2 pensieri riguardo “Quaderni di Traduzioni (LXXIV)”
Leggere questo pezzo, intensissimo, fa star male: disinnesca quella che io chiamo “la trappola dell’unica parola” (vita, persona, destino) che rischia di archiviare l’enorme e terribile ricchezza di ciò che è un essere umano, la sua storia. In espressioni come “la vita dei deportati a…o, ai nostri giorni, la vita dei combattenti di Kiev” ciò che rischia di essere accolto ma nello stesso tempo archiviato (per smettere di star male) è proprio la densità dell’espressione, la sua pienezza di senso. Il fatto cioè che la vita umana è un mondo di slanci, affetti, emozioni, dolori, propensioni, antipatie, ore, giorni, mesi, stagioni, piccoli eroismi, talvolta anche vigliaccherie, etc…. Un mondo di incontri e relazioni che rischia di rimanere intrappolato nell’uso di una sola parola. Possiamo soffrire per la vita dei…deportati…ma dimentichiamo che, se parliamo di “vita” abbiamo da soffrire per l’ unicità di esperienze del deportato Julius Kronheim e poi per quella di Alfred Simonowitz e poi….e dobbiamo contarli uno per uno. Evitare la “trappola” che un certo uso del termine “vita” comporta, è esattamente quel che fa questa narrazione intestardita sul caso per caso. E c’è da star male a leggerla.
Leggere questo pezzo, intensissimo, fa star male: disinnesca quella che io chiamo “la trappola dell’unica parola” (vita, persona, destino) che rischia di archiviare l’enorme e terribile ricchezza di ciò che è un essere umano, la sua storia. In espressioni come “la vita dei deportati a…o, ai nostri giorni, la vita dei combattenti di Kiev” ciò che rischia di essere accolto ma nello stesso tempo archiviato (per smettere di star male) è proprio la densità dell’espressione, la sua pienezza di senso. Il fatto cioè che la vita umana è un mondo di slanci, affetti, emozioni, dolori, propensioni, antipatie, ore, giorni, mesi, stagioni, piccoli eroismi, talvolta anche vigliaccherie, etc…. Un mondo di incontri e relazioni che rischia di rimanere intrappolato nell’uso di una sola parola. Possiamo soffrire per la vita dei…deportati…ma dimentichiamo che, se parliamo di “vita” abbiamo da soffrire per l’ unicità di esperienze del deportato Julius Kronheim e poi per quella di Alfred Simonowitz e poi….e dobbiamo contarli uno per uno. Evitare la “trappola” che un certo uso del termine “vita” comporta, è esattamente quel che fa questa narrazione intestardita sul caso per caso. E c’è da star male a leggerla.
grazie grazie grazie