Il tema è la “Distanza”.
Dove il futuro si innalza nel passato e l’oggi è questo
sguardo. È un occhio il presente, tra un battito di ciglia e
l’altro, in un montaggio permanente di visioni. (fr. 91)
Endimione
Tratto da:
Lilith. Un mosaico
Bologna, Luca Sossella Editore, 2019
(fr. 83, pp. 133-141)
I.
Tutto è raccolta. Quando l’astro eclissa
come un veliero l’uovo luminoso
da cui risorge Fanes, esistiamo.
E tutto è luce. O dove il caos si schiude
una saetta improvvisa. E il fiume scorre.
Qui siamo, nelle forme destinate,
accolti. Non io o tu ma questa palpebra
di luce prenatale, questa sfera
che ora chiami “il motivo”. È come un sogno
dove non scisso ma infinito il flusso
di energia e materia pervade il fine.
E dunque nasce. Un grattacielo ha occhi
di fuoco e mille pensieri. Il pianeta
è in fiamme. Io contemplo lo sbocciare
degli eventi come rivelazione.
È un vento tiepido di marzo nella
notte fatale, dove tutto accade.
I lampioni esalano sangue. Il seme.
II.
Il seme cade. (Senza patrocini.)
E il sole non è ironico. (Riscalda.)
Perché l’uomo, capace di splendori,
fu anche in grado di funesti inganni?
Gli dei hanno ben altro a cui pensare.
E cosa può una canzone? Là là là!
Perciò mentre gli eserciti si accalcano
ai confini della vecchia casa un fiore
ho colto, per il mio amore. È tutto giallo!
III.
Casa, casa. Dove non ho memoria?
Una ragazza il fato volle mia
compagna. Ed io l’amai. (Profusamente.)
Vi scrivo dal futuro questa lettera
che presto arrivi ai piedi di una quercia
che ancora non sapete. Casa, casa…
Tra le zolle immersa. Come un altare
di suoni e colorata. È tutto in fiore!
(come disse il Sanchio)
ciò che l’ansia non deturpa di codici.
IV.
“Nascere! Cantare! Grondare immagini!
Nel corso degli eventi che si sciolgono
per diventare un albero noi siamo.
Occhi di lago, la tua onda avviene
a me come elemento di me stesso”.
Così cantò Endimione alla deriva
nel bosco senza nome a cui si diede.
E il bosco che aderiva gli rispose
con la voce delle felci nel vento.
V.
Solo ciò che non si vede esiste.
(Lavorando per sottrazione.)
O solo ciò che non esiste si vede?
O è questo accorgermi camminando di essere
al tuo fianco
molto prima dei mondi?
UN’INCLINAZIONE SFAVOREVOLE (dice)
pro contro pro contro tic tic
non farò in tempo se piove non
(è una sindrome) (un complesso di sintomi che concorrono
a un quadro clinico) CLICCA QUI
Perché non si scrivono più poesie d’amore?
(Questa vergogna d’essere / al cospetto…)
Addio, lago ghiacciato.
Campanelli, campanellini belli.
L’eclissi non mi colse […].
(termosifone) (stanza) (procedura) (insert coin)
(tergicristallo) (software) (pelle rossa) (visione)
(quantità accumulate) (di notifiche e dati)
(frigorifero) (torsione) (neon) (déja vu)
“L’ho visto quel falò. Ce ne sarà
qualcuno di più importante?”. “Sì, tra poco”.
Mi dicesti:
“Ciao!”. Ti dissi.
Il venti marzo del duemilaquindici.
[…]
L’eclissi non mi colse impreparato.
VI.
CIP CIOP! CIRICIOP!
Una sinistra aria
che per l’uomo è l’ombra.
Una metropoli nel caos dei disservizi.
Cavalcando, cavalcando…
LOL!
Il flauto di Pan.
(depone uova) (sottocutanee) (la cavia)
(si annidano colonie) (nella saturazione)
(il tornio esiste) (è una funzione esponenziale)
(un raggio di convergenza) (un argomento complesso)
(il logaritmo) (scava) (il logos) (annidato)
(tutta la storia è storia) (di una dissociazione)
(e non c’era niente, niente che io potessi fare
oltre una larga diffusione di indifferenza…)
Oh qui ti vidi per
la prima volta, principessa indiana sotto i portici
di Piazza della Libertà a Macerata.
Avevi in mano un vassoio di paste.
