Un pensiero sorgivo*
……«Ora è forse morta? No o sì, cosa importa, se da sempre si è già nella magia di morte, nel difetto di vita bramoso di una più che vita – che non consegue alcuna più che vita come risarcimento o ricompensa ma come una regale incomprensibile latenza… Come un frutto – uno di quelli che non si danno a conoscere per tali». Questa frase, contenuta in Una vita imperfetta, ci orienta verso la poetica filosofica di Rubina Giorgi. I libri di Rubina sono contenuti dentro questa «regale incomprensibile latenza», dove a contare non è più la realta definibile della vita o della morte, ma i ritmi di una parola sprofondata in modo sonnambolico nell’ascolto del pensiero. In Una vita imperfetta, la qualità oracolare della scrittura filosofico-poetica tiene stretto il filo di Arianna dell’autobiografia, considerata non come chiave esplicativa ma come tassello di ulteriori misteri. La scrittura di Rubina ci appare il divagante monologo intonato da una lingua antica, introspettiva, musicale, avvolgente, un interminabile bisbiglio metafisico.
……«Si fortificava piuttosto nella propria “scomparizione” dandosi un essere, protervo, di fantasma. Non: non sentire, non soffrire, non godere, non palpitare ma: sentire, ricevere tutto con tanto maggior libertà e senza limiti nella propria inesistenza di fantasma. Si abituava a sprofondare in bizzarre lontananze, assecondando così l’innata difficoltà al dialogo». Rubina racconta ad esempio di un cane che le minaccia, bambina, e di lei che, fuggendo nel buio per evitare il morso, ha la sensazione di cadere in una cavità, «caduta senza misura, in una oscurità ancora più grande, e là tutto è quiete, quiete e niente». L’episodio genera, a ventaglio, la sensazione di essere precipitata in una tana oltre i confini delle cose. Ma proprio qui inizia un’avventura del pensiero, una favola filosofica, un raccontare imperfetto e misterioso. L’autrice si chiede: «Costruire una tana insormontabile, e subito sconfiggerla, renderla spazio vivente d’un’accoglienza?».
……Il «maturare verso l’infanzia», di schulziana memoria, è vivere ogni attimo del vivente in stato di meraviglia, in quella dimensione sinestesica di tempesta analogica, di un “ultrasentire” che confina con la psicopatologia. «Se senso c’è, dev’essere nel comando di restar fuori dalle mura dell’umano maturo. Chi non sa rinchiudersi dentro le mura dell’umano maturo resta al di qua o va al di là dell’umano. Nasce così dall’impotenza un’avventura. La nostra storia resta al di qua, nell’iniziale o nell’iniziare senza riposo».
……La storia di Rubina Giorgi, poeta-filosofo, è sempre iniziale, aurorale. Il suo pensiero non è sistematico o strutturale ma sorgivo e frattale, scia di altri pensieri, sonda di chimerici interrogativi sul destino dell’uomo. La regale latenza di un Senso definito è espressa da una scrittura sonnambolica e larvale, che non può mai definirsi, pena la scomparsa del senso della sua stessa ricerca, sempre immersa nella felice vaghezza delle analogie. Per Rubina è indispensabile essere all’altezza dell’instabilità che percorre il suo pensiero, studiare «la dottrina che s’asconde / sotto ’l velame de li versi strani» (Inferno, canto IX) ma restare in quel velame amniotico che evita il trauma incisivo della nascita, il taglio della ferita.
……Rubina Giorgi ci parla di un’essenza umana viva, inesauribile, spesso segreta. Gli oggetti del mondo non sono stabili ma possibili, come flussi che si irradiano, piste di decollo mai abbandonate, viaggi immersi nella suggestione del viaggio. «Qual è il difetto della filosofia? Proprio questo non saper godere del mareggiare dell’infinito dei “meno” e dei “più”». Rubina osserva l’incapacità dell’uomo di sentire e di pensare «ogni felicità di movimento». E nel corso dei suoi ragionamenti commenta: «Curare la stanchezza umana travestita di solerzia con l’esercizio filosofico del sonno, in modo da ottenere la mescolanza di sensi e d’intellletto: non è questo il mare?».
……Occorre, fra sonno e veglia, “mareggiare” in una realtà complessa, come quella vivente, dove i contrasti vibrano simultanei. L’energia entropica, pur dissipandosi, trova nelle situazioni instabili nicchie di nuova stabilità, di neghentropia, e così si creano eventi imprevisti, di creatività sorgiva. Le connotazioni negative dell’entropia si mutano in positivi cenni di vita: se l’universo è instabile, l’individuo deve essere pronto a creare. Un mondo potenziale presuppone la relazione con l’invisibile: l’uomo ha il compito di estrarre la nascita individuale e collettiva dall’instabilità. Conoscenza è ciò che si è, non ciò che si ha. Mai, dalle pagine di Rubina, si delinea un senso di possesso, di certezza, di sicurezza. È l’invisibile a diventare, in modi poetici e complessi, il modello del visibile. In una lettera inedita, Rubina scrive: «Graffio e batto quello scoglio di meraviglie mancate». Dove lo «scoglio», da elemento roccioso e stabile, diventa, grazie al linguaggio, sorgente di ineffabili incanti e assenze.
