
ed era sempre Pallaksch
la parola involuta indecifrata
che scoccava alle cinque della sera
l’ora gemella in cui solo il toro ha il cuore in alto
un’ora prima che le lacrime parlassero all’orizzonte
delle fughe
le inviolate vie di fuga musicali
lungo le quali avevo temuto la felicità
nel contrappunto delle passioni
dei tentennamenti
ho provato a credere
per amore dell’uomo perduto nella creta
l’ennesima resistenza in nome di quella parola
e non conosco ancora la grande fuga
conosco il recinto della compassione
dove confermare la pena
il nutrimento per essere qualcuno o qualcosa
nella trascrizione della sofferenza
Pallaksch
Pallaksch
sono in ascolto…
Domenico Brancale, da Per diverse ragioni, Passigli, Bagno a Ripoli 2017, pagina 85.
La letteratura inizia e nello stesso tempo finisce diventando poesia proprio quando sa dimenticare sé stessa: è proprio in quel momento ch’essa si conferma più vitale e più nutriente che mai.
Non dico “letteratura” per dire “erudizione, apparato editoriale e/o culturale, esibizionismo, estetismo” – dico “letteratura” così come la intende, per esempio, Hélène Cixous: un grido per la vita e contro la morte, tutte quelle pagine che amiamo, che frequentiamo, che viviamo immergendole nei nostri giorni, trovandole e ritrovandole veritiere proprio perché bagnate nel tempo dei nostri giorni.
Ecco, per esempio: il grido di dolore delle cinque della sera, in morte di un toreador e la parola-fatta-enigma “Pallaksch” (è Celan stesso a scrivere la parola Rätsel, enigma, appunto, meditando, nel gennaio della poesia, intorno alla Torre di Tubinga); oltre la sintassi e la ragione occidentali il puro suono “pallaksch” si fa soglia, sguardo sul Neckar, consapevolezza di lallazione, attesa: si fa, è ascolto.
L’ha ripubblicato su vengodalmare.