[…]
Due laghi […].
VII.
Due laghi nella notte marchigiana.
“Ti aspetto nel giardino. Ho una gonna
bianca. Mi vedi subito”.
La ragazza ha sognato
una stanza (uno spazio) da attraversare (su cui affacciarsi)
(dopo un breve corridoio) (ad angolo).
Dunque s’affaccia e vede.
[…]
L’uovo […].
VIII.
Peona mia sorella dice sei sparito nel momento del bisogno
come tutti gli altri. (Dove sei finita, Luce? Queste
nuvole…)
Un ripugnante gancio ci solleva e produce…
Può darsi che un amore puro sbocci nei parametri del caos?
Senza risentimenti. O isterie normative.
“Légami”. Dice:
“I legami monogami non appartengono al tempo”.
E una web-cam è un lago
dove affonda la pietra
lanciata da un ragazzo
ai bordi della sera.
E una ruspa solleva del materiale incongruo.
Ti aspetto in uno schermo
dove i segni si posano
come un presagio triste.
Ma il sacerdote nero che disegni
ostacola il passaggio e non esiste.
IX.
Vista, vista. Come potrei davvero perderti?
Quando si nasce è freddo. E poi si piange. E tutto è duro.
Tu mi chiamavi “Meraviglia santa”. Ed io “Luce”.
Quando eravamo un uovo luminoso. Un uovo elettrico.
Io non vedevo. Nero. Nero. Nero.
Allora cominciò a sollevarsi
una canzone come il mare alla luna.
E m’elevasti vista dall’eterno
sonno per nascere corpo nel sole.
Nel caos della sembianza, tra gli abbagli,
giocando a riconoscerci per sempre.
E quando chiudo gli occhi e tu dispàri
è solo un’altra forma del mio amore.
Quando la luna sanguina sul mare in fiamme
tra le necropoli delle autostrade sale
un grido strozzato a dirci: ci rivedremo.
Perché non io o tu ma forse un dio
inabissato risorge.
X.
Forse, dico. Privi di possesso. Scardinando
aspettative. Come un evento naturale.
Forse, dico. Incontrandoci per sempre
una prima volta. Tutte le mattine.
Forse, dico. Perché la vita è oscura.
Custodiremo questa grazia pura
nella carne della materia storica
che disfa sé nel corso dei molteplici
avventi? Forse, ti dico. Forse! Il fiume
si inabissa per risorgere e la luna
sua sorella lo attende? O nell’unione
che non ha pretese Diana si stese
e disse: “Coglimi. Sono nata
per essere brucata dai tuoi vermi.
A te mi affido. Scioglimi”? Ma poi
scomparsa ovunque risiedeva il vero
cosa significava? Se Endimione
non altro aveva che al risveglio l’aria
a cui affidare il suo amore? Meditava
come fanno le pietre che non sono
quando aspettano il fuoco. E il giorno giunse.
Era pieno di nuvole.
XI.
In autostrada. Una bufera. Il mare
soffia tristi presagi. I tir bagnati
trasportano materiali grondando. Un autogrill
è un luogo in cui le anime non sanno
quale giorno li attende. E si attraversano
guardando i gesti cari che separano
gli eventi come specchi senza vita,
sfogliando i giornali oppure sciogliendo
biscotti industriali dentro ai caffè.
E tutto è falso. Il tutto
che appartiene adesso a un nastro trasportatore, a un nastro
recintato da lampioni e guardrail.
In auto Endimione scarta un uovo
di Pasqua, espone un ciondolo nel quadro
del parabrezza incrinato, le nuvole
(lo sfondo) gli trascorrono nemiche
come Erinni dai millenni soffiate.
E l’autoradio emana fredde news.
XII.
Eppure, in fondo al nero, ancora il giallo…
Un messaggero dentro la bufera
ripete l’arte dell’attesa è sacra
mentre l’auto attiva il tergicristallo
e l’ansia dei codici non scompare.
E lui non doveva più sperare
ma solo accogliere i segni dal fondo
come cadaveri emersi dal mare.
Perché crudele è l’agonia del mondo.
Eppure, in fondo al nero, ancora il giallo…
Grazie, interessantissima scrittura. Un frenetico entrare e uscire dal tempo e dal pensiero.. Mi piace moltissimo!
una buona scrittura quella di Davide Nota: la VII per i prossimi Gioielli Rubati