Lo sguardo che ascolta

Yves Bergeret

Cinq toits de chaume

(da qui)

Il a abaissé le rabat du secrétaire.
Il a choisi parmi les vingt petits tiroirs
juste celui du milieu à gauche.
Il en a démonté le fond biseauté,
treize centimètres sur dix-huit,
y a passé un enduit léger,
a saisi quatre couleurs et ses pinceaux,
a fermé ses yeux.
Et dès que, les yeux clos,
sur ce fond il a commencé à peindre,
il a ouvert le monde.

Certains muscles de sa main et de son avant-bras
ont brisé leurs brides,
ont caracolé, se sont cabrés,
ont mêlé mêlé mêlé le brun et l’ocre.
Ses phalanges ont brassé l’air,
ont rompu la torpeur du jardin devant sa chambre,
la somnolence de son plafond.
Tous ainsi, tous l’ont entraîné.
Il glissait dos au sol sans se blesser
et a glissé a glissé dans la rue de terre battue
du village de sa naissance et de sa mort.

Brune est la terre, brun est le ciel,
brune la ligne des maisons et bruns leurs toits de chaume.
Mais du blanc rend céleste le brun,
rend onctueuse la peinture, souple la peinture,
profuse la peinture qui dresse
sa démesure, sa folle liberté,
et voici cinq pauvres maisons au toit de chaume,
cinq demeures s’éloignant une à une
vers à droite le brouillard brun qui les avale,
monde ocre et brun s’esquivant dans un sourire,
juste un peu d’ombre plus brune
sous le débord des toits, sur un ou deux pans de chaume.

Sur le petit rectangle de bois
les cinq toits à forte pente rient de la neige,
rient de la terre et du ciel,
rient de la fuite qui court vers la droite
et qui recule le fond, recule, dans des volutes de boue
si ce n’est de terrienne nuée,
recule le doute, la peur,
et jubile sous les doigts du peintre aux yeux clos,
du peintre mort depuis trois siècles.

Et voici que sa petite peinture m’apporte cinq vertèbres
de l’homme allongé dans son sommeil,
cinq vertèbres pointant sous le chaume,
dans sa gloire

tandis qu’à la première masure par une fenêtre
et par la porte grand ouverte brille un peu de rouge
réincarnant l’homme aux yeux clos
dont en riant mes yeux accueillent
la confiance totale dans la touche de couleur
qui aspire l’infini.

Cinque tetti di paglia

Ha abbassato il ripiano della scrivania.
Ha scelto tra i venti piccoli cassetti
proprio quello al centro a sinistra.
Ne ha smontato il fondo smussato,
tredici centimetri per diciotto,
vi ha spalmato una vernice leggera,
ha preso quattro colori e i suoi pennelli,
ha chiuso gli occhi.
E non appena, a occhi chiusi,
su quel fondo ha cominciato a dipingere,
ha aperto il mondo.

Alcuni muscoli della sua mano e dell’avambraccio
hanno sciolto le briglie,
caracollando, impennandosi,
hanno mischiato più volte bruno e ocra.
Le sue falangi hanno smosso l’aria,
rotto il torpore del giardino di fronte alla sua stanza,
la sonnolenza del soffitto.
Così tutti assieme l’hanno trascinato.
Scivolava con la schiena a terra senza ferirsi
ed ha continuato a lungo nella strada sterrata
del villaggio in cui è nato e morto.

Bruna è la terra, bruno il cielo,
bruna la linea delle case e bruni i loro tetti di paglia.
Ma un po’ di bianco rende celeste il bruno,
rende oleoso il colore, lo rende morbido,
lo dissemina mostrandone
la dismisura, la folle libertà,
ed ecco cinque povere case col tetto di paglia,
cinque dimore che si allontanano una dopo l’altra
verso la nebbia bruna, sulla destra, che le inghiotte,
un mondo ocra e bruno che sfuma in un sorriso,
un tratto d’ombra più scura
sotto la tettoia, su una o due sporgenze di paglia.

Sul piccolo rettangolo di legno
i cinque tetti spioventi ridono della neve,
ridono della terra e del cielo,
ridono della fuga che piega verso destra
e fa arretrare il fondo, lo fa arretrare in volute di fango
o di nuvole terrose,
fa arretrare il dubbio, la paura,
e giubila sotto le dita del pittore dagli occhi chiusi,
del pittore morto da tre secoli.

