La storia dei due gemelli

Hans Henny Jahnn

La storia dei due gemelli

     Nacquero due gemelli. Uno dopo l’altro abbandonarono in fretta il grembo materno. E si mostrò che erano più somiglianti di due oggetti della stessa forma. Crebbero. A distanza di una decina d’anni erano ancora più simili. Si assomigliavano come acqua limpida attinta secchio dopo secchio dallo stesso stagno. Avevano dato loro nomi dissimili. I nomi non erano riusciti a separarli. Il loro corpo aveva un unico scopo: emulare l’altro nelle sembianze. Poiché gli sforzi dell’uno e dell’altro si equivalevano, e il testimone passava da uno all’altro, nessuno dei due acquisiva un vantaggio. E giorno dopo giorno tutto concorreva ad un’uguaglianza sempre maggiore. Se uno si ammalava, l’altro non riusciva ad allontanarsi dal suo letto. Coloro che gli erano vicini presto compresero che le sostanze radunatesi per la crescita di una persona si erano scisse già nel grembo materno per versarsi nei due. Ma pochi anni dopo accaddero cose straordinarie. Sui banchi di scuola l’insegnante non riusciva a distinguerli. Li confondeva. Infatti era dotato solo di occhi e orecchie. Per strada li chiamavano col nome sbagliato. Si rassegnarono a rispondere anche al nome dell’altro.

     Questa situazione incerta li irritava, tentarono quindi di stare lontani.

     Non facevano che girarsi attorno con cautela, si toccavano appena per non restare impigliati uno nell’altro. Malgrado tanta prudenza e una riluttanza ancora maggiore, la notte cominciarono a sognarsi a vicenda. Ed era come se si fondessero uno nell’altro. L’Io si trasformava in Tu. La loro coscienza fluiva e rifluiva più volte. Finché smarrivano il ricordo della parola Io. Quando si svegliavano poteva succedere che si fossero sostituiti. Era necessario un chiarimento per riappropriarsi ciascuno del proprio nome. Malgrado un così grande ordine la loro esistenza restava vaga. Questo sogno li rese diffidenti e li portò ad allontanarsi adirati. In segreto ciascuno stabilì che avrebbe ucciso l’altro. Ma all’improvviso, dietro quel piano, vi fu come un riso di scherno: se si fossero suicidati sarebbe rimasto soltanto l’altro, il sostituto. Tuttavia questi pensieri sanguinosi produssero un risultato. Sarebbero ricorsi alla violenza per imporsi un segno distintivo. Uno dei due si separò, prese un pugnale e si procurò una grande ferita al di sotto del capezzolo sinistro, profonda fino alle costole. Quando una cicatrice gonfia l’ebbe rimarginata, una sera, svestendosi per andare a letto, il gemello segnato mostrò all’altro il marchio nascosto. Questi tacque per un po’ imbarazzato, quindi scoprì il petto. Anche lui aveva preso il pugnale. Senza parole, arrabbiati, ciascuno cercò il proprio letto. Un disperato sospetto: non avrebbero mai potuto avere segreti tra loro. Baluginarono presentimenti oscuri. Si sentivano nudi davanti all’altro, si vergognavano. Ma un dio sorrise e tolse loro i pugnali dalle mani.

     Sulla strada c’era una pietra inopportuna. Uno dei fratelli vi inciampò. Cadde rovinosamente. Si ruppe la fila dei denti superiori. Lo portarono in casa ricoperto di sangue. Mentre il dottore si prendeva cura di lui, il secondo fratello stava percorrendo lo stesso sentiero. Alcuni bambini che si trovavano lì gli raccontarono che pochi minuti prima suo fratello, proprio su quella pietra – – – sollevarono l’oggetto, cioè la pietra, e gliela tirarono davanti ai piedi. Egli tese l’orecchio, ebbe l’impressione di sentire un segnale, volle alzare il passo per mettersi a correre. Si ritrovò ancora quella pietra dinanzi. Cadde esattamente come il fratello e riportò la stessa ferita. Da quel giorno aberrante cominciarono a portare un ampio arco d’oro sulla fila di incisivi superiori.

