Luigi Sasso
Dietro il nome:
l’avventura di Alice
[Tratto da Deleuze e la logica del nome,
di prossima pubblicazione in
“Quaderni delle Officine”, CXVIII,
giugno 2022.]
Nelle prime pagine di Logica del senso (1969), Deleuze affronta una questione in apparenza marginale, in realtà destinata a rivestire un ruolo di primaria importanza nello sviluppo della sua filosofia. A tale scopo si inoltra in una rilettura delle pagine dell’Alice di Lewis Carroll. Ma prima di procedere in tale direzione, Deleuze si sofferma su un fenomeno paradossale, che definisce come il fenomeno del puro divenire. La simultaneità del divenire – afferma – ha come propria peculiarità quella di schivare il presente. Ciò significa mettere in discussione le usuali categorie temporali, in quanto «il divenire non sopporta la separazione né la distinzione del prima e del dopo, del passato e del futuro»[1].
Fa infatti parte dell’essenza del divenire, e costituisce anche un’efficace definizione di cosa sia un paradosso, l’affermazione dei due sensi nello stesso tempo. Ce lo ricorda Alice, sostiene Deleuze, che «non cresce senza rimpicciolire, e viceversa»[2]. Diventa allora possibile, per Deleuze, scuotere le fondamenta del pensiero occidentale, rileggere la dialettica platonica sotto una luce nuova. Non si tratta più di distinguere l’intelligibile e il sensibile, l’Idea e la materia. C’è, secondo Deleuze, «una dualità più profonda, più segreta, sepolta negli stessi corpi sensibili e materiali»[3]. Tale dualità distingue ciò che riceve l’azione dell’Idea (la copia) da ciò che a questa stessa azione si sottrae (il simulacro). Quest’ultimo costituisce l’elemento folle, quell’elemento cioè che non viene modellato dalle Idee, che sta sotto le cose, come un magma, come un flusso, come un corpo informe. Forse Platone – suggerisce a questo punto Deleuze – intendeva proprio questo scrivendo il Cratilo: mostrare il legame tra il puro divenire e il linguaggio, o addirittura dimostrare l’esistenza di due linguaggi, di due tipi di nomi, «gli uni che designano le soste e gli stati di quiete, che raccolgono l’azione dell’Idea, gli altri invece che esprimono i movimenti o i divenire ribelli»[4]. O ancora, e questa appare l’ipotesi più plausibile, esisterebbero due distinte dimensioni all’interno del linguaggio: una palese, riconoscibile, l’altra latente, ma sempre intesa a sovvertire la prima, le sue strutture, la sua logica. L’identità paradossale dei due sensi nello stesso tempo, per esempio dell’attivo e del passivo, del più e del meno, della causa e dell’effetto, non risparmia dunque il linguaggio, la sua disposizione a fissare i limiti, ma nel contempo a oltrepassarli, «a restituirli all’equivalenza infinita di un divenire illimitato»[5]. Da ciò, tornando ad Alice, derivano i capovolgimenti che contrassegnano le sue avventure. Deleuze fa diversi esempi. Ne scelgo uno, che coinvolge la dimensione temporale, ed è la regola che la Regina comunica alla protagonista: «Marmellata domani e marmellata ieri… ma mai marmellata oggi»[6]. Ci siamo ormai inoltrai nelle pagine di Lewis Carroll, e non resta che definire la questione a cui abbiamo fatto cenno all’inizio e che ora Deleuze, considerandola una conseguenza dei cortocircuiti logici appena ricordati, formula in questo modo: «la contestazione dell’identità personale di Alice, la perdita del nome proprio»[7]. Che non si tratti di un dettaglio, di un problema appunto di scarso rilievo, Deleuze si affretta immediatamente a sottolinearlo: «La perdita del nome proprio è l’avventura che si ripete attraverso tutte le avventure di Alice»[8]. Possiamo a questo punto prenderci la libertà di verificarlo.
Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie sono appena iniziate, e ci troviamo già di fronte ai dubbi della protagonista sulla propria identità: «Alice raccolse il ventaglio e i guanti e, poiché nella sala faceva molto caldo, si fece vento per tutto il tempo che continuò a parlare: − Mamma, mamma! Come sono strane le cose che succedono oggi! E le cose ieri erano normali come sempre. Mi chiedo se proprio non sono cambiata nella notte! Pensiamo un po’: ero io la stessa quando mi sono alzata questa mattina? Mi sembra di ricordare di essermi sentita un po’ diversa. Ma se non sono la stessa, la domanda che viene dopo è: chi mai sono io? Ah, questo è il grande enigma!»[9]. Le cose però sono destinate ben presto a complicarsi, complici i personaggi con i quali Alice entra in contatto. Il Bianco Coniglio, per esempio, la prende per la sua cameriera, e la chiama Anna Maria. Il Bruco le domanda chi ella sia e Alice, un po’ timidamente, risponde: «Io… io, signore, non so proprio dirvi chi sono in questo momento…»[10]; Il Piccione la scambia per un serpente a causa del suo lungo collo. Solo di fronte alla Regina di Cuori sembrerà riprendersi il suo nome e con esso la sua identità.
Ma le cose tornano a ingarbugliarsi se sfogliamo le pagine di Dietro lo specchio. E succede quando Alice si accinge a muovere i suoi primi passi nella foresta dove le cose non hanno nome. Vale la pena ascoltare un passaggio del suo monologo: «Chissà cosa ne sarà del mio nome quando comincerò ad inoltrarmi. Non mi piacerebbe proprio perderlo… perché me ne dovrebbero dare un altro e sono certa che sarebbe certamente un brutto nome. Ma allora il divertimento starebbe nel tentativo di trovare l’animale che si è preso il mio vecchio nome! Proprio come negli annunci sul giornale, sapete, come quando la gente perde un cane: Risponde al nome di Dash e porta un collare d’ottone… e immaginate che buffo chiamare Alice ogni cosa che s’incontra, finché una di esse non risponde! Solo che non dovrebbero rispondere affatto se fossero sagge»[11]. Ma se ad Alice il suo nome piace molto, ad Humpty Dumpty esso appare stupido, in quanto non riesce proprio a capire cosa significhi. E all’obiezione di Alice («Un nome deve necessariamente significare qualcosa?»), Humpty Dumpty, imperturbabile, risponde: «Certo». E prosegue: «…il mio nome indica la forma che ho… e per di più è una bella forma. Con un nome come il tuo, tu potresti avere praticamente qualunque forma»[12].
Note
[1] GILLES DELEUZE, Logique du sens, Paris, Éditions de Minuit 1969 (tr. it., Logica del senso, Milano, Feltrinelli 2020, p. 9).
[2] Ibidem.
[3] Ivi, p. 10.
[5] Ibidem.
[6] LEWIS CARROLL, Alice nel Paese delle meraviglie. Dietro lo specchio, tr. it., Milano, Garzanti 1975, p. 203. Il testo originale recita così: «The rule is, jam to-morrow and jam yesterday – but never jam to-day».
[7] DELEUZE, op. cit., p. 11.
[8] Ibidem.
[9] CARROLL, op. cit., pp. 15-16.
[10] Ivi, p. 45.
[11] Ivi, pp. 181-182.
[12] Ivi, p. 217.