte ti accomodi di là, sei in stato di fermo. Vediamo se ti portano consiglio… Accompagnatelo va…

 

2
Lettere a Francesco (Amadori)

Le guardie portano via l’indagato e dopo qualche ora di via vai nella stanza entra un secondo carabiniere, stretto collaboratore del cosiddetto “Marescià”.

Il dialogo riprende.

– Ma chi è quello che hai interrogato stamattina?
– Uno che gioca a fare lo scrittore
– Un altro?
– No ma questo gioca sul serio. Mi sono appena arrivati i rapporti, supera il mezzo quintale di carta scritta.
– Hai capito sto mortodifame
– Mi stavo leggendo poi sto racconto sui polli Amadori
– I polli Amadori?
– Eh, i polli Amadori… invece di scrivere una cosa piacevole che uno ci si spassa una serata, parlano dei polli Amadori. E poi dicono che il governo fa male a vietare a certa gentaglia di scrivere… per forza, vedinpò che ci esce fuori.
– Parlano dello schifo
– Vincè, parlano di quello che vedono loro o che gli sembra di vedere…. poi siccome non se li incula nessuno, fanno ancora di più come gli pare… capito? Ché se cominciassero a vedere qualche soldo per le puttanate che scrivono… te lo dico io… vedi come cambiano verso. Che non li abbiamo visti mai come fanno? Appena vedono due lire si ciecano.
– E i polli Amadori che fanno?
– Eh che fanno… dice che si ribellano. Aspetta che lo ritrovo, qua sto pieno di racconti scritti da quello… i polli di Amadori ce li avevo qua. Ecco un attimo… ci sta un casino… non si capisce niente. Ah, llu ecc. Eccolo qua. Senti quanto è scemo poi, l’è andato a titolare Lettere a Francesco (Amadori). Mò te lo leggo, tanto è corto…

Esimio Francesco Amadori, mi sono permesso a scrivere non per qualcosa ma perché ultimamente qua alla fabbrica di Amadori alla stazione di Mosciano Sant’Angelo provincia sperduta di Teramo ne stanno a succedere di tutti i colori. I polli, signor Francesco, lei deve sapere che non li teniamo più. Delle volte per esempio al cambio turno che ci vogliamo fare il cambio turno due tre minuti, manco, non si capisce come è successo diverse volte che quando siamo entrati noi del turno nuovo abbiamo trovato i polli da fuori alle gabbie. Ma tanti. Per rimetterli dentro ci vuole il coraggio nostro… è come se ti ringhiano contro… Presidente Amadori, io glielo dico, poi lei può pure non ci credere, però i polli sono diventati aggressivi… è successo che due compagni nostri ci hanno rimesso le dita che se lo dicono in giro la gente gli ci ride dietro… che fa, gli hanno detto, lavori su ai mobilifici? dice no, là a Amadori, lavoro… co’ tutti i diti sbuciati come i palloni dei ragazzini. Io pure, presidente, c’ho un buco che m’ha fatto un pollo vecchio qua sul medio, quando lo stavo a rimettere dentro alla gabbia che ci possa rimanere quel pollo, con tutto il rispetto che i polli so’ roba vostra.

Io non voglio dire cose assurde o cose che non sono, ci mancherebbe, però mi permetto una cosa a dirgliela: ma che gli diamo a mangiare a ste bestie? Tutta roba che va bene? Io penso di sì… i sacchi non sono cambiati… però presidente, i polli so’ diversi. Glielo possono dire pure gli altri…

Domando scusa che ho disturbato e se ho fatto qualche errore ma scrivo colla penna di un collega del turno di notte che non sono tanto abituato. I miei sinceri saluti. Gisberto Rosmini.

