Una conquistata dismisura: su “Un uomo con la guerra dentro” di Jonny Costantino

Viene pubblicato in questi giorni da Lamantica Edizioni un nuovo libro di Jonny Costantino: Un uomo con la guerra dentro (vita disastrata ed epica di Sterling Hayden: navigatore attore traditore scrittore alcolista).
Dico subito che si tratta di un libro capace di essere, nello stesso tempo, biografia e testo narrativo, saggio e diario personale: chi cerca opere che non possano e non vogliano essere ascritte a un genere specifico ha trovato quella più adatta. E aggiungo: è un libro che riflette perfettamente la personalità umana e intellettuale di Jonny, perché esso è vulcanico, appassionato, precisissimo e informatissimo, diretto e visionario proprio come il suo autore. Continua a leggere Una conquistata dismisura: su “Un uomo con la guerra dentro” di Jonny Costantino

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Si aprono i congiuntivi

                                                                  Marco Furia

nota critica a:
Mario Fresa
Bestia divina
La scuola di Pitagora editrice, Napoli 2020

Bestia divina, di Mario Fresa, è elegante raccolta di versi il cui enigmatico divenire è una sorta di racconto-non racconto.
Questi testi catturano il lettore per poi, subito dopo, abbandonarlo, almeno in apparenza.
Dico “in apparenza” perché un’originale continuità non viene mai meno: ormai tra i ritmi equilibrati e battenti di Mario, dobbiamo proseguire. Continua a leggere Si aprono i congiuntivi

Salmo 129 (ter)

Questione di civiltà

Coro dei morti – Maestro, alcuni accademichi e accademichesse (quest’ultime poi, dio ce ne scampi!), palesemente in malafede e incivili, hanno osato criticare la sua ultima (magnifica, nevvèro!) opera… Perché non gli risponde e li mette a tacere? Vuole che lo facciamo noi?
B – Grazie per la premura, miei cari, ma non ne vale proprio la pena, rispondere agli ignoranti equivale ad abbassarsi al loro infimo livello. State tranquilli, mi raccomando, e soprattutto continuate a perlustrare e a studiare con anore e scrupolo filologico il vasto corpus dei miei scritti. All’occorrenza, non si sa mai, tenete sempre a portata di mano, con citazioni pronte all’uso, l’unica bibliografia che conta veramente e che fa la differenza: quella che vi ho suggerito quando siete diventati miei discepoli diletti. Aggiornata, sia chiaro: la civiltà, come la natura, segue il suo corso sine requie et mensura.

“Nessuno a cui poter dire
che non abbiamo niente da dire
e che il niente che ci diciamo
continuamente
ce lo diciamo
come se non ci dicessimo niente
come se nessuno ci dicesse
nemmeno noi stessi
che non abbiamo niente da dire
nessuno
a cui poterlo dire
nemmeno a noi stessi”

Salmo 129 (bis)

Questione di lingua/e

A – Ho letto il suo articolo. Lei scrive in un italiano raccapricciante…
B – Guardi, prima di pubblicarlo, mi sono consultat* con uno scrittore, con un intellettuale (che è sempre lo scrittore di prima, ma preferisce tenere distinte le professioni), con tre pisicologhe e, savà sandìr, con i rispettivi mariti, chiaramente tre pisicologhi…

“Nessuno a cui poter dire
che non abbiamo niente da dire
e che il niente che ci diciamo
continuamente
ce lo diciamo
come se non ci dicessimo niente
come se nessuno ci dicesse
nemmeno noi stessi
che non abbiamo niente da dire
nessuno
a cui poterlo dire
nemmeno a noi stessi”

L’angelo amaro degli assenti

L’arte dimenticata di morire

un altro giorno di sabbia senza impronte
scivola tra le dita, prende fuoco alla luce ostile
che instancabile danza dove più esile invecchia la luna –
la notte non ha più segreti
e i suoi doni rivelano al corpo
l’estraneo chiarore che avvicina ossa e ombre
in un abbraccio, un colore indefinibile che ama il freddo
come il mattino le rose cresciute sulla lingua –
il tempo che credevi privo di esistenza
compone la sua opera, conserva nel palmo
neve che profuma al tocco dell’aurora,
e intanto tu guardi il letto, il bianco del lenzuolo
aggrumarsi in macchie di calore, tendersi lacerarsi
fino a che il cielo si abbassa all’altezza dello sguardo

(il dolore naviga nella stanza
come una vela inquieta in uno stagno immobile,
cade dagli occhi, squama la pelle sul labbro
e la voce brucia, raggelata, come una stella
nei sogni del vento –
a casa, perdute nel lontano,
le mie carte parlano al silenzio parole che non conosco,
si affidano all’angelo amaro degli assenti
perché ancora un’eco rimanga – una lenta
nostalgia del mondo
mentre la morte gioca a nascondersi nei nidi del sole)

