Marina Pizzi
Calice di approdo finsi l’infanzia
la zattera d’oro per i pesci salvi
qualora fossi diventata magica.
Invece convalido la mia galera
carica di riti funebri e canestri
tipici del genio che non fui.
Raccapriccio di fato qui restare
reo calesse senza amanti
né briciole di orizzonti le finestre.
Ginestre canterine dal vento prese
strette nei guanti le spose tristi
stigmate le giostre senza pargoli.
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Sterno di crollo l’abito mortale
dove gli avanzi della cena storpia
impallidiscono il germoglio del sorriso.
Il rompicapo d’essere mortale
tale erompe un estro di bile
quale matrigna indocile la nebbia.
Salva di me il quadrifoglio d’estasi
enigma di figlia indigente
scheletro martire il girotondo in sibilo.
Meringa la merenda di bambini dotti
così poeti da sembrare arcani
attori di cosmesi simboli divini.
Testi tratti da:
Marina Pizzi, Lapidi di periferia,
di prossima pubblicazione in
“Quaderni di RebStein”, LXXXVIII, ott. 2022.
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Marina ha una capacità di scrittura che ogni volta mi stupisce