Yves Bergeret
Grandi calligrafie del dialogo (3)
Grandes calligraphies du dialogue (3)
Tratto da Carnet de la langue-espace.
Traduzione di Francesco Marotta
(Continua da qui)
(Con Hamidou Guindo e Yacouba Tamboura)
Questo 15 agosto 2004 l’hivernage, cioè la stagione delle piogge, ci porta ancora un violento ma breve uragano. La stagione delle piogge qui è solo luglio e agosto, un uragano o una tempesta estremamente violenti ogni otto giorni. Possenti nubifragi. In montagna o nella pianura sabbiosa le decine e decine di saette sono particolarmente pericolose. In montagna troviamo dove ripararci, in qualche modo, durante le due o tre ore di pioggia battente, una grotta, una tettoia rocciosa, un piccolo strapiombo. Ce ne restiamo in silenzio, osserviamo attentamente.
Queste masse improvvise d’acqua erodono fortemente la montagna. Il loro rapido deflusso ha creato nell’arenaria del vasto altopiano sommitale una sorta di lungo canale di scorrimento di quattro o cinque chilometri, alla fine del quale l’acqua, precipitando nel vuoto, forma la grandiosa cascata di Bonsiri: le pareti, da una parte e dall’all’altra, e il suo bacino di ricezione, traboccano di miti Toro nomu. Il deflusso violento delle acque nel canale di scorrimento dell’altopiano ha prodotto delle sacche, degli infossamenti, delle piccole gole; e anche una buona ventina di “pentole di gigante”, delle conche di qualche metro di profondità che grossi macigni, rotolando su se stessi per effetto dell’impetuosa corrente, scavano sul posto.
I Toro nomu chiamano nella loro lingua, il toro tégu, “taga” queste pozze temporanee nella roccia. Sono un po’ più di quaranta lungo il canale di scorrimento. Nei dieci mesi della stagione secca sono vuote e polverose. Gli uragani della stagione delle piogge le riempiono alacremente. Rumoreggiano, ribollono. Questo è la loro conformazione idrologica. Ma il pensiero animista dei Toro nomu esprime la realtà delle cose in modo più ricco e più complesso.
Si ricordi che per loro la totalità di ciò che esiste appartiene alla parola. Le “taga” sono le dimore delle anime degli antenati. Nella stagione secca queste anime sono inaccessibili e la “taga” non è altro che il loro silenzio, in un certo senso il loro sonno. Nella stagione delle piogge, attraverso il movimento dell’acqua, le anime degli antenati parlano; dopo un rito di apertura del dialogo ristabilito (descritto in dettaglio nel mio libro Il Tratto che nomina), i Toro nomu, contadini sedentari, si piegano sul bordo della “taga” per attingere rispettosamente l’acqua-parola degli antenati e versarla sul piccolissimo appezzamento che coltivano sulla lastra di arenaria intorno alla “taga”. L’acqua-parola degli antenati abbevera la terra e il seme: l’incontro del lavoro del contadino con la parola ancestrale nutre la famiglia.
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Questo 15 agosto Hamidou e Yacouba, due dei “posatori di segni” coi quali da cinque giorni lavoro e cammino nella pianura sabbiosa e tra le montagne, mi esprimono il desiderio di intensificare la potenza sacra e nutrice delle “taga”: per fare questo è necessario creare i loro poemi-pitture. Dispiego per terra tre grandi fogli di carta cinese da calligrafia di 68 cm di larghezza per 135 cm di altezza.
All’inizio scrivo calligrafando (i “posatori di segni” mi chiedono sempre di cominciare): “La pozza d’acqua riprende fiato nel palmo della montagna”.
Poi Hamidou crea un grande tracciato rosa, che raddoppia col rosso. Questi poemi-pitture, come è noto, vengono creati sul suolo e li si vive, li si sente e li si realizza come delle specie di “vedute aeree” o di mappe del pensiero simbolico. Per comodità del lettore, vengono qui presentate come opere verticali. Partendo dal basso a sinistra, Hamidou traccia le due rive del percorso sinuoso del canale di scorrimento delle acque nella stagione delle piogge; questo percorso termina, nella parte superiore del foglio, nella “taga”, le cui dieci dita interne, diseguali, racchiudono il “palmo”: tre in basso, sette in alto. Le dita sono le parole degli antenati e/o i gesti dei contadini che vengono ad attingere l’acqua per l’irrigazione. Visto “all’europea”, dunque verticalmente, un avambraccio brandisce il palmo della vita che nutre.
In seguito calligrafo: “La pozza d’acqua arrotola su di sé l’orizzonte notturno”. Nelle lingue europee l’orizzonte segna il confine tra cielo e terra nello spazio che l’occhio percorre. La lingua toro tégu non contiene questa nozione: il limite spaziale fondamentale è tra spazio vicino, regolato dai miti, e spazio lontano non armonizzato dai riti e dove si scatena la turbolenza violenta dei potenti spiriti invisibili, dei banditi e delle fiere. Questo confine animista è mobile, in particolare di notte, quando si avvicina considerevolmente alle case: è impossibile dormire “fuori”, all’aperto sull’altopiano, così come è estremamente pericoloso camminare di notte.
Nella parte bassa del grande foglio, Hamidou dipinge una scacchiera di piccoli terrazzamenti coltivati, nella quale ogni quadrato porta, in forma di coccarda, la pianta-seme della parola che crescerà. Il alto traccia il profilo della “taga” che contiene, in coccarde aperte, le parole feconde degli antenati e, penso io, le braccia incrociate dei contadini che attingono l’acqua; quasi al centro Hamidou traccia, al modo di una croce in un arco di cerchio, la raffigurazione della notte, tema grafico usuale di tutti i “posatori di segni” coi quali lavoro.. Perché la “taga” è così feconda e potente da poter rinchiudere, lavare, rigenerare la notte stessa e le sue violente ambiguità.
E, infine, calligrafo: “La pozza d’acqua mi sente respirare prima della mia nascita”.
Yacouba dipinge in verde, nella “parte alta” del foglio, una “taga” rettangolare a doppia riva: doppia, tanto essa è sacra. Nella “parte bassa”, come Hamidou, le due rive del canale di scorrimento. Le due “figure” sono gli esseri umani: in gestazione avanzata nel canale di scorrimento delle acque / in embrione fuori dal canale, proprio in basso a destra, e probabilmente nella stagione secca. I cerchi verdi raffigurano la parola in atto. Yacouba ha l’abitudine di raffigurare, attraverso piccoli tratti dritti, l’irradiazione della potenza sacra animista di un luogo o di una persona: egli posa qui questi piccoli tratti in rosso, tutti rivolti verso l’interno delle forme perché la gestazione è in corso. Ipotizzo che i due doppi cerchi nella parte più in basso siano le potenti parole che slanciano l’insieme, sia dell’attività della “taga” durante la stagione delle piogge, sia del procedimento stesso di questa raffigurazione dipinta.
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