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Tratto da: Rodolfo Zucco, Libro di incontri e di letture, illustrazioni di Sandro Pazzi, Fermo, Associazione Culturale “La Luna”, 2021. Il saggio sarà pubblicato integralmente in "Quaderni delle Officine", vol. CXX, settembre 2022. Un sentito ringraziamento all'autore, all'associazione e all'editore per la gentile concessione.
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Rodolfo Zucco
VIDA E RAZOS DI JOLANDA INSANA
1.
In un saggio che accompagna un gruppo di testi da La bestia clandestina ho tentato la descrizione di alcuni aspetti ritmico-sintattici della poesia di Jolanda Insana: «una poesia – ho scritto – che nasce dominata da una pulsione essenzialmente sintattica, compositiva: concrezione aggregante e strutturata di parole e di frasi, su su fino alla lassa, alla sequenza, al libro». Il saggio tocca vari punti in relazione reciproca: la dittologia come elemento molecolare; quindi l’assetto metrico-retorico della pagina come collaborazione di impulsi associativi verticali e orizzontali, e dunque i modi di un procedere parallelistico che – torno a citarmi – «è tutt’uno con un processo di accertamento epistemologico, con una conquista progressiva di verità, di avanzamento tentativo dall’ignoto al noto di cui la lingua si fa strumento primo, fino all’individuazione e all’appropriazione di un dato di conoscenza»; e infine l’esaltazione della funzione fonica della rima, nel suo rapporto particolare con la rinuncia alla punteggiatura e nelle conseguenti implicazioni “esecutive” di questi testi.1 A qualche auspicabile sviluppo laterale della ricerca non ho potuto che accennare; ma è in una direzione rimasta non dichiarata che vorrei ripartire.
Citavo, in quel primo confronto con la Insana, questo paragrafo estratto da una remota “lezione” della scrittrice pubblicata dalla rivista «Poesia»:
Inorridita davanti a stragi e contumelie, agnellaggine e menzogna, prendo dalla vita e i suoi concimi, e rincalzo le radici con terriccio e foglie, di tanto in tanto abbeverando per non annacquare vino e verità, poi che alla poesia non c’è rimedio e chi ce l’ha se la gratta come rogna, affacciato sui calanchi a strapiombo di vita e morte, follia e ragione.2
Vorrei richiamare l’attenzione sulla totale congruità di questo lacerto di prosa con la scrittura in versi dell’autrice, giusta la descrizione dei tratti caratterizzanti che ne ho dato. Si vedrà meglio da una trascrizione che porti allo scoperto le nervature sintattiche:
Inorridita davanti [(a stragi | e contumelie), || (agnellaggine | e menzogna)],
{prendo (dalla vita | e i suoi concimi), || e rincalzo le radici (con terriccio | e foglie)},
di tanto in tanto abbeverando
per non annacquare (vino | e verità),
{poi che alla poesia non c’è rimedio | e chi ce l’ha se la gratta come rogna},
affacciato sui calanchi a strapiombo [(di vita | e morte), || (follia | e ragione)].
Ho messo fra parentesi le strutture binarie, usando le graffe per le proposizioni, le quadre e le tonde rispettivamente per le combinazioni di due dittologie e per le dittologie stesse; e ho isolato i singoli membri con la sbarretta verticale, semplice o doppia. Per la sintassi, la proposizione principale è allineata al margine sinistro, le subordinate sono scalate a destra secondo il grado. La principale «prendo dalla vita…» è dunque doppiata da una coordinata, conclusa come la reggente da una dittologia nominale. Precede, ad apertura, una participiale costruita sulla geminazione dittologica; seguono, sempre al primo grado di subordinazione, una gerundiva e una causale, questa seconda formata da una coppia di coordinate. Al secondo grado di subordinazione, le due proposizioni si accompagnano rispettivamente a una finale e a una participiale: concluse la prima da una dittologia nominale, la seconda da una coppia di dittologie, a rafforzare la ripresa del modello sintattico della participiale di partenza. Non occorre insistere nell’analisi per apprezzare il sapiente gioco delle corrispondenze, il rigore geometrico nella costruzione e nella disposizione dei membri sintattici. È un organismo verbale in cui hanno parte anche i ritorni fonici, segnatamente nella forma dell’omoteleuto: ho rilevato graficamente menzogna : rogna (maiuscoletto), stragi : agnellaggine (maiuscoletto corsivo), poesia : follia (corsivo), inorridita : vita (sottolineato semplice), ce l’ha : verità (sottolineato doppio): i primi due con funzione di appoggio alle partizioni della sintassi, gli altri disseminati secondo un calcolato gioco di controtempi, per lo più ad anticipare le pause logiche.
