Luoghi scarsamente popolati

“compresa la ragione del male,
servirebbe perdono
perdono di generare generanti
inetti a restituire”

Giacomo Cerrai

Luoghi scarsamente popolati
(e altri testi inediti)

 

molti modi per dire
molti modi di dire,
degli uni si usa per mostrare
il palmo delle mani
il vuoto o il pieno
o un ciottolo dorato per le gazze fanciulle,
degli altri per nascondere
sul dorso le cicatrici o i segni
di denti d’amanti o d’animali.
Come la bocca:
l’assente o il presente trapassato
l’attonita cerchia delle labbra
il silenzio dei lupi
o la canzone di chi dice o disse
la parola che richiama indietro
chi se ne andava.

C’è un modo per dire, certo,
nell’infinita varietà dei verbi
un modo possibile, un mondo
nelle voci che articolano voci
nei respiri che danno respiro,
che il dire è l’unico
per quanto incerto modo
di salvare il salvabile.

(nov. ’13)

 

*

 

l’eclissi è prevista ad un’ora precisa del giorno,
e sconosciuta:
sarà un consuntivo per lo più di luci e macule in un occhio interiore
come una nuvola che passa davanti alle finestre e rende il paesaggio
sopportabile.
Non c’è elemento naturale dove sopravvivere davvero:
visto da un’errata distanza sembra dominabile con la sola coscienza,
ma è un animale in cui siamo o non siamo dentro,
una volpe che in quel paesaggio è semplicemente apparsa,
qualche volta, gettandoci lo sguardo diffidente,
e poi è fuggita nella zona d’ombra.
Perciò l’ombra, quando giunge, come una sofferenza della luce,
un’opposizione ad una volontà d’agire non più oltre,
è falce, palpebra che si serra lentamente,
stanze chiuse.

(giu. ’15)

 

*

 

da Luoghi scarsamente popolati.. (inedito)

cambio di clima

e la politica dei segni, vista da quaggiù
dai canali di scolo dalle rogge
d’un calore eccessivo di settembre spiraleggiante ottobre
lontananza discreta e riservata delle giornate brevi ed anestetiche
la riforma delle stagioni delle foglie che non hanno ragione del loro pessimismo
si torna sui propri passi per spirito di partito preso
con la prudenza d’una svogliata educazione
tanto a primavera, di nuovo, prevedibilmente nuovi innesti.
Poi se arriva il freddo e lo sai le notizie
sono sempre false e tendenziose come periodi ipotetici
e la politica che senso
a cosa ammicca…… di quale volta buona
di quale cambiamento si può fare
stando così le cose….. e poi tutti al lavoro, certo
allora le foglie pongono una questione di fiducia
gli uccelli hanno smesso di cinguettare
come una usurpazione d’un diritto
si avvicina l’inverno migratorio
e non pare davvero una metafora
di dove vanno i figli
semmai un assottigliarsi della luce
come avviene in molti tunnel in molte
vie di fuga

(ott. ’15)

 

*

 

i fiori gialli autunnali hanno
la persistenza inaspettata di calore più luce
l’ora è tornata indietro di un passo
tutto sembrava sospeso in quel momento conveniente
non è stato possibile scegliere
la felicità di un limbo senza oneri né onori, solo
l’economia di più luce più presto più tempo
di pensare – non c’è scampo per questo –
che c’è stato un giorno in cui
ho avuto la stessa età di mio padre,
è già passato ma
anche la sera, senza troppi scompensi,
è arrivata prima,
anche il buio……..e quel giorno
e non c’è modo di dormire legalmente
senza pensare
che ho avuto la stessa età
che ho avuto peccati diversi
ed è morto
e quell’età è già passata
e ora sono più vecchio di mio padre

(ott. ’16)

 

*

 

signore o qualsiasi altro ente
un affidavit, chiedere di credere
a noi, indiscutibilmente,
o un reciproco sostegno,
da amici,
il gioco della fiducia, come
lasciarsi cadere all’indietro
in un mare calmo d’ottobre,
braccia invisibili.

Lasciati cadere.….Tu,
precipita:
testimonianza dei fardelli,
di un confine, non oltre il quale –
Vieni a prenderci,
solleva la fronte
d’una spinta uguale e trascendente,
in braccia invisibili, capaci.
E se fossero d’uomo?
le nostre, soltanto,
fatto uomo, rimasto:
immagine, o somiglianza,
per il tutto, o una parte,
uomo d’uomo,
tu l’hai detto.

(ott. ’17)

 

*

 

eredità di corpi

costola:….tutto giunge,
tutto torna e significa,
la discendenza dell’osso,
rovesciata
come chi proviene da chi, a saperlo,
o venire dal nulla,non liberi
di venire dal nulla:
vi trovano posto accordi, somiglianze,
certi luoghi mistici (lì, forse
sta l’alito pensoso, sacro sterno)
e certi dolori senza genere e numero
ma forse femminili,
di nascita,forse
nel grembo di mia madre
quella costola,
fango e osso,
strappo e strappo,
sottrazione.
La terra non colma
il vuoto dove manca l’osso,
o amore in ritardo,
o parole.
Anche qui,
compresa la ragione del male,
servirebbe perdono
perdono di generare generanti
inetti a restituire.

