Il sogno e il vento (2, 3)

Yves Bergeret

Il sogno e il vento
Tre creatrici in arte tessile

II.
Mariam Partskhaladze
III. 
Maïté Tanguy

Le rêve et le vent 
 Trois créatrices en art textile

Traduzione di Francesco Marotta

(continua da qui)

Mariam Partskhaladze

Sono questi i frutti attuali della collaborazione di Nâna e Mariam. Non è facile immaginare un rapporto del genere: l’ago della ricamatrice potrebbe anche non accordarsi con il lavoro di infeltrimento di Mariam. Infeltrire non è perforare per tirare un filo, annodarlo magari, perforare di nuovo, trascinarlo verso una sorte determinata; infeltrire è ammorbidire i materiali, accarezzarli, inumidirli e infine premerli, pressarli insieme con forza. In modo che, asciugandosi lentamente, la loro unione si compia: è uno spirito completamente diverso quello che qui è in azione. È pur vero che da qualche anno Mariam si dedica un poco al ricamo o al cucito. La sua è allora una tecnica mista, la cui base resta comunque l’infeltrimento.

Ecco, innanzitutto, questa veste bianca estremamente leggera, opera di creazione che Mariam chiama Il decollo. La sua dimensione è quella propria del corpo umano. Due maniche a sbuffo molto corte, dove ha posto dei ricami su un tessuto azzurro di Nâna e li ha infeltriti. Sul davanti, all’altezza delle cosce e delle ginocchia, una fioritura leggera, a dominante rosa, avorio e blu chiaro, da lei realizzata, sembra aprire occhi scuri e malinconici sui giochi dei bambini, lì, proprio di fronte, che la donna invisibile dentro l’abito incoraggia, ama e immagina, quasi li inventa e li suscita. Insomma, ciò che qui fa spiccare il volo è la veste, l’invisibile corpo femminile e, da questo corpo, il sogno che comincia a delinearsi come una felicità futura, intravista: il contrario della creazione di Nâna, che ricama sotto l’impulso di un precedente sogno. Veste-crisalide, volo a venire. E se l’energia del decollo imminente scaturisse proprio dalle piccole maniche sulle quali Nâna ha ricamato il suo volere? La veste-crisalide di Mariam si muove nello spazio, nell’aria, per incontrare quello che lei desidera.

Ecco, sempre a dimensione di un corpo umano, La sposa di Chagall, un tema scelto da Mariam che ha chiesto a Nâna qualche brandello ricamato affinché la sposa invisibile possa volare da Die a Tbilisi, a 4000 chilometri di distanza. O nella direzione opposta. In una tela di Chagall anche lo sposo è visibile e il suo corpo, come quello di sua moglie, lascia nello spazio del quadro il profumo e la passione dei corpi che si attraggono. Qui invece il corpo femminile è assente, quasi un’insolita promessa, come in un sogno. Le maniche verdi sono chiuse e prive di apertura,  del tutto simili a delle ampie ali scure: sono i tessuti ricamati da Nâna. È sul ventre che il reale in forma di promessa si rende manifesto, un’intensa fioritura infeltrita da Mariam, papaveri, fiori e farfalle fecondatori; e, se lo si osserva con attenzione, in questo bouquet posato sul ventre Nâna è presente ancora una volta qua e là, attraverso il cuore dorato della margherita, le tre farfalle, il mazzolino di fiori di campo.

L’opera di Mariam, in collaborazione con Nâna che lei reinterpreta, rappresenta il respiro, lo spazio, la distanza, la promessa e il futuro, la giovinezza sorridente come un’enigmatica figura di Botticelli, le cui labbra appariranno solo se una donna di oggi o futura si avvicina alla veste, la ama, la accarezza, infine se ne impadronisce e vi entra, disfa le maniche ancora chiuse nel loro rigido verde e vi passa le sue braccia nude, le sue mani come due lunghe ali verso l’infinito.

Maïté Tanguy

In quella stessa Biennale del Design del 2006 a Saint-Etienne, nella quale le creazioni di Mariam e di Nâna erano esposte insieme, Mariam incontra la grande tessitrice bretone Maïté Tanguy; da allora, amichevoli scambi tra loro non sono mai venuti a mancare. Maïté è della stessa generazione di Nâna. 

Maïté Tanguy, mi dice Mariam, utilizza sul suo grande telaio qualsiasi tipo di filo. E anche un filo di ferro molto morbido e sottile, capace di sottostare alle tensioni del telaio. Ma una volta che l’opera viene tolta dal telaio, succede che il sottile filo di ferro, riacquistata la sua libertà dopo la messa in tensione, cerca di arrotolarsi o addirittura di torcersi: è questa una successiva tappa nella creazione dell’opera e Maïté asseconda l’energica libertà del materiale nel suo meraviglioso cammino di scultura tessile.