     I tempi erano maturi. Circostanze e pensieri di cui vergognarsi diventarono molto rari. Si diceva che in essi dimorava il Maligno. Qualsiasi cosa si dicesse di loro, i due minacciati vollero preservare l’affabilità dei propri sentimenti. Già quasi adulti, presero una decisione. Si sarebbero allontanati. Continenti diversi avrebbero avuto influssi differenti su di loro, soli diversi avrebbero illuminato i loro corpi. Uno si sarebbe abbronzato, l’altro sarebbe rimasto pallido. Questi i loro pensieri. Poiché talvolta avevano notato che uno era un po’ più florido dell’altro. Queste oscillazioni erano andate sfumando. A dura forza il giogo della bilancia si sarebbe spostato dallo stato di equilibrio. – Solo una separazione improvvisa poteva salvarli.

     Un giorno, da una località costiera, la nave a vapore prese il largo. Uno di loro passeggiava sul ponte dell’imbarcazione. Lasciando il porto non era rimasto sul parapetto animato da sentimenti patriottici. Si era chiuso nella cabina sospirando. Malinconia immotivata nei confronti dell’incerto. Nel suo intimo era felice perché si stava dirigendo a sud, lontano dal paese. Sull’acqua gli vennero pensieri soavi, lo accarezzarono. Vide una porta delle sovrastrutture del ponte aprirsi lentamente. Ne uscì una figura che gli assomigliava. Pensò a un fantasma. Il cuore che vuole fermarsi per lo spavento. Orecchie come turate con la cera. Capogiro. Gli si chiusero gli occhi. Nero come bile rappresa. Il tempo sfilacciava l’incoscienza in un susseguirsi di eventi. – L’uomo è povero. E solo. E abbandonato. Nessuno lo aiuta, ecco il perché di questa storia. Non ha una spalla a cui aggrapparsi, né sfuggire alla notte, perciò questa storia. –

     I fratelli si riconobbero. Quando la nave approdò al primo porto spagnolo, vollero scendere a terra. Uno stratagemma li avrebbe divisi. Quello sulla banchina fu il primo dei passeggeri a scendere, scappò, fuggì. L’altro, affinché lo stratagemma funzionasse, indugiò a bordo fino all’ultimo minuto dell’attracco, e si dileguò nella stessa città. Avevano così guadagnato una piccola distanza.

     Ma molto tempo dopo capitò che si incontrassero sulla strada principale di questo porto spagnolo. Era verso sera, già ardevano le luci. Da un piccolo caffè proveniva una musica gracchiante, nasale e alquanto superflua. In quell’istante un bambino scivolò e cadde sul selciato. Cominciò a piangere. Su quella strada tutto era importante e prestabilito, come l’incontro. Ne erano consapevoli. Si raccontarono le loro esperienze in quella città, in cui erano stati vicini senza saperlo. Le case erano state una nebbia. Ora la strada era di vetro. Essi stessi si fecero di vetro e videro l’esistenza dell’altro messa a nudo. Decisero di fare causa comune. Fare causa comune è sempre un sentiero che porta alla perdita di consapevolezza. Come nei giorni della loro infanzia, la vergogna reciproca venne meno. La sera li si vedeva spesso insieme in un caffè. Consideravano la loro vita fallita, anzi, ancora meno, dimezzata. Le deduzioni filosofiche davano loro ragione. Diventarono allo stesso tempo sobri e dissoluti. Talvolta erano ubriachi. Poi si abbracciavano e si baciavano, con voce rotta uno diceva all’altro di essere la sua dolce metà, il completamento della sua vita, il modello perfetto. O qualsiasi altra cosa morale o assurda poteva essere espressa sulla meraviglia della loro esistenza.

     Il tempo fornì l’occasione per molti discorsi tragici e turbolenti. Entrambi amavano una ragazza che non aveva una sorella gemella. Tutti e due la volevano in moglie. Piansero per notti intere. Si sfinirono di lacrime, volevano ritornare a essere brave persone. Il proposito li rafforzò. Distillarono il loro animo attraverso tutti i gradi della privazione. Una notte, dopo settimane, scoppiando in singhiozzi convulsi, rinunciarono entrambi alla donna per amore dell’altro. Uno avrebbe dovuto servire l’altro. Il destino di uno sarebbe stato quello di governare; l’altro di diventare schiavo. Uno avrebbe dovuto godere, l’altro soffrire. Non vedendo altre soluzioni, la fine degli sforzi reciproci fu il sorteggio dell’amata. Vennero presi da sgomento, poiché l’oracolo a buon mercato non fu gemello. Decise con un sì e un no. L’odio in essi era di nuovo grande. Inganno, inganno! Tuttavia la ragazza andò in moglie a uno di loro. Ma non sapeva di chi fosse la compagna. Il matrimonio non diede libertà ai fratelli inquieti. Il gemello sposato doveva sempre darsi pena per quello che soffriva, giacché sentiva di doversi discolpare.