A questo complesso sistema di rimandi intratestuali se ne accompagna un altro, che agisce come convocazione di luoghi esterni alla prosa stessa ma interni al macrotesto. Si tratta in sostanza dell’autocitazione, per la quale distingueremo due livelli. Al primo collochiamo la citazione di versi inclusi nell’autoantologia che segue la prosa (da Sciarra amara a un gruppo di inediti dai futuri Medicina carnale e L’occhio dormiente), con essa formando il corpus testuale che va sotto il titolo A lezione da Jolanda Insana. Sono quelli, già in limine a Il collettame, che aprono in centro pagina la scelta da quel libro (p. 166):3
anima mia
non potendoti affagianare a piacimento
perocché sei pelle e pece mia
vado anfanando a perdifiato
scannaparole e gabbalessemi annacquo il vino della vite
e mai vado in cìmbali e mi sconfondo nella dozzina
ma tu abbaia-abbaia
finché non ho finito di affinare questa vita.
Al secondo livello un’autocitazione che guarda fuori dal testo di «Poesia», a un epigramma di Fendenti fonici (dodicesimo di Corda bagnata in acqualanfa): «alla poesia non c’è rimedio / chi ce l’ha se la gratta come rogna» (p. 159). Un rinvio meno esplicito va colto nell’immagine dello «strapiombo», che riporta ancora a versi de Il collettame (p. 197):
qualche senso sulla traccia di crepe e incrinature
ed è non poca cosa stando sul precipizio
biancoviola fiore di cappero
il guaio è che sono fuori e sono dentro.
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2.
La questione del rapporto tra versi e prosa che si presentava già con A lezione si ripropone oggi con Tutte le poesie garzantiane per la scelta dell’autrice di collocare in coda al corpus poetico, dopo le anticipazioni da La bestia clandestina, un’Appendice che raccoglie due prose. Andranno discussi sia la natura di aggetto, di corpo esorbitante veicolata dal titolo Appendice sia l’etichetta «prosa» con la quale provvisoriamente cataloghiamo i due testi. Si tratta di due voci di dizionario, quasi sintesi estrema di un proprio privato sillabario, come dicono la tipica esposizione in testa del cognome in Insana Jolanda nella prima e la titolazione nominale secca, Disamore, della seconda. Se l’ordine alfabetico, contraddicendo gli usi della tipologia testuale di riferimento, è invertito, è rispettato quello cronologico. Insana Jolanda migra qui dall’Autodizionario degli scrittori italiani, impresa di Felice Piemontese giunta a pubblicazione nel 1990;4 Disamore è più recente, essendo apparso in rivista nel 2005.5 In relazione ai libri raccolti nell’«Elefante», dunque, Insana Jolanda è coevo a Medicina carnale e a L’occhio dormiente (le datazioni dichiarate sono rispettivamente gli anni 1985-1991 e 1987-1994), e di poco successivo alla prosa di A lezione;6 Disamore sarà coevo, nell’ideazione, a La tagliola del disamore (testi del periodo 1999-2002). Nell’organizzazione complessiva del libro questa Appendice guarda all’altro capo, alla Nota iniziale; e nei confronti di questa svolge una funzione suppletiva, compensando quell’asciutta esposizione di dati bibliografici non con una vera e propria postfazione ma piuttosto con un’offerta di materiali in cui trovano spazio le istanze della figura autoriale. La definizione «offerta di materiali» vorrebbe dire la natura a prima vista composita, discontinua dell’Appendice: come di un dittico formato assemblando tavole di origine e destinazione diversa. E tuttavia la scelta è perfettamente funzionale all’esito ricercato: la “voce” Insana Jolanda – diciamo intanto con qualche approssimazione – ha a che fare