Lucetta Frisa
CRONACHE DI ESTINZIONI
(puntoacapo, 2020)
Dalla prefazione di Elio Grasso:
[…] La rapida progressione dei furori, epidermicamente inoculati nella mente dell’autrice da intrighi mondani e fatue opulenze sparse nel mondo, giunge all’invocazione di città dal triste destino, di vulcani estinti e attivi, che sembrano precipitare in mare, così come le antiche profezie. Il primato della denuncia quasi mai è giustificato dalla vera poesia, ma qui l’aria sentita è tesa, odora di concretezza fino al midollo perché l’esperienza sparsa a piene mani nel libro è un fatto radicale, inestinguibile e curato come un pane all’alba. La visione non scende mai sotto l’orizzonte, tutto è regolato perché l’esposizione sia al tuning massimo di onde portanti parola chiara e liscia […]
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Da Cronache di estinzioni
Acciughe
Sono sempre più piccole e sottili
da molti anni non sono più le stesse
forse hanno perso la voglia di nuotare
sempre nel mare;
pescate e mangiate pescate e mangiate
non si divertono più.
Hanno cominciato a rimpicciolire
da quando hanno aperto gli occhi
e la testa si confonde con la coda
anche se continuano ad affacciarsi
in branchi frementi nelle notti di primavera
e la luna maligna le accarezza e svela
agli occhi rapaci dei pescatori
e si rintanano negli angoli più scuri
del mare e nel fondo delle reti da dove
tentano di fuggire senza sapere
dove andare. Perché hanno voglia
di non esserci
andarsene
sparire dal mare.
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Dalla postfazione di Mauro Macario:
Ghenovas, 2087
[….] Questo libro che risale al 2019 ci commuove, noi superstiti siamo fatti di lontane risonanze sensibili, non solo per la rarità dell’oggetto cartaceo pressoché scomparso e che solo al tatto inumidiamo con le nostre lacrime (non sono consentite ma ce ne concediamo qualcuna al sabato sera) ma per il suo contenuto che racconta come andò a finire. Cosa? Il mondaccio, che altro? S’intitola CRONACHE DI ESTINZIONI e sono poesie. Le ricordate le poesie? Forse no. Già allora non le leggeva nessuno, però erano in molti a scriverle, uno strano caso di autori che si autofecondavano diventando il pubblico di sé stesso, un po’ come quegli animaletti che si inseminano da soli tramite quel fenomeno che si chiama partenogenesi. La poetessa in questione è tale Lucetta Frisa di Ghenovas, pardon di Genova, aveva scritto tanti libri ma questo ha il dono intuitivo della veggenza […].
Massimo Barbaro
Marco Ercolani
L’ARTE DELLA DISTANZA
(puntoacapo, 2020)
Cosa accade in questo libro? Perché due scrittori mettono in comune il loro journal interiore o addirittura lo inventano scrivendosi? Perché continuano a farlo? Sembra che l’intimità necessaria a trascrivere i propri appunti diventi, nel dialogo, l’arte di una nuova distanza, che è la verifica di un’amicizia e la nascita di un libro. Dove si sviluppa la partitura, a quattro mani, di una ricerca comune, filosofica, letteraria, etica e poetica.
«Sempre, per sentirmi autentico, dovevo essere segreto. Non c’era nessuna verità, secondo me, in una vita visibile. Da subito mi sembrava inautentica: nome, cognome, patria, famiglia, come un corredo funebre. Per descrivere una vita vera bisognava scendere nei sotterranei, sentire una voce, percepire una ferita. Poi, da quelle sensazioni, riplasmarsi vivi, contro ogni ordine del discorso. Così è accaduto».
«Senza disperazione, senza malinconia, senza scontentezza, sono nudo. Vago così, ora. Ora devo dire: cammino».
Grazie, Francesco. Grazie, Antonio. Da entrambi.
in bocca al lupo ad entrambi i libri, necessità e dipendenza.
un abbraccio
Due gran belle proposte di lettura
” Per descrivere una vita vera bisognava scendere nei sotterranei…”
“e si rintanano negli angoli più scuri
del mare e nel fondo delle reti da dove
tentano di fuggire senza sapere
dove andare”.
Alessandro, ti ho appena spedito “Fuochi complici”. Spero ti arrivi presto. Ho gioia a leggerti qui. Marco