Il doppio versante del libro Obelisks (Danilo Montanari Editore, Ravenna 2021), vale a dire le fotografie di Gary Green da una parte e i testi in inglese di Gianluca Rizzo dall’altra, si spiega con la sua struttura “a specchio” costituita dalla prima sezione di fotografie in bianco e nero di obelischi egizi ancora visibili a Roma e dalla seconda sezione di lunghi testi in versi; Roma, ovvero la città al mondo con il maggior numero di obelischi egizi ancora in loco, già capitale di uno degli imperi più potenti della storia, si rispecchia negli obelischi di vario genere e fattura eretti negli Stati Uniti d’America – gli Stati Uniti d’America, a loro volta forse inaspettatamente ricchi di obelischi, si rispecchiano nell’antica capitale dell’Occidente; quella di Green è una ricognizione e degli obelischi romani e della gente che entra in contatto con essi – quella di Rizzo è una ricognizione in forma di parole degli obelischi eretti in terra d’America e delle loro ragioni; il fotografo si aggira per le piazze, sui selciati, tra le ombre e tra gli ospiti di Roma, il poeta si muove tra luoghi fra loro anche distanti degli U.S.A. impiegando un vasto materiale verbale e documentario quale apparato descrittivo ed ermeneutico.
Il libro possiede una forte valenza politica perché la focalizzazione sia dell’obiettivo fotografico che della scrittura sul tema dell’obelisco conduce a considerare uno dei modi con cui il potere (imperiale) si è reso e si rende visibile: le nitide fotografie di Green, capaci di restituire la singolare, magnifica luce di Roma, non si limitano a riprendere alcuni obelischi, ma, concentrandosi anche sull’ombra proiettata da essi sul selciato o sulle facciate, cogliendo alcuni turisti in visita nella città, fotografando (non a caso) proprio il busto di Machiavelli del Pincio, gli interni del Pantheon, la cupola di San Pietro vista da una stazione di rifornimento, la forma “a obelisco” di un espositore di cartoline fuori di un negozio di souvenir, i manichini vestiti con abiti talari nella vetrina di un negozio di articoli religiosi, mostrano la dialettica plurimillenaria tra potere civile e potere religioso, la presenza costante e pervasiva anche a livello commerciale di quest’ultimo, la probabile inconsapevolezza della stragrande maggioranza dei turisti che si aggirano nelle strade e nelle piazze romane visitando porzioni limitatissime e stereotipate della città della quale non sanno decifrare segni, stratificazioni, spazi.
Se l’intero libro è anche un apologo sul potere e sulle sue manifestazioni, sulla percezione che si può avere (o non avere) di esso, sulla capacità del potere stesso di celebrarsi e di farsi ammirare (in questo caso tramite la visibilità e la presenza, anche fallica, dell’obelisco), oppure, nello stesso tempo, di manifestarsi pur senza farsi percepire come potere, ebbene questo significa che ogni tentazione o deriva estetizzante viene evitata in direzione di un’assunzione dell’arte fotografica e dell’arte scrittoria quali messa in atto di un processo conoscitivo, critico, dialettico, storicizzante.
Gianluca Rizzo affronta la scrittura in una lingua che, pur perfettamente dominata in tutte le sue sfumature e altrettanto perfettamente conosciuta nei suoi portati storici e culturali, non è la lingua madre dell’autore, ma proprio la lingua dell’impero, quella di Whitman… così come quella di Trump. In più, la scelta di uno scrittore e poeta di lingua madre italiana di scrivere in altra lingua è dettata anche dalla scelta di frapporre tra sé e la materia trattata un ulteriore diaframma, perché, anche se Gianluca Rizzo domina perfettamente e certamente ama profondamente l’inglese, in ogni caso una lingua diversa dalla propria obbliga a pensare secondo parametri più o meno differenti, ma comunque altri; essa costringe a mutare i propri paesaggi interiori, ne fa apparire di nuovi, nella contaminazione che ne consegue s’innesca un tour de force virtuoso per suggestione e densità concettuale.
E parimenti interessante è osservare l’azione della coppia Green-Rizzo: il primo dagli Stati Uniti raggiunge Roma compiendo a ritroso dal punto di vista storico-cronologico il cammino dell’impero e rintracciando nell’antica capitale la presenza di quei segni (marcatamente visibili) che non temono nec ventos nec hiemem come recita l’iscrizione posta alla base del Matteiano a Villa Celimontana e scelta anche in esergo a Obelisks, segni del potere imperiale romano e, successivamente, papale, presenze nient’affatto decorative né innocenti; Rizzo, dall’Italia sua terra d’origine, si stabilisce negli Stati Uniti (dove è Paganucci Assistant Professor of Italian a Colby College di Waterville nel Maine) e concepisce l’idea di questi 10 testi che costituiscono una ricognizione degli obelischi (o dei monumenti di forme assimilabili a quella di un obelisco) disseminati nel territorio dell’Unione (anch’essi presenze nient’affatto innocenti né decorative) invitando a collaborare al progetto il suo amico fotografo.