con il soggetto responsabile dell’opera presentata, la voce Disamore con l’oggetto, con un nucleo (il nucleo) tematico o, meglio, con i presupposti dell’opera. Ma se per Insana Jolanda il rapporto referenziale appare frontale, diretto, per Disamore la prospettiva appare invece di scorcio, innanzitutto per il rapporto privilegiato che il titolo stabilisce con l’ultimo libro integralmente compreso nel volume, appunto La tagliola del disamore: anche se il lettore di buona memoria saprà risalire dall’incipit «Che c’entrano i pesci con il disamore?» ai versi finali (prima della postilla in corsivo) di Làstime e santiòni, sequenza finale di Schitìcchio e schifìo: «manco se lo pitti / disamorato pesce / concia vita». Siamo nella prima parte del libro; e questa localizzazione divaricata del secondo rinvio testuale ha una funzione di bilanciamento, correggendo l’esclusività della relazione con La tagliola del disamore. Insisterei, per una giusta lettura di Disamore – una lettura non parzialmente diretta, ma orientata invece alla complessità dell’opera –, su un passaggio del capoverso che sto per trascrivere, verso la fine del pezzo:
Manifestiamo contro le stragi, contro la tortura, contro la schiavitù, e poi accechiamo il vicino di porta, foraggiamo i profittatori che con gli unghioni ci strappano la pelle, diamo una mano agli schiavisti, comprando corpi e merci. E non c’è scandalo. Buttiamo i bambini nella spazzatura, nella lavatrice, nella ghiacciaia, nei bordelli. E non c’è scandalo. Appallottoliamo diritto e leggi – carta da cesso. Però ci commoviamo, siamo generosi, facciamo le collette. Madamini di san vincenzo truccati carezziamo mostri e stragisti. Le vittime ce le scordiamo: sono loro i colpevoli. Quando si dice il diritto e il rovescio! Profumatamente pagati coccoliamo usurpatori e violentatori rivoltando sacchi di merda. Abbiamo il cervello bacato. Bucato. Smangiato dal tarlo del ribasso. E niente vale niente. Non ci sono doni, le polpette sono tutte avvelenate. Neghiamo l’acqua e la parola vera. Ci resta la resistenza all’oltraggio e alla violenza. Fino a quando? E intanto distruggiamo la terra e progettiamo di rendere abitabile e colonizzare Marte. Malati e deliranti. Tutti.
«Ci resta la resistenza all’oltraggio e alla violenza», dice la Insana; e noi leggiamo nella parola «resistenza» un ritorno lessicale e tematico fondamentale, giacché in Insana Jolanda la poesia è definita «superflua marginale voluttuaria libera e necessaria, e dunque superflua necessità, lucida resistenza perché “specchiata all’occhio e all’orecchio sia la vita”». Nella pratica della poesia come «lucidaresistenza», dunque, è la risposta alle domande «Come rinserrare nei recinti i bestioni del disamore? Come placare il demone bellicoso che ci appesta?», «Come uscire dal recinto del disamore?». E a me piace ricordare in proposito le parole di un autore presente anche nell’Antologia della critica, Giudici, quando dice di un «versificatore in lingua» che «si ostina a frugare superstiti o insospettati margini di vita» sul «corpo straziato» della nostra lingua nazionale. Anche Jolanda sarà tra quelli che ritengono che «proprio in ciò, consista il […] vero “impegno”» dello scrittore in versi, «il suo ufficio al servizio della comunità che in questo corpo continua a riconoscersi, a esistere, a lottare (nonostante tutto) per la continuità e la liberazione umana di tutti i suoi componenti».7
[…]
Note
1 R. Zucco, Aspetti della lingua poetica di Jolanda Insana, «Istmi», 19-20, 2007 (La trama sonora. Poesia nella prosa), pp. 201-218.