– Questa è la prima lettera…
– E Amadori risponde? (ride)
– Ma che vuole rispondere Amadori… mò si mette a rispondere pure a questi… Ci sta un’altra lettera dell’operaio.
– Legginpò che dice…
– Leggo…. riparte da qua…

Caro Francesco Amadori… sono sempre io Gisberto quello dell’altra volta per i polli incattiviti. Nessuna risposta da parte sua. Sti polli, pensavo, si stanno a ribellare un po’, ci provano comunque… ma pure noi, presidente, che li teniamo chiusi in gabbia h 24, che non si muovono mai da là… che devono pensare sti polli che stanno bene? Col cazzo, rispetto parlando, e se la pigliano co’ chi gli sta vicino, cioè colle mani nostre di noi che ci sporchiamo le mani… Le mani sue, presidente, non per dire ma per forza non gli succede mai niente.

Comunque, non so se il capoarea gliel’ha detto, a noi ci dice così tutti i giorni, la produzione se n’è calata parecchio nello stabilimento. Pe’ forza, presidè, io non voglio dire, ma se noi invece di tirare i colli e spiumare dobbiamo stare tutto il tempo a giocare a “chiapparella” coi polli… pe’ forza che non si produce, come dice lei. Ogni santa volta che entriamo in fabbrica i polli stanno di fuori e ringhiano… alcuni dicono, non so se è vero ma penso di no, che abbaiano pure… Io non l’ho sentiti mai a abbaiare, ma può esse, presidè… veramente… ché se ci guardano come ci guardano, in cagnesco, benissimo pure che abbiano. E se è grave un pollo che abbaia, figuriamoci se non è grave un operaio che sente un pollo che abbaia. E sono in tre quattro, con Vittoria cinque, che li sentono a abbaiare… Vittoria è una nuova che è arrivata da poco…. da come m’ha detto conosceva la moglie del capoarea… ‘na signora saputa la moglie del capoarea, pare che la porta solo lei. Invece Vittoria digli bella che bella è… e non se la tira per niente… poi co’ sti occhi neri, ste gambe lunghe… fa ammattì presidè, veramente… ‘na volta che viene la deve vedere… Per come ragiono io, invece di stare là in fabbrica io al posto suo la metterei a fare le pubblicità affianco a voi, quando dite parola di Francesco Amadori, affianco a lei ci fate un figurone insieme… Io m’ha fatto girare la testa sta gallinella di Vittoria, e dico la verità un po’ a riacchiappare i polli, un po’ dietro a sti occhi neri di Vittoria, presidè, il giorno in fabbrica non faccio quasi più niente. Glielo dovevo dire… sarò sfacciato, ma uno deve dire quello che è.

Ieri per esempio, per colpa che stavo sempre distratto, un altro po’ non ci rimettevo un occhio come mio nonno che gli partì un occhio in guerra però lui per colpa di una granata. A me per colpa dei polli. Io stavo tanto tranquillo, m’è saltato in faccia come un cane… m’ha schiaffato una moccicata qua sotto all’occhio, poco sopra lo zigomo… il sangue a pisciarella… due centimetri più sopra mi fregava l’occhio…

Presidè, non per dire, ma secondo me a sti polli bisogna metterci riparo… Poi fai tu che è roba tua… che va bene polli ruspanti ma quessi fanno le pozze… voglio vedè chi se li compra polli così… capace che saltano fuori pure da dentro le scatolette… maledetti. I polli mi dispiace a dirtelo ma m’hanno sempre fatto schifo. Poi dovevo lavorare, so’ entrato a Amadori. Sennò io sinceramente preferivo un altro animale, tipo la giraffa. Saluti. Gisberto Rosmini.

– Terza lettera ai profeti… la devo leggere?
– Vabbè, ormai… hai cominciato…
– Finisci, dici tu
– Mbè
– Finisco:

Presidè, prima che te lo dice il telegiornale te lo dico io. I polli hanno fatto fuori tre dei nostri… altro che terroristi coi kalashnikov.. Sono dovuti venire prima i pompieri poi gli artificieri. Fortuna che m’hanno cambiato il turno di notte all’ultimo, sennò ci capitavo pure io. Magari ti fa piacere a sapere che i polli so’ diventati grossi come le persone, e quello che ha fatto fuori a Paolo era pure più grosso di ‘na persona normale almeno di due tre palmi. Una cosa mai vista. Presidè, va bene che li vuoi grossi sti polli, ma altezza uomo non ti sembra troppo?

