
Rien ne désaltère mon pas scrive in conclusione di Dans la chaleur vacante André du Bouchet – Paul Celan traduce: Nichts stillt den Durst meines Schrittes.
E si tratta della medesima sete che muoveva i passi del pittore.
Celan conosceva il paesaggio bretone, vi aveva visto i menhir e ne aveva scritto:
Wachsendes
Steingrau.
Graugestalt, augen-
loser du, Steinblick, mit dem uns
die Erde hervortrat, menschlich,
auf Dunkel-, auf Weißheidewegen,
abends, vor
dir, Himmelsschlucht.
Crescente
grigio della pietra.
Forma del grigio, tu
privo d’occhi, sguardo della pietra con cui
la terra ci sorgeva davanti, umana,
sui sentieri della brughiera buia, bianca, innanzi
a te, abisso del cielo.
La pietra si offre allo sguardo del pittore: riaffiora la memoria primordiale della terra, stratificazioni di sommovimenti e di fratture.
E il paesaggio – non falsificato e non anestetizzato – non pittoresco e non stilizzato – si protende oltre sé stesso, scompare, diventa quello che è: pensiero, luce, andanza di andanze, blu che sorge.
“…,avanzando in salita passo dopo passo, avvertii sotto i piedi il lastrico diseguale della Sporkova, fu come se avessi già camminato per quelle strade, come se – non mediante lo sforzo della riflessione, ma piuttosto grazie ai sensi rimasti a lungo sopiti e ora di nuovo desti – si dischiudesse in me il ricordo.” , W. G. Sebald, Austerlitz