2 A lezione da Jolanda Insana, «Poesia», i, 9, settembre 1988, pp. 19-30: 20.
3 Tutte le indicazioni di pagina prive di specificazione si intendano riferite a J. Insana, Tutte le poesie (1977-2006), Milano, Garzanti, 2007 («Gli elefanti. Poesia»).
4 Autodizionario degli scrittori italiani, a cura di F. Piemontese, Milano, Leonardo, 1990, pp. 178-180. Rispetto a questa redazione il testo di Tutte le poesie presenta pochi interventi, tutti o quasi a correzione di erronee interpunzioni o cadute di testo. Nel secondo capoverso la virgola viene eliminata dopo «scongiuri» e «poesificio», introdotta dopo «attrezzeria»; nel terzo capoverso la virgola viene introdotta dopo «del resto»; alla fine del quinto capoverso «schiacciati dentro» diventa «schiacciati dentro il pane», «due volte» passa a «due volte l’anno»; nel sesto e ultimo capoverso il titolo «Carmina Priapea», prima erroneamente in tondo, passa al corsivo. Tutte le poesie introduce però un refuso nel quinto capoverso, «constrastando».
5 J. Insana, Disamore, «Il Caffè Illustrato», 24, maggio-giugno 2005, pp. 60-61.
6 Cfr. l’Introduzione all’Autodizionario, cit., pp. 5-13: 7-8.
7 G. Giudici, Un paese di dialettanti, in Id., La dama non cercata. Poetica e letteratura 1968-1984, Milano, Mondadori, 1985, pp. 115-119: 118-119. Cfr. un passo di Non si può scancellare il desiderio. Intervista a Jolanda Insana, di G. Fantato e A. Manstretta, in La biblioteca delle voci. Interviste a 25 poeti italiani, a cura di L. Cannillo e G. Fantato, con la collaborazione di A. Manstretta, Novi Ligure, Joker, 2006, pp. 73-78: 76: «\G.F.\ Ne La stortura […] emerge chiaramente un’intonazione civile – etica, se vogliamo – della tua poesia. Molti sono i testi carichi di indignazione per il degrado culturale e la violenza in atto […]. Quale credi sia il compito specifico del poeta? Si può parlare di una “resistenza” che si attua nel lavoro sulla lingua, nella ricerca espressiva? O credi che il poeta possa prendere posizione in altro modo, con altri mezzi? || \J.I.\ Come qualsiasi altro cittadino che partecipi della polis, senza aura e senza pennacchi. Vigilando e raccontando tutto lo storto e il falso che ci tocca e contamina. La resistenza non finisce mai: “Dopo la resistenza / si torna alla resistenza…”. Contro la menzogna e la violenza privilegiare parole vere. Contro l’apparenza privilegiare la sostanza. Niente mistificazioni, niente “gluglù” amniotici».
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Che linguaggio nuovo e ardito, la forza che trasmette la sua poesia scuote l’animo.
Grazie per il bell’articolo.
Jolanda Insana, ovunque tu sia, i miei omaggi.
L’ha ripubblicato su Per un cavallino di cartapesta ? Ma no ! Eroi si diventa per amore, non per dovere ….
“…poiché alla poesia non c’è rimedio e chi ce l’ha se la gratta come rogna”…grandioso! Grazie anche a te Sossu, per aver ripreso questo bellissimo pezzo. Ciao
Disse Jolanda:
Se son rose marciranno