I giorni del sole fermo

Elio Grasso

Nota di lettura a:
Liliana Zinetti, I giorni del sole fermo
Borgomanero (NO), Ladolfi Editore 2020

La poesia non è infallibile, al contrario di quanto pensano coloro che agilmente l’antepongono a una vita che ha soltanto bisogno di farsi curare le ferite. La poesia dunque viene svuotata ancor prima d’essere scritta. Inevitabile che questa mancanza non mobiliti una poetica degna del nome, né si annuncino sorprese leggendo le schede segnaletiche di sbrigativi libretti e opuscoli. Bizantinismi e agguati critici se ne leggono a iosa in rete e in prefazioni elegantemente accompagnate alle pubblicazioni, raro imbattersi in pagine che mostrino una fissazione, una volontà della lingua finalmente volta a costruire una decisione espressiva. Ferma e completa, almeno nel suo esordio.
Liliana Zinetti si è presa il tempo, all’interno della sua vita, del rispetto – tanto da consentirle la calma necessaria per affrontare, nella scrittura, le perigliose incoerenze esistenziali e le provocanti durezze a cui tutti noi siamo esposti. Rispetto del dolore e delle ferite che sono sempre una soglia su cui incombe, spesso, la frana. Se non lo smottamento dell’equilibrio, di certo il distacco del linguaggio dal processo creativo. Con il conseguente annebbiarsi della serietà morale ed estetica. Già dalle prime poesie della raccolta le ombre appaiono in luoghi che sembrano riserve di macerie stagionali, dietro cancelli e vetri rotti, e sono ombre che faticano a parlare e ad attraversare il buio circostante. Ombre che potrebbero essere esuli sotto le stelle, inaccessibili anche al canto. In quei luoghi la luce è incerta, e non sembra chiaro il destino delle giovani vite che Liliana Zinetti osserva inquieta.
Nella parola data la poetessa vorrebbe spingersi oltre la terra di confine, fuori dal turbine delle foglie e da tutti gli inverni accumulati. I pensieri sono uccelli notturni che non porgono pace, sono inevitabili come il senso di una fine. Se il sole – per un evento sconosciuto o lontano – si è fermato, emergono molte infermità, e non esistono più luoghi dove le convivenze si protraggono educate e salutari. La fragilità delle ossa, forse dei pensieri, viene affrontata da Liliana Zinetti in versi dove ogni cosa artificiale viene posta in quarantena e poi allontanata con rara efficacia: nessun effetto decorativo rompe l’oggettività e ostacola il carattere teso della lingua. La compattezza di ogni poesia, vale a dire il confronto diretto con la realtà e con il sé della poetessa, è il punto forte del libro. Il dialogo con le ombre non cede, neppure la notte oscura ne indebolisce la resistenza pur sapendo che è cominciata una stagione umbratile.
Lo strappo mostra il vero mondo sottostante, i soldati uccisi in Medioriente, e tutte le previsioni diventate realtà: sui muri, sulle impalcature, nei ristagni psichici, nelle violazioni continue in regioni dove la ferocia è truccata dai migliori entertainer delle nuove piattaforme, dove lupi e volpi intrecciano relazioni e strettamente sorvegliati non sono soltanto i treni del tempo passato ma i veicoli del prossimo futuro. I fantasmi rivelati, a un certo punto della raccolta, si trasformano nell’urlo dei bombardieri nei ricordi di chi ha preceduto in vita l’autrice. Per giungere al finale in cui tutto diventa silenzioso (l’ineluttabile silenzio dell’immagine fotografica di Viviana Nicodemo), e la pace occidentale vera o presunta viene compresa nella casa materna dove tutti gli oggetti mantengono l’impronta della mano ormai fredda: ma Liliana Zinetti non è immemore, i suoi ultimi versi resistono nelle stanze dell’infanzia. Faticoso raggiungerle, ma nonostante l’incredulità hanno ancora l’aspetto della madre.

 

Testi

 

Un luogo senza fantasmi senza
specchi nessun riflesso di quel che non sono.
Mi prendo il rischio
di un’ennesima alba
che torce il viso, dichiaro
il nulla del bianco, la neve.
Questo rimarrà. E l’aria trasparente.
Camminavo cancellandomi
porgevo il fianco cieco, abitavo nuvole
senza cielo, equilibrista tra vuoto e pieno.
Nessun luogo, un nulla desolato
il più difficile da dire
muffa e pareti bianche e rughe
pensavo casa ma franava
l’amore
oltre la soglia
lontano.

 

*

 

Ma parlarsi era il volto di altri
lineamenti senza passato
la luce sonnambula dell’alba ai cancelli
dove urticanti parole salivano
parlarsi era cedere alla rovina
il franare di gesti e vetri rotti
senza altra destinazione che
non fosse un luogo sconosciuto
terra che non riconobbe i passi
amore che non ebbe mai un luogo.
Le mani crebbero rovi
le ginocchia la fronte a terra
tra l’insignificanza e il buio
ci travolse il tempo.

