Intorno alle 17.50 ricevo da Rocco Brindisi questo messaggio; lo ringrazio anche perché da giorni meditavo di scrivere delle persone tenute in condizioni inaccettabili alle frontiere dell’Europa, ma Rocco l’ha fatto come io non sarei stato mai capace di fare:
Un bambino è morto di freddo in una foresta polacca. La sua morte è l’inferno? Ma questa parola, la parola “inferno”, è un termine astratto. Questa parola non esprime nulla. Allora? La morte del bambino è. Il cadavere del bambino è. La madre lo solletica, perché, se ride, il figlio respira. Il bambino non ride, perché la morte gli ha gelato il cuore. I poliziotti giocano con lo spray al peperoncino. Il freddo, il gelo fedele della notte, il sonno ombra, il sonno ammazzato come un cane, il sonno torturato (i poliziotti polacchi fanno risuonare le sirene tutta la notte, drizzano il cazzo alle loro motociclette, felici come poliziotti felici). La parola “notte” s’impiglia nel filo spinato senza cacciare un lamento.
quello che si poteva scrivere, lo ha scritto Brindisi. quello che si poteva fare, lo ha fatto il gelo. quello che non si poteva fare, lo ha fatto, come sempre, l’uomo.
Ha fatto bene Rocco Brindisi scrivere di questo bambino che è anche nei miei pensieri: in un momento molto particolare in cui vedo venire lentamente al mondo un altro bambino più fortunato, il bambino di mia figlia in una casa calda, circondato dall’amore di tutti…
Su questo confine l’Europa, per l’ennesima volta, gioca tutta la sua credibilità….
ibambini, i deboli, i più vulnerabili, quando finirà questa inciviltà? Rubo questo scritto per il Domenicale del 5 dicembre