(da qui)

Quaderni di Traduzioni (LVIII)

Quaderni di Traduzioni
LVIII. Agosto 2020

Yves Bergeret

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La Maison des Peintres de Koyo
(2006, 2020)

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La dimora insonne

Elio Grasso

Nota di lettura a:
Daniela Pericone
La dimora insonne
Bergamo, Moretti & Vitali 2020

La supremazia del pensiero è sempre più irriducibile nelle poesie di Daniela Pericone, dai libri precedenti giunta in piena forma soprattutto in quest’ultimo: fino a una spregiudicatezza sollevante polveri, e significati scoscesi ai tanti che nella poesia cercano ben altre sicurezze, o certezze, o debolezze, e infine stupidaggini. Si potrebbero suggerire diverse prospettive ai contendenti la lingua della poesia, nelle conversazioni quotidiane su cibi e ricette d’essai. Molto più semplice rievocare la gentilezza di arbusti e fogliame, di giorni e stagioni che trovano dimora nelle singole poesie, grati dell’accoglienza. Le poesie, appunto, sottolineano la competenza degli affittuari che saggiano il territorio ricavando dall’opera quel che di buono contiene. Continua a leggere La dimora insonne

Oracoli (3)

Nomi

Il nome Osip ti viene incontro. L’eco dei passi lacera la tenebra stagnante dei tuoi sensi. Ti apre un varco tra i silenzi e le piaghe di un’esistenza che puoi solo immaginare. Viene a mostrarti i frutti di una terra che germoglia sotto il fuoco. Ti accolga l’abbraccio della lampada muta che accende ogni notte sulla soglia. Ti accolga il vento che dalla soglia soffia parole d’acqua alla polvere. Che rifiorisce le voci mai placate dei morti che gridano giustizia dal ciglio ferito dei suoi occhi. Questa è la casa, dimora dei viandanti, qui c’è la tavola che invecchia e che rinasce ad ogni incontro. La mensa di spighe mature imbandita per il transito degli anni. Guarda. Non si consuma l’olio del lume che ti aspetta, se arde nella coppa delle mani la luce fraterna degli sguardi.

Alfredo De Palchi (1926-2020)

Alfredo De Palchi

L’occhio della serpe è un qualsiasi dio––
uragano che scopre fondamenta
travi chiodi
e con la spirale centripeta spazza
il quotidiano lasciando al raso
il reale più fecondo

questa la serpe bella fredda
testa piatta a triangolo a stemma
di religione––l’amo perché strisciando
sibila con sveltezza la lingua
sulla centrifugazione degli oggetti
e nell’occhio centra stolidamente
le emozioni di chi non sa reagire

ogni uovo di serpe contiene compatto un uomo
qualsiasi, l’uragano è la realtà che fabbrica
il piede: la mano stupenda––il paradigma.

(1964)

Scacchiera

Yves Bergeret

Io porto
il vento dell’alba
a dispetto di tutto

Io porto
verso il cielo dello straniero
la polvere del sogno

Io riporto
dall’orizzonte che trema
il profumo dell’assenza

Io riporto
l’orizzonte e la sabbia che si distendono
al libro sul quale
hai posato la testa per dormire

Tratto da:
Damier
Espace du désert et de la montagne au Mali

Éditions Langue et Espace, Paris, 2000
(Cfr. qui)
Traduzione di Francesco Marotta

Il circo del sole

Robert Lax

[…]

In principio (in principio del tempo, a dir
poco) c’erano i compassi: roteando nel
vuoto i loro piedi tracciarono principi e fini,
principio e fine in una sola linea. La saggezza danzava
in circoli perché questi erano il suo regno: il sole
ruotava, i mondi vorticavano, le stagioni si susseguivano, e
le cose tutte seguivano il loro corso: ma in principio,
il principio e la fine erano uno.

E in principio era amore. Amore formava una sfera:
e in essa tutto cresceva; la sfera poi abbracciava
principi e fini, il principio e la fine. Amore
aveva un compasso la cui danza vorticosa tracciava una
sfera d’amore nel vuoto, dal centro della quale
scaturiva una sorgente.

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Traduzioni di Graziano Krätli e Renata Morresi.

Continua a leggere qui.
Qui altri testi e una nota critica di Giacomo Cerrai.

Una tripletta decisiva

Davide Ruffini

Una tripletta decisiva

Quel vecchio arnese che ci è appena passato davanti, con lo stomaco gonfio, il puzzo di birra, l’occhio appeso, i jeans sfilacciati, le toppe con la bandierina americana sul gomito come un tramezzino del bar, si chiama Stefano Viti e, lo so, si fatica a crederlo, ma un tempo è stato una grande promessa del calcio. Continua a leggere Una tripletta decisiva