     La loro esistenza non era diventata più dolce. Continuava a unirli quello stesso filo vitale che li aveva legati nel grembo materno. Ricominciarono a farsi strada alcuni pensieri, come la necessità che uno si togliesse di mezzo per amore dell’altro. I fratelli declamavano questa via d’uscita e poi contrattavano, quasi fosse un argomento di discussione. Impaurita, la donna se ne stava lì senza capire. Non distingueva i parlanti. Era incinta. All’improvviso la spaventò il pensiero di partorire dei gemelli.

     Il gemello sposato infine, vuoto, sopraffatto, nauseato dalle parole, decise di impegnarsi per trovare una moglie adatta al fratello. Un giorno gli presentò una ragazza dando a intendere di amarla. Dimostrò in mille modi avversione nei confronti della propria consorte, baciò e abbracciò l’estranea. Fece in modo che il fratello perdesse la testa per la nuova amata. Escogitò espressioni sfacciate e pungenti per irritarlo. Quando ogni singola fibra dell’altro gli sembrò avvelenata, egli, l’attore, gli cedette l’amata. La tensione si allentò. Innocente, il primo tornò alla vecchia consorte. Le donne erano diventate martiri. I fratelli avevano sofferto tra le torture come santi. Così venne combinato il secondo matrimonio.

     Nello scorrere di tutte le cose è insito un andare verso il basso. I fratelli non sfuggirono alla legge della loro esistenza. Finì male. I fratelli erano via di casa. Sarebbero tornati presto, le donne lo sapevano. Una si mise sulla porta di casa. Uno dei due era già di ritorno. Ella credette che fosse il suo compagno. Ed egli, andandole incontro, si comportò come tale. Solo lui sapeva che non era vero. Ma una voce dentro di lui lo portò a desiderare la donna del fratello. Desiderò baciarla poiché sentiva nell’intimo la brama del fratello. E smarrì la consapevolezza di commettere un’ingiustizia. Si smarrì nella sua stessa figura. Ed entrò ovunque la moglie del fratello lo conducesse.

     Un po’ dopo, l’altra donna si mise sulla porta di casa per cercare con gli occhi il suo compagno. Anche lui stava tornando. Credeva che fosse lui, avendo già visto il fratello entrare in casa. E colui che le veniva incontro si comportò come tale. Solo lui sapeva che non era vero. Ma una voce dentro di lui lo portò a desiderare la donna del fratello. Desiderò baciarla poiché sentiva nell’intimo la brama del fratello. E smarrì la consapevolezza di commettere un’ingiustizia. Si smarrì nella sua stessa figura. Ed entrò ovunque la moglie del fratello lo conducesse.

     Poiché nessuno dei due ostacolò l’altro, trascorsero la notte al fianco della donna non a loro congiunta. Ed esse non se ne accorsero. I fratelli sapevano che cos’era successo, ma tollerarono le loro colpe reciproche. Con un tremito appena accennato delle labbra si lanciarono segnali di consapevolezza, perdono, concordia.

     Presto, senza che esse lo avvertissero, si scambiarono le mogli nel modo più vergognoso. Si mescolavano e s’incontravano come dadi; solo adesso, nell’abuso di sé stessi, inconosciuti, trovarono compimento.

     Le donne erano fertili. Presto tanti bambini cominciarono a correre per casa. Alcuni erano simili, altri dissimili ed estranei. E nessuno sapeva più quali legami di sangue intercorressero fra loro.      Qui finisce la storia, ed è una storia triste. Triste perché dimostra quanto poco possiamo su di noi e quanto sia prestabilito il nostro cammino.

*

Hans Henny Jahnn, 13 storie inospitali
A cura di Domenico Pinto
Traduzione di Elisa Perotti
Postfazione di Andrea Raos
Con un saggio di Ferruccio Masini
S. Angelo in Formis (CE), Lavieri Edizioni
Collana “Arno”, 2010

1 commento su “La storia dei due gemelli”

  1. Una storia sul destino… parola fuori moda, fuori luogo, più bruciante che mai…. ho appena controllato e visto che, a quanto pare, Fluss ohne Ufer ( Fiume senza riva) di Jahnn non è mai stato tradotto in Italiano….peccato, è una lettura molto intensa che alla fine non insegna nulla tranne l’intensità della lettura stessa….

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