……Affiora qui il tema della “marinità” della conoscenza e di come considerare l’infinito. In una lettera tratta da Il resto dell’uomo (Salerno-Roma, Ripostes, 1982), Rubina scrive: «Tu sai ch’io avrei preferito l’essenza infinita dell’infinito: così avere tutto il tempo in ogni tempo e tutte le creature in ogni creatura. Ciò inclina al caos, è vero: e tu anche conosci il mio inclinare al caos. Questo è anche il motivo per cui io vedo nel mare sterminatezza, e tu una infinita finitezza – benché tu dica che io, non sterminando dalla sterminatezza marina il termine “distanza”, anzi riconoscendo al mare l’identità della distanza, abbia trovato la via che congiunge infinitezza e finitezza. Ma quale resta più incognita delle due marinità: infinitezza o finitezza?». Una conoscenza che si confronti con la materia del mare è una conoscenza ondivaga, mai rassicurante, sempre a stretto contatto con i non-confini dell’infinito, con il corpuscolo-onda del flutto marino.
……In un altro frammento inedito dichiara: «Se fossimo stati veramente vaso – e quando il vaso è davvero vaso è sposato al suo contenuto – non sarebbe importato che l’acqua traboccasse, sarebbe stato un sobbalzo allegro, un generoso esuberare di cosmo, e il vaso sarebbe stato come un contenitore di mare. Ora l’impressione è che il vaso sia fatto di frantumi rimessi insieme in fretta con brutale cordame: non solo non tiene più, non ama, ma nemmeno più suona all’accostarsi delle dita – neppure di poeta…». Il vaso dell’armonia del mondo ha dentro di sé il subbuglio di un’acqua di mare, e inoltre è fragile, cucito «con brutale cordame».
……Il carattere ondivago della filosofia rubiniana ci parla della metamorfosi dell’umano attraverso il superamento dei suoi limiti. La mente appare dotata della capacità di autotrascendersi, di trovare forze inaspettate nelle capacità individuali di ciascuno, forze che permettono di avventurarsi oltre i confini codificati della natura umana. Per Rubina è necessario superare l’idea di scienza come ambito a sé stante, insieme di assiomi decifrabili, di enigmi risolvibili. Anche la scoperta dei “neuroni specchio” (che agiscono allo stesso modo sia quando siamo noi a compiere un’azione sia quando osserviamo un’altra persona che la compie, in un processo di apprendimento per imitazione, emulazione ed empatia) viene da lei interpretata come un rapporto biunivoco tra carne e spirito, dove interno ed esterno, invece di essere stanze non comunicanti, si plasmano l’uno nei confronti dell’altro. La scrittrice è attratta dal connubio tra linguaggio scientifico e arte poetica e lo fa ribollire nel personale vortice del suo linguaggio allusivo, cosmico, spesso religioso, ma anche onirico e autoironico. Traversando suggestive oscurità, inventa un fil rouge che attraversa poesia, filosofia e neuroscienze, spingendo il mondo scientifico ad “azzardare” un pensiero creativo anche in ambiti che gli sono apparentemente estranei.
……«Quale fantasma – che romanzo o tempo portavano le sue spalle nel viaggio? Lei si abbatteva che il suo fantasma fosse spento. Voleva toccare ogni creatura col fuoco stesso che la distanziava dal mondo – aria incendiata dai palpiti preganti e cercanti. Al momento di raggiungere le persone e sollecitata da esse, era già inerte, goffa e fredda. Sentiva di svanire, sentiva di dimenticare tutto e anzitutto se stessa, voci e senso del suo essere e desiderare. Il contatto con l’altrui sicurezza, con l’altrui buon senso, le faceva sentire il pallore del suo essere irreale. Ma le possibilità che le balenavano nel buio sacro delle sue caverne riaccendevano il fuoco. Dilette caverne, erano lei e non lei». Far sì che dal «pallore del suo essere irreale» possano svilupparsi «dilette caverne», esercizi di una conoscenza nel buio sacro del sapere e del non-sapere, è il principale intento di Rubina, filosofa in dialogo costante con parti diverse del sé. E soprattutto con la felicità sorgiva di un “pensare” inadatto ai sistemi della filosofia, ma in piena consonanza con gli “aloni” dello stupore poetico.
……«Qual è il difetto della filosofia? Imparò a nuotare una volta che proprio nessuno era in mare, in alto mare, tranne una piccola fedele esperta di viscere marine, in un pomeriggio di bagliori accecanti più disumano di un’alba. D’improvviso lei sospesa, lasciata si lascia, perde il corpo, lo ritrova, non suo, leggero. Acqua! Lei acqua nell’acqua, fiume dell’acqua. Quasi sorgente nell’acqua: freccia di fuoco leggero, simbolo vivo, nel fuoco dell’acqua. Non occorre nulla, è tutto, tutto felice, tutto chiaro e cognito. Tutto appena creato, appena nato».
……Forse la condizione umana che Rubina predilige è quella di un “essere abbagliati e assordati”, dentro una conoscenza-estasi che è anche ignoranza e grazia, e nella quale il filosofo, non più obbligato a proteggersi dietro verità stabilite, può farsi trasformare, da sé e dal mondo, in un mutante che lasci per sempre la pesante condizione umana a favore di una labile sospensione cosmica.
* Ove non siano precisate altre fonti, le citazioni sono tratte da Una vita imperfetta (Brescia, L’Obliquo, 1992).
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L’articolo di Marco Ercolani è tratto dall’opera collettiva, da lui curata per i “Quaderni” di “La Foce e la Sorgente”, Omaggio a Rubina Giorgi, che sarà pubblicata nella “Biblioteca di RebStein”, vol. LXXX, sett. 2020. Il lavoro accoglie contributi di Domenico Brancale, Giorgiomaria Cornelio, Rubina Giorgi, Marco Ercolani, Elio Grasso, Francesca Marica, Gian Paolo Guerini, Giuseppe Zuccarino.