Torno a scrivere “ricognizione” cercando di caricare il vocabolo di una connotazione il più possibile densa e significante: immediatamente al di sotto dell’apparente descrizione e catalogazione degli obelisks, infatti, c’è una tecnica di montaggio che riesce a oggettivare storia e ideologia di ogni monumento il quale “parla da sé”, “si racconta da solo”; assumendo e sviluppando sia la lezione poundiana che quella della poesia nordamericana degli ultimi decenni (predilezione per il catalogo e l’elenco, massima attenzione al reale, coesistenza di ritmo narrativo e di vers librisme, apparente distacco dal tema trattato, montaggio di materiali verbali di diversa provenienza – similmente ad autori come Wallace Stevens, John Ashbery, Louis Zukofsky, William Carlos Williams, Rosemarie Waldrop e in Italia si potrebbe pensare a Giovanna Frene per l’attenzione a luoghi e monumenti quali espressione della storia collettiva la cui anche sola presentazione in forma testuale mette in moto un complesso processo critico) Rizzo dimostra una capacità notevole di dominare il vasto materiale a sua disposizione, di rielaborarlo in forma di blocchi che sono stati connessi l’uno con l’altro – è accaduto che l’obelisco, costituito da una base e da materiali da costruzione sovrapposti o connessi tra di loro, ha puntualmente trovato una scrittura che, sulla base di riscontri storici (i perché della decisione d’innalzare un obelisco, le relative motivazioni ideologiche ed economiche, le fasi della costruzione), ha “innalzato” ogni singolo testo che (fatto fondamentale) va letto rispettando puntualmente i mutamenti del verso e le pause, le indentature e le spaziature, la punteggiatura – significativa l’assenza totale del punto fermo, essendo affidata alla virgola, al punto interrogativo e in maniera determinante ai rientri del testo e alle spaziature tra quelle che qui per comodità chiamo strofe la scansione di una prosodia necessariamente pensata per testi così peculiari; anche l’inserzione di brevi e brevissimi passaggi in latino o in italiano, costringendo a rimodulare la voce per attribuirle un’altra tonalità, costituiscono momenti fondamentali che contribuiscono a eliminare ogni presenza dell’io e ogni tentazione di giudizio moraleggiante in favore di un’oggettività (“lasciare che la cosa parli da sé”) – anche in tal senso c’è da riconoscere la specularità con le fotografie che, prive di manipolazioni e di interventi in post-produzione, posseggono il perfetto equilibrio tra il dato documentale e la scelta compiuta dall’artista di fotografare da una determinata angolatura con una determinata luce; qualcosa di simile si può affermare infatti in merito ai testi perché è il loro autore ad aver scelto una precisa postura nei loro confronti e ad aver montato i diversi materiali lasciandone riverberare il conseguente effetto.
Ulteriore aspetto da apprezzare del libro è che le fotografie non sono affatto ancillari ai testi in versi (loro illustrazione) e viceversa (didascalie delle foto), ma entrambe le parti dialogano tra di loro con pari dignità, entrambe sono costituite da testi (e intendo dire da complesse tramature concettuali e rappresentative) ed entrambe vanno considerate come un progetto che travalica finalità puramente estetiche per addentrarsi nei territori dell’oggi inscindibilmente legato al passato, ma, anche, segnato da presenze non mute, non neutre e non solo archeologiche o estrose quali sono gli obelischi.
AMERICAN OBELISK No. 1 (Washington Monument) I. a worldly orientation to approach the permanence of gold to see that the stone was well laid true and trusty and the plumb admonishes to walk upright to square our actions upon the level of time to that undiscovered country placed on it the sprig of acacia corn for plenty wine for joy and an apron especially made a lean swimmer into the night sky harmoniously to blend durability, simplicity, and grandeur standing there as a testimony that republics are ungrateful like a hollow oversized chimney a structure of mixed blocks and flotsam of war memoria iusti cum laudibus et nomen impiorum putrescet that such disappearance like Marie Antoinette’s would cause the wrath of a whole country seemed unequitable designed to bind the world with invisible hands it is better to defer their attempts boring from within with one impulse a triumphal arch and the same live eagle which had hailed the marquis de Lafayette II. throw out Mills’ ginger-bread keep only the obelisk and a large hole for a zinc case filled with items associated and a copper plate, engraved if ye had faith like a grain of mustard as adjusted by the constitution the Earth for its Dominion and Eternity for its Duration knowing no North, no South only Union, sunto perpetua, e fra tutti i massoni sono i più loquaci a piece of amethyst a block of silver ore one of gold quartz most sent by various states and foreign nations some by mercantile concerns from the land of Solon, Themistocles, and Pericles sicut patribus sit deus nobis here Industry her grateful tribute pays a block of lava from Vesuvius an ancient Aegyptian head & a block of marble which Pius IX ordered to be taken from the Temple of Concord III. handsome, but epileptic enflamed by infallibility installed in Rome with foreign bayonet nel pacifico consorzio delle genti a cordial tribute of respect A ROMA AMERICAE on March 6th 1854 a group of men rushed out of darkness round the foot of the monument they rolled it to a scow and dumped it into the Potomac in 1892 a diver encountered the corner sharply cut and beautifully polished a piece of variegated marble striated in veins of pink and white which seen through the green scintillating light of the water took iridescent tints a piece became an 8-inch miniature of the monument along with a letter and a picture of the pope IV. an aluminum capstone this most holy land where events have been crowded in the span of a moon with the same silver trowel used to start the Capitol attach a mirror to the column no longer builders of cathedrals whose stones were living men when the sun shines at the bottom of the well in Philae the obelisk in Alexandria casts no shadow and words alone are left engraved in stone