Una pittura murale a Die

Yves Bergeret

 

Una pittura murale di Hamidou Guindo a Die

 

 

Tratto da:
La Maison des Peintres de Koyo
Éditions Voix D’Encre
Montélimar, 2006

Traduzione di Francesco Marotta

 

 

(Continua da qui)

 

Da quando Yves Bergeret mi ha fatto conoscere, attraverso le sue foto e i suoi racconti, i dipinti che i contadini di Koyo realizzano sui muri interni delle loro case di terra, sono rimasto incantato dalla loro energia creatrice e dalla loro intraprendenza grafica.

Avendo avuto la fortuna di conoscere a Die, nella Drôme, uno di questi pittori nel corso del suo viaggio in Europa, ho accompagnato la creazione della sua grande pittura murale che qui si presenta. Avevo fatto preparare il muro con una terra ocra. Ho fornito a Hamidou i pigmenti naturali che impiego con un collante vegetale; la mia pratica di formatore è differente dalla sua, visto che i suoi pigmenti abituali sono la terra di termitaio per l’ocra-rosso, un caolino macinato per formare il bianco, e l’ocra mescolato con le ceneri per il nero; i tre colori di base di tutte le pitture rupestri.

Senza rinnegare la sua, Hamidou ha assimilato molto velocemente la mia pratica e io l’ho visto dipingere con una sicurezza e una determinazione tanto tranquille quanto efficaci. Nel suo lavoro non ci sono dubbi, tentennamenti, esitazioni, ma una responsabilità schietta e diretta. Hamidou ha immediatamente definito il suo pensiero grafico sull’insieme della superficie del muro di cui disponeva; attraverso il racconto che ci ha fatto a pittura terminata, ci ha anche mostrato che la sua immaginazione creatrice si costruiva sulla totalità degli spazi geografici che percorreva ormai da qualche settimana, anche se questo percorso era per lui assolutamente nuovo. Gesto grafico potente, pensiero attivo e sintetico della superficie e dello spazio, ecco almeno due elementi che costituiscono la bellezza di questa pittura murale. Bellezza che può ugualmente essere esemplare per noi in Europa, per noi che cerchiamo di proteggere e di rigenerare la libertà, la sensibilità e la creatività nei nostri spazi.

Patrick Crébier, insegnante di pitture su terra, GRETA-Viva5

 

***

 

Dopo aver finito di dipingere quel muro a casa mia nel giugno 2005, Hamidou Guindo «dice quello che ha scritto», che io riporto qui, con le parole e nell’ordine in cui l’ha enunciato.

A sinistra si leva Koyo poto («la grande montagna»), la cima più frastagliata che fiancheggia l’altopiano sul quale si trova il villaggio; dalla base un canalone roccioso, aransan toko, la percorre obliquamente: è una delle vie di accesso dalla pianura all’altopiano. Dei blocchi e delle enormi pietre incastrati dalla parola «magica» degli Antenati ne permettono la scalata. Blocchi e pietre sono raffigurati con delle coccarde, una sorta di parole-pietre. Al centro della parte sinistra della montagna, è disegnato il cuore della montagna, focolaio di energia, di pensiero e di forza vitale.
Al di sopra, a destra, un vento viene a cercare la montagna per sollevarla e già agita le piccole pietre vicine alla cima.

All’altra estremità del muro, Hamidou ha dipinto una montagna di Die, sulla quale ci eravamo arrampicati quattro giorni prima. Un grande albero si eleva nel mezzo, e in effetti le fitte foreste in Europa hanno impressionato Hamidou, contadino degli altopiani desertici. Sotto, a destra dell’albero, la parola di Die circonda il cuore di Die; si vede ancora la raffigurazione delle coccarde.

Al di sopra, a sinistra, un vento (sempre lo stesso?) viene a cercare la montagna per sollevarla e così comincia ad agitare le piccole pietre vicine alla cima.

Tra le due montagne, Hamidou ha dipinto «il mare che danza». Prima di arrivare in Europa, per l’esposizione delle nostre opere a Roma, Hamidou non aveva mai visto e nemmeno sentito parlare del mare; la parola stessa non esiste in «toro tégu». Ha intravisto le luci del litorale della Costa Azzurra di notte, dopo aver lasciato l’Africa, poi, sempre dall’aereo, ha guardato, in piena luce e agevolmente, il mare che costeggia l’aeroporto di Roma. «Il mare danza»: la danza non è un’espressione corporea di seduzione, di semplice piacere; è in primo luogo il linguaggio corporeo in cui la densità e il ritmo sostenuti mettono i ballerini e la comunità che li circonda in una sintonia più intensa e profonda con l’energia del mondo e con l’azione di «spiriti, geni, divinità». Le numerose coccarde, evidentemente imparentate con quelle delle montagne, raffigurano qui le parole dei Canti delle Donne che canteranno il mare quando Hamidou, ritornato al villaggio, gliene avrà parlato; esse gli daranno realtà in questo modo. Hamidou, un altro giorno, dice che quelle coccarde sono la realtà del mare, che le donne gli hanno cantato prima della sua partenza per l’Europa, e l’acqua del mare è venuta a disporsi intorno a quelle parole sacre per esistere e danzare.

Al di sopra, la mano unica ha questo significato, come dice Hamidou: «con una sola mano, io non posso coltivare», perché la terra ha bisogno delle due mani del contadino per dare i suoi frutti; due, perché la vita è fondata sulla gemellanza, come l’uomo e la donna, la poesia e la pittura, la roccia e l’acqua, il Mali e la Francia.

A sinistra, una capra che sarà sacrificata per un rito si avvicina al mare, ne beve l’acqua, è felice e danza. A destra, un uccello sacro, che non sarà sacrificato, si avvicina all’acqua del mare, la beve e danza.

In basso a destra, Hamidou, per la prima volta, ha posto una firma: il suo nome, il nome del suo villaggio e quello dell’oasi vicina, il mio nome; ha dipinto due teste identiche, che raffigurano lui ed io, e poi la data.

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3 pensieri riguardo “Una pittura murale a Die”

  1. Davvero molto belli i dipinti, qualcosa che aveva capito anche, in ambito occidentale, Jean Dubbufet alla fine degli anni ’40 (naturalmente, del secolo scorso). A questo riguardo, sono ancora molto potenti i suoi “fenomeni” e tante figure eccentriche, se così si può dire, riconducibili all’Art brut.

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