(Molto probabilmente soltanto un poeta (o, comunque, un artista) può degnamente ricordare e omaggiare un poeta; per Paul Celan, in ricordo e in onore di Paul Celan, Domenico Brancale offre alla Dimora del tempo sospeso queste parole emerse dai suoi incerti umani – un grazie anche ad Anna Ruchat: lei e Domenico sanno il perché – A. D.)

nessuna voce franca
nessun luogo di respirazione
qui è un qualcuno a credere al sale degli occhi
qui messo a dimora
un vuoto preso in parola
tu nella ripetizione a mente per confondere io
attraverso questo essere irrimediabilmente traccia
fossile
a predire il cammino
udibile a malapena
nell’orma vuota che giace sotto i passi
……………………..l’istante è varco e diga
lungosenna del volto
di uno che annega parlando con la «colpa dell’amore»
accanto alle proprie mura edificate
convivendo con le macerie
ai margini d’infinite pupille
volto all’assente
spietrato
dalla lingua corrente che annoda
strappato da qualunque argine
indetto a muta perenne
ora che un nonnulla t’incera le mani
l’esilio è sotto l’unghia incarnita della notte
avevo appena versato le prime lacrime negre
non avrei mai dovuto imparare a sparlare
a fingermi tu …
premetto che apprezzo la poesia di Domenico Brancale grazie alle proposte di questo blog, questo autentico gioiello me lo rubo per il domenicale del prossimo 26 aprile
Direi che Domenico abita in quella parte del mondo dove la tragedia del poeta è ancora vera tragedia, con cui la letteratura ha da confrontarsi SEMPRE, senza mai risolvere o definire quel dramma.
L’ha ripubblicato su Paolo Ottaviani's Weblog.
L’ha ripubblicato su vengodalmaree ha commentato:
Un giorno come questo, di tanto tempo fa ..
Ringrazio per la memoria e per la bellissima poesia.
Un miracolo che si ripete, noi, la rosa di Nulla, di Nessuno, riusciamo a trascendere e redimere la “lingua corrente che annoda”, per rispondere in un Oltretempo, folle speranza, in cui l’ “impiccato spezza il capestro”, al “vuoto preso in parola”, in cui un’anima dal fulgore ineguagliabile si smarri’ nella vertigine di senso, perché non riusciva più ad ascoltare la parola di luce “che noi cantammo al di sopra, ben al di sopra, della spina”.