(ott. ’17)

 

*

 

il parolaio che parla di parole:
forse non resta che attenersi ai fatti
con quel poco che serve,
tratti, gesti, qualche azione
un sorriso difficilmente rappresentabile
o i segni dei denti.
È autunno, ma parlare d’autunno!, forse
c’è altro oltre le foglie, oltre l’emivita
di simboli che non fanno altro che parlare a singhiozzi,
di tempo che blabla scorre e, ma c’è altro di certo,
gente che s’ammazza, fascisti mascherati da zorro,
buchi nelle tasche, ma non è questo nemmeno,
è cosa farne delle parole rimaste, depurate,
su quali miserie di vestigia appuntarle
tanto per ridare nomi persi, reimparare
le cose prima di farsi male,
come un acònito
che noi, provenendo dal futuro, è sconosciuto.
Mentre penso a questo s’alza un vento
che so come si chiama.
È un vento, nome generico di cosa,
e non lo scrivo, tanto resta comunque inattingibile,
s’alza e non fa male,
ha il suo verso, non serve nominarlo
e poi c’è altro di certo,
dopo il vento.

(nov. ’17)

 

*

 

mi domando com’è la prima
la prima di che cosa?.. in cima agli alberi
denudati
ma quello è il dove,
che cosa e quando, la prima,
mentre guardo fuori……… te
e i panni distesi hanno una loro scrittura
parecchio inclinata
nel gelo anzi nel maestrale
di gennaio,..puntuta.
Vedo il corpo e la testa che vanno
in direzioni diverse,
non necessariamente opposte,
metà gesti……….metà pensieri,
come sei – così –
non la prima ma come fosse,
una specie di tregua
del tempo o di tutte le volte,
gesti pensieri,
non necessariamente identici
perché le cose cambiano, le circostanze
e non è la prima
ma è come la prima
che ti vedo.

(2 gen. ’18)

 

*

 

alcoli dei giorni
leggeri,…….. e d’aria,…..e d’insonnia
e presto,….e brume,
e il tentativo di volare,..presto:
non c’è tempo da perdere,
mattini,……..sere,
luoghi abitabili
vesti vuote nei giardini:
la taglia conformata
la testa sulle spalle
e vuoti, forse manichini vestibili.
Le notti invece cristalline
per quanto è dato rammentare,
erano state,
e fuori non ha panorama, né piazze occupabili
gli alberi tutti tagliati, in ordine
gente che lavora, vorrebbe,
e la sua strada
e progetti buoni ancora un anno o due,
entrare uscire
aprire chiudere.
Serrande.………..Occhi.
L’ordinario che è sobrio
la festa è finita da un po’
dopo qualcosa cambierà, di certo,
uomini e donne che vogliono, che cosa?
aggrumare forse una vita
non morire del tutto
non morire del tutto
ordinariamente

(gen. ’18)

 

*

 

da Dettagli (titolo provvisorio, inedito)

ti prego, sollèvane un po’ –

ogni preghiera una nuova clausola.
un altro rischio in croce.
un altro cristo attraversato.
ogni parola allo scopo è invenzione formale
dossologia privata
depurazione del poco, necessità, rinnovata –
di darsela….o darla….a bere.

Cerca, in una domanda, l’inusato,
mal posta, mal rivolta, l’arroganza
di credere che in fondo,
di qualche dettaglio confortante,
ci si accontenti di poco,
dacci
appena il nostro,..si suppone

– che poi è proprio lì che si nasconde –

quello che ci è dovuto,
come un anticipo di liquidazione

– il povero diavolo, l’ex portatore di luce –

(nov. ’19)

 

*

 

da Luoghi scarsamente popolati…. (inedito)

una forma di vita deperibile

perché sempre lo stesso paesaggio
con variazioni di colore inquadrato in una cornice
da un punto fisso dello sguardo –
è illusione: che il fiume l’albero o qualsiasi oggetto trasvolante nel riquadro
non bisbigli in maniera interessata:
chiede in cambio una sinecura un dissequestro d’ombre
magari entrare di soppiatto dentro a un verso esemplare
o un’opera di luce ammansita che cela l’idea
o un salto di quinta come l’ermetico gocciare di pioggia nella gronda.
Immemore
che in principio era la fame dell’occhio, della gioventù, della descrizione di descrizioni era il desiderio l’erezione d’una calligrafia in mutamento
la scoperta del dire come una scrittura bizzarra; immemore
che la prospettiva rende le cose più piccole
e una miopia di anni ora affastellati lungo strade strette.
Il mondo è compresso in una sintesi inghiottibile, confinato
tra una cornice od un abbraccio con varianti di un paesaggio-ritratto
che l’animo per campare crede impercettibili
a parte i cambi di stagione
la spoliazione delle foglie
l’amore che deperisce oltre tutti i patti.

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