Leggo “Le Belle Bandiere” (di Rocco Brindisi)

Leggo “Le belle bandiere”, seduto davanti al bar, sotto i portici. Il volto del poeta in copertina: capelli arruffati, guance scavate, una bellezza antica. La ragazza del bar mi informa, con un sorriso: “Il suo amico è venuto poco fa”. Un po’ le dispiace che non ci siamo incontrati, un po’ è felice di averlo nominato; terzo, ritiene una sorta di incantamento l’amicizia tra un vecchio signore, barba folta, bianca, con un ragazzo. La sua curiosità è gentile. Continuo a leggere. Un movimento brusco, e il libro si richiude. Ritorna lo sguardo del poeta, che mi trafigge e mi consola. Nei suoi occhi, la passione di guardare il mondo. Sta girando il “Decamerone”. Uno sguardo fiero della propria felicità. Nel film, è un pittore del Trecento in viaggio, che approda a Napoli. Nel libro, le sue risposte ai lettori di “Rinascita”. anni ’60. Lettere di operai, studenti, pensionati. In queste pagine, l’epopea di una lingua amorosa, che rinnova il proprio mistero, entrando negli affanni, le ragioni, i dubbi, i pudori, le speranze senza tempo, la devozione, mai ruffiana, del lettore nei confronti del poeta. Che parli di politica, di cinema o d’altro, c’è qualcosa di lancinante nel rispetto che egli nutre per l’interlocutore, per sé stesso e per il volto invisibile che guarda, scrivendo. Ancora il suo ritratto: la bocca chiusa, non serrata, è il terzo occhio, ribelle e magnanimo. Sarebbe stato bello morire in quei giorni, il terzo giorno la fine delle riprese di un film sulla gioia. Il ragazzo degli appuntamenti al bar non è venuto. Le parole del poeta, la sua faccia, così lontani dalla sua morte, che mi viene da piangere. [Rocco Brindisi]

 
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