Stefanie Golisch
Ogni giorno è oggi (II)
Noia delle cose quotidiane. Per esempio: il cambio
del medico di base. Ma è sempre così, la vita ti
sorprende quando meno te l’aspetti. Infatti, la nuova
dottoressa mi riceve fumando e, sempre continuando
a fumare, con la mano sinistra, inserisce i miei dati
nel computer. In un mondo in cui perfino i nostri
sacchetti della pattumiera sono destinati a portare
un codice per identificare il potenziale trasgressore,
non posso non ammirare la nonchalance della fumatrice
che pone sopra la professionalità il vizio, e mi viene in
mente una citazione, letta da qualche parte, che diceva
che per chi non era vissuto prima del 1789 sarebbe stato
impossibile conoscere la dolcezza della vita. Il nome
dell’autore è Charles-Maurice de Talleyrand-Périgord,
quello della dottoressa, per ovvi motivi, non lo posso dire.
Leggo sulla Repubblica dell’11 febbraio una storia
che comunemente si definirebbe terribile. Un uomo
di 64 anni è vissuto per quattro mesi accanto alla
compagna morta perché non riusciva a separarsi
da lei, una ex professoressa di francese di 90 anni.
Erano vissuti insieme per molto tempo, unendo,
così dichiara l’uomo, le loro solitudini. E a chi non
sarebbe mai capitato di incontrare una storia come
questa: di persone della porta accanto il cui modo di
vivere fuoriesce da ciò che la maggioranza
considera normale e quindi socialmente accettabile.
Ma l’amore ha molti volti e molte ragioni e chi
siamo noi per giudicare il maldestro amare degli altri
che è, in fondo, il nostro stesso amare maldestramente?
È probabile che avrei già dimenticato quell’articolo
se, sullo stesso numero del giornale, non mi fosse
caduto l’occhio su una analisi di questa storia dalla
penna della filosofa Michela Marzano che, dall’alto
della sua cattedra, giudica inammissibile questa
forma di amore che, secondo lei, semplicemente
non ha il diritto di esistere. Per rafforzare la sua
sentenza, cita Hannah Arendt (che va sempre bene)
e il filosofo tedesco Axel Honneth con una frase
che uccide la vita: il poter-essere-soli costituisce il polo
soggettivo di una tensione intersoggettiva, della
quale il secondo polo è la capacità di fusione
illimitata con l’altro. A dire la verità, mi fa più
pena la filosofa che sacrifica la vita così com’è nel
nome di un teorema che non la signora di novant’anni
che immagino una donna così imperfettamente
amata come noi umani siamo capaci di fare.
Nel mondo del troppo di troppo di tutto è facile
perdere di vista l’essenziale, è facile trovare tutto
e perdere al contempo se stéssi, lo sto pensando
mentre camminiamo tra le rocce del Parco nazionale
delle incisioni rupestri di Naquane in Valcamonica
dove le tracce dei nostri antenati mi riportano
all’essenziale: al nostro rapporto con la natura,
gli animali e il mistero. In mezzo a cervi (tanti cervi!),
uomini stilizzati e simboli indecifrabili, sento la
vita degli inizi in tutta la sua ambigua fascinazione:
un miscuglio di amore e paura, di venerazione e di
voglia di uccidere. Vita cruda, intensa, in continuo
pericolo che non potrebbe essere più lontana dalle
nostre case ben riscaldate e sicure. Eppure questi cervi
(tanti cervi, enormi!) mi parlano ancora: non illuderti,
non c’è posto sicuro al mondo, è tutto lotta e festa
e festa e lotta. Tra te e me non si estendono migliaia
di anni, non è nemmeno passato un giorno. Torna,
quando hai capito che è sempre oggi. Torna, quando
sei pronta alla lotta
Con la mia amica Maria vado a trovare dei suoi
conoscenti a Dervio. Ci apre la porta il marito e mi
dà – non ci siamo mai visti prima – la mano. Piccolo
grande gesto di tempi remoti che fa svergognare quegli
orribili “saluti” che si sono diffusi negli ultimi due
anni: quelli delle ossa delle dita o dei gomiti che si
scontrano privi di grazia e praticati con la massima
naturalezza ormai. Penso ad una situazione quando,
senza pensarci, avevo pòrto la mano a una persona e
quella la rifiutò: lui, naturalmente, nel giusto, io,
naturalmente, nel torto. È a Dervio, dove, tra altro,
le mimose sono già in fiore, che ho ritrovato, ieri, il
gusto di un buongiorno, un benvenuto tra esseri umani
e non tra potenziali portatori di un virus.
Ho smesso di pensare alla poesia in termini di poesia
compiuta che si trova sulle pagine di un libro, pubblicato
preferibilmente da una buona casa editrice. Mi chiedo:
che cosa sarebbe una buona casa editrice, una buona
poesia, un buon poeta? Non lo so. Ma so, come tutti quelli
che se lo permettono, com’è quando il poetico, ad un tratto,
ti sfiora. In una situazione, forse, così a-poetica che è impossibile
reagire. Poesie ist das radikal Andere. La poesia è il radicalmente
altro. E allo stesso tempo la dimensione più intima immaginabile:
uno spazio incerto nel migliore senso della parola dove l’essenza
del nostro essere uomini si regala in gesti e segni per ricordarci chi
siamo e chi non siamo e chi potremmo essere. All’invito del poetico
irrompente di liberare noi stessi, non ci sono due risposte.
Molto profondo e degno di riflessioni questo articolo. La parola che mi piace molto è essenziale, perché se ci scrolliamo di dosso tutto il superfluo, rimaniamo noi con i nostri sentimenti e basta! Grazie della condivisione!🎩
È questa tua poesia un modo di spezzare gli argini codificati entro cui si è soliti intendere e “fare” poesia. Complimenti, Stefanie🌹🙏
La Dimora di Francesco è sempre il migliore posto immaginabile dell’ immaginazione !
Grazie infinite, Maestro
Spesso mi sono ritrovata a pensare che la scrittura sia un balsamo che lenisce e rirmargina le ferite. Pensiero piuttosto riduttivo , me ne rendo conto. Ma sono sicura che ad altri sarà capitato, sia a chi scrive, sia a chi legge, di sentire questo fresco balsamo entrare in profondità e dilatare la possibilità di esistere.
Vi ringrazio di cuore. Il testo si fa tra chi scrive e chi legge….
hai sempre un’ottima penna Stefanie, acuminata trva seubito il cuore