Il laboratorio di Maïté è situato quasi all’estremità occidentale della Bretagna. Là dove l’oceano sferza le scogliere, le insenature e gli scogli di granito; là dove il forte vento di occidente rovescia ininterrottamente i suoi spruzzi sulla brughiera. Là dove sono diffusissimi leggende e animismo. Anche la terra è un vigoroso rigoglio grazie all’incessante e instancabile creatività della flora terrestre e marina, licheni, alghe, muschi. Abbonda la robusta e tenace reiterazione delle forme minerali delle conchiglie nelle quali si proteggono i molluschi. Maïté lo vede, lo osserva, lo ammira. Il telaio è lo scrittoio di colei che, avendo attentamente guardato, avendo anche raccolto piccole conchiglie, trascrive con tenacia e metamorfizza nel linguaggio dei fili di lana, di seta e d’altra natura il flusso attivo della vita.

E poiché questa vita di fronte all’orizzonte, e dell‘orizzonte salato e agitato del mare aperto, è costantemente in movimento, la tessitrice trascrive l’energia dei luoghi con la forza avvolgente-srotolante del filo di ferro, con la libertà delle escrescenze malleabili delle lane colorate. L’opera viene tessuta nella tensione rigorosa dei fili della trama e dell’ordito, certamente, ma integrandovi allo stesso tempo il movimento, la flessibilità, l’apparente imprevedibilità delle correnti e dei venti, degli sguardi e degli eventuali tocchi; l’opera è ferma, presente e perenne con un’anima da Resistente, ma senza alcuna rigidità, e promette la continuità dei mondi a venire, a venire come, sulla sabbia cristallina e sulla meravigliosa roccia granitica, le onde. Ed è anche giusto, così pensa e fa Maïté, integrare nell’opera alcune di quelle piccole conchiglie della riva, dalle forme complesse e meravigliose.

E così l’opera di Maïté, fatta di fili e conchiglie, di filo di ferro e strane luccicanze, lontana parente del pianoforte di Joseph Beuys, diventa la sorella di un pianoforte preparato di John Cage. Sul telaio-scrittoio, Maïté è tanto un’artista tessile quanto una scultrice e poi una compositrice proprio al termine del silenzio che tempeste e venti,  schiuma e onde compromettono, ma di cui in realtà alimentano il desiderio nell’interiorità delle nostre vite. D’altronde, Maïté ha creato la sua Chiocciola dalle profondità all’alto dei cieli (25 cm per 25 cm, più il rilievo) ascoltando il compositore Alain Kremski mettere in risonanza profonda una batteria di ciotole di rame tibetane.

E’ così che, ascoltando il canto rude e ostinato che risuona nella vita di Bodan Litniavski, creatore dei capolavori di arte spontanea (nei quali le conchiglie, per l’appunto, abbondano) del Giardino delle meraviglie a Chauny e del Giardino-Conchiglia a Viry-Noureuil, Maïté crea il suo Nel Giardino-Conchiglia (un’entità cubica di venti cm di lato).

Ed ecco, poi, come vento e marea spazzano una tessitura: si tratta di Fiori di giardino roccioso (qui e qui).

*

Dove vanno queste opere delle tre artiste tessili? Dove ci portano?      

Nel lavoro di Nâna Mistreveli, avverto come una sorta di ineludibile base granitica la rivelazione imperiosa e quasi sacra dell’immagine da ricamare, all’interno di un sogno visionario; poi questo sogno, man mano che i ricami procedono, germoglia, germoglia, germoglia, saturando il proprio spazio onirico, mentre fuori lo spazio reale è spento, addirittura opprimente. I fili da ricamo affluiscono in massa, a frotte per intensificare la nuova realtà da creare.     

Nell’opera di Maïté Tanguy, su una base di vero granito della penisola armoricana, l’orecchio sente il brusio e il lavorio della schiuma, della flora della brughiera, dell’immenso spazio circostante; e questo sontuoso brusio del reale si raccoglie, si unifica e si trascrive nei fili nelle mani della tessitrice.     

Mariam Partskahladze, come una nipote fedele di entrambe, propone di intraprendere un viaggio, al di là di qualche sogno originale: a ognuna di loro Mariam aggiunge un misterioso respiro umano nel cuore stesso delle opere, aggiunge la fiducia discreta del corpo, la trasparenza del vento e la luce della speranza senza vincoli.

*

 Trois créatrices en art textile

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4 pensieri riguardo “Il sogno e il vento (2, 3)”

  1. Fragile abito da sposa che si affida al vento, antico simbolo dell’anima, per trovare chi corrisponda alla propria armonia! Elisabetta Potthoff

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