Comunque, c’hanno pensato i corpi speciali hanno detto. Mò la fabbrica l’hanno sgombrata, i polli so’ morti tutti, ostaggi non ce n’erano e pare che si so’ portati via pure gli altri polli quelli che non erano cresciuti più di tanto. Mò so’ cazzi da cacare però. Tre morti sul lavoro, voglio vedere come glielo spiegano ai giudici e ai giornalisti soprattutto che so’ stati i polli a ammazzare Piero, Stefano e Tonino. Non è che mò ci danno la colpa a noi? o a voi? Non sia mai, presidè, voi che c’entrate… La polizia ha messo i sigilli. Io Presidente l’avevo detto che qua finiva male… Mò sicuro noi ci perdiamo pure il lavoro, ma lei deve tenere presente le mie lettere che comprovano se si dice così che io a differenza del capoarea e della moglie che hanno fatto orecchie da mercante io l’ho avvertita… Spero che quando sarà lei si ricorderà di questo mio piccolo grande gesto di dirle come andavano le cose qua allo stabilimento… Mò su quello che succede, stiamo a vedere. Pure in televisione ne staranno a dire di tutti i colori, m’immagino il Tg 3 regionale… quessa è roba sua…. Comunque io sto in stato di fermo…

– E finisce così?
– Penso di sì… Non ho trovato né il seguito né la parola Fine da nessuna parte… quindi sì, che ti devo di’, sembrerebbe finire così.

 

3
Fine pena MAI

– Fatemi rientrare lo scrittorello un po’, ché so’ arrivati i referti definitivi dalla pesa
– Sicché comandà?
– Male male
– Rischia grosso
– Avoia se rischia grosso… il giudice già m’ha dato le istruzioni… non scherza per niente.
– Che si becca
– Un 1916 bis-tris non glielo toglie nessuno… una pena esemplare
– Scusa l’ignoranza, sto 1916 bis-tris non l’ho sentito mai che è
– E’ una specie di FINE PENA MAI
– Ncula
– Te l’ho detto. E’ ‘na specie di ergastolo con isolamento (temono che vedendo altri detenuti il condannato possa trarre ispirazione ecc)… Il condannato per 1916 bis-tris è tenuto in isolamento dentro una cella di massima sicurezza con una quantità spropositata di fogli bianchi attorno… quasi più carta che spazio…
– E che pena sarebbe scusa?
– La pena è che non ci sta manco ‘na penna in giro…
– Ahahahaha… Hai capito il Ministero… li murtasù!
– So’ forti eh…Ad alcuni gli legano pure le mani… che co’ ssà gente non si può mai sapere che s’inventano
– Che scrivono col sangue?
– Non si può mai sapere… ci sta chi c’ha provato… gente morta dissanguata per scrivere “il romanzo della vita”… ma ti rendi conto che matti fènici?
– Ma magari non lo condannano a quesso…
– Che fa non lo condannano… co’ tutta quella robba che gli abbiamo trovato a casa… tu stai fuori… quesso ‘n altro po’ manco il processo gli facciamo…

***

Il nostro scrittorello pare riuscì, nonostante i lacci, a scrivere qualche foglio colle mani legate dietro e senza penne, un po’ come quelle rockstar che suonano la chitarra all’incontrario, di spalle… non so però se riuscì a portare a termine il racconto sui polli o ne scrisse degli altri.

Quando mi sono svegliato mi ricordavo questo e poco altro ancora… Che magari dirò un’altra volta.

(Pubblicato il 5 gennaio 2016
col titolo “Sogno di un proletario“)

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1 commento su “Fine pena mai”

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