 

*

 

l’estate precipitata in un improvviso inverno
saltò i colori
mentre qualcuno entrava in una fine
con un’allegria da saltimbanco
e barattoli trascinavano lungo la via
le code dei cani incimurriti.
Questo è il suono che quando si fa sera
accompagna le ombre
le ombre ridanciane che gettano buio
nella sfera del circo e delle sue luci false.
Inaccessibili le stelle, i Campi Elisi,
ma vi è un’innocenza che va oltre
le periferie di lamiere e muri scrostati
dove si imitava la morte
e muove
un aratro che dissoda la terra nuova
promessa di fioriture e colori,
sapienza che indica orizzonti nuovi
quel che non siamo stati
quello che non si è capito

 

*

 

Le cose che abbiamo perso mentre
cade il giorno con tonfi leggeri
l’ombra sul tavolo una chiazza
che strofino fino al grido del vento
che tormenta abeti curvi nel buio.
Serrato colloquio tra rami e arruffate stelle
rondini gridano le rotte che abbiamo mancato
smarriti in un rifiuto, nello strappo di un’assenza.
Eravamo a un passo dalla bellezza
il volo alto dell’aquila
ma hanno ossa fragili i sogni
tra fiori e foglie morte qualcuno ha scelto.
(Dove va il vento
quando si posa chiedevi
ma era solo il sonno
tra i rami e le stelle)

 

*

 

Hai detto: la poesia, oh sì
la poesia
come fiume carsico
come lava di vulcano
fermerà il volo dei tristi uccelli notturni
il battere scuro d’ali alle finestre
ma a nulla è servita
nessuna forma può contenere
appieno
una notte senza stelle.

 

*

 

                ad Anna Pezzica

Ascolta, ha respiri la notte, fruscii.
Un sussurro di fronde scrive il cielo
mi porta pensieri di nuvole
voli azzurri di gabbiani.
Ci troveremo più in là
dove nasce il primo balbettio del giorno?
Ascolta. Ha passi lievi la notte, silenzi.
Silenzi che sono ricordo del buio
di falò altissimi
bivacchi di tormentati insonni
la pioggia che è stata incessante.
Se ogni cosa ha un termine
finirà anche la notte?
La notte ardente coi suoi urti
e quel sentore di buio ineluttabile?
Finirà e saremo felici?

 

*

 

La sera raccoglie foglie
accanto all’edicola chiusa.
Domani porteranno i giornali
nessuna nuova dal mondo:
le cosce innamorate delle veline
e un soldato ucciso in Afghanistan
mentre si continua a morire di stenti
qualcuno è caduto da un’impalcatura.
Ma le previsioni sono incoraggianti:
oggi cielo terso, temperatura gradevole,
soffieranno altrove i venti.
Le condizioni ideali per una gita fuori porta.

 

*

 

                Bari, 2 dicembre 1943

Racconta il mare in fiamme
di quell’inverno del 1943
il rombo dei bombardieri e i vetri esplosi
racconta che qualcuno bruciava
e piange come allora, il capo abbassato,
negli occhi il tizzone scuro che fu un uomo
e il terrore e le grida.
Ognuno di noi dovrà rendere conto
della disperazione che ancora scuote la terra
noi voltati e indifferenti
noi uomini d’azione
noi (mai) fratelli.

 

*

 

                Da quando manchi siamo
                ore crollate dal quadrante di un tempo
                che tu tenevi imperturbato

Scendeva una pioggerella sottile e d’improvviso
si incurvarono i lampioni, pressati dal buio.
Notte di dicembre che scomparvero le luci
gli alberi il profilo dell’ospedale, esplose
il bianco della tua assenza.
Il dolore un osso tra la gola e il cuore.
Di te ancora ha memoria la casa.
Pare sospesa, fuori dal tempo, pare in attesa.
Restituiscono gesti irreali gli oggetti,
la tua mano stanca
la fatica la fatica.
Stolidità delle cose animate dal ricordo,
ma è morta la mano, è fredda la mano.
Resistono le stanze che mi videro bambina,
spento per sempre il cuore della casa.
Penso che torni bagnata dalla Luna
madre contrastata, respinta, cercata,
madre luogo che abitavo e più non trovo.

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10 pensieri riguardo “I giorni del sole fermo”

  1. Liliana Zinetti è voce poetica di grande serietà e di assoluto interesse – e questo vale, credo, da anni. Mi preme anche dire che apprezzo (e condivido) la premessa di Elio Grasso a questo suo intervento. Il prosieguo dell’articolo illumina infatti una scelta di poetica e di atteggiamento etico davvero degni e, purtroppo, rari.

    1. C’è molta malafede in giro, molta superficialità e la “rete” rigurgita di un infantilismo e di un dilettantismo stomachevoli che non aiutano certo la poesia. Per quanto riguarda l’editoria, poi, sono poche le realtà che posseggano una vera e chiara linea editoriale, così come sono pochissimi gli autori che conducano una costante, seria ricerca di poetica. Caro Elio, non diventi noioso, ma sono in molti (in troppi) a credere di scrivere testi di valore.

  2. Un ringraziamento sentito a Elio per il tempo dedicato e per l’accurata nota. Grazie anche a Antonio e a Francesco per l’ospitalità. Un augurio di giorni buoni a tutti.

  3. sono lieto di avere letto queste poesie di Liliana Zinetti e mi cercherò l’intero volume, è rara la poesia in cui la musica di chi la scrive giunge a chi la legge o a chi la sa leggere come una vibrazione che unifica, l’autrice dunque merita il massimo rispetto e attenzione

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