Ed ecco che il suo piccolo dipinto mi porta cinque vertebre
dell’uomo disteso nel sonno,
cinque vertebre che puntano sotto la paglia,
nella sua gloria

proprio mentre da una finestra del primo tugurio
e dalla porta spalancata brilla un po’ di rosso
a reincarnare l’uomo addormentato
di cui i miei occhi sorridenti accolgono
la fiducia totale nel tocco di colore
che aspira all’infinito.

***

Mains solides

(da qui)

1
Entre la paume et le dos de ta main
l’étranger glisse la lettre qu’il n’ose t’écrire.
Alors tu ouvres tes doigts.
Aussitôt l’océan t’incruste le sel qui a mangé son frère noyé.

2
Au troisième barreau de mon corps
se repose l’enfant martyr.
Au cinquième la parole devient plus fidèle que le granit.
A quoi nous fera accéder ce corps-échelle, nul ne sait.

3
Chaque expiration mienne te répond.
Je n’ai pas de contour privé.
Les montagnes sont mes talons.

4
Dans la nuit de la ville,
sois ma bougie,
dans le souterrain du port
où tous crient à la fois.

5
Tu as cherché au creux de tes coudes
et à l’arrière de tes genoux
le meilleur visage de ceux qui s’accrochent
désespérément à toi.
Mais ils sont toujours partis,
tombent ailleurs, dans le pré bruyant,
dans l’atelier mécanique où on dépèce
la parole et ils n’ont plus ni père ni mère.

6
Plus je monte
moins je vois que l’on verrouille les portes.

7
As-tu écouté l’ombre et son pas tremblant
au bord du vide ?
Ce qu’elle dénie, l’as-tu relevé
et en as-tu mis au soleil le sourire ?

8
J’écarte la menace, son sabre, son insulte.
Je remonte l’avalanche à son surplomb.
Tout l’espace est humain à présent.
Ni borne ni enclos.
Juste la ronde du rire.

9
Les montagnes se sont mises en route.
Les torrents remontent les pentes.
Il ne reste de neige que dans ma gorge
mais derrière la crête tu chantes avec mon fils,
ta main calleuse trouve le chemin de ma main calleuse.

Mani solide

1
Tra il palmo e il dorso della tua mano
lo straniero fa scivolare la lettera che non osa scriverti.
Allora tu apri le dita.
Subito l’oceano vi incrosta il sale
che ha corroso il corpo del fratello annegato.

2
Sul terzo gradino del mio corpo
si riposa il bambino martire.
Sul quinto, la parola diventa più fedele del granito.
Nessuno sa dove ci condurrà questo corpo-scala.

3
Ogni mio respiro ti risponde.
Non ho un profilo personale.
Le montagne sono i miei talloni.

4
Nella notte della città,
sii la mia candela,
nel sotterraneo del porto
dove tutti gridano.

5
Hai cercato nel cavo dei gomiti
e dietro le tue ginocchia
il volto migliore tra quelli che si aggrappano
disperatamente a te.
Ma sono sempre andati via,
cadono altrove, nel prato rumoroso,
nell’officina meccanica dove si scuoia la parola
e non hanno più né padre né madre.

6
Più salgo
e meno porte vedo che si rinserrano.

7
Hai ascoltato l’ombra e il suo passo tremante
sul bordo del vuoto?
Hai capito quello che lei rifiuta
strappandole finanche un sorriso?

8
Allontano la minaccia, la sua spada, il suo insulto.
Risalgo la valanga fino allo strapiombo.
Ora tutto lo spazio è umano.
Né confine né recinto.
Solo la ronda delle risa.

9
Le montagne si sono messe in cammino.
I torrenti risalgono i pendii.
Resta un po’ di neve solo nella mia gola
ma dietro la cresta tu canti con mio figlio,
la tua mano callosa trova la via della mia mano callosa.

***


Pierre de vie

(da qui)

Cinq cents ans
les mères ont roulé sous leur paume
la même unique pierre
sur la meule dormante

broyant le grain

perpétuant

*

Cinq cents ans
ma mère dans sa main
a chanté le roulis de la vie
contre le mur de la mort.

*

Merci, petite pierre,
salive de l’humaine montagne,
lune égarée dans ma bouche,
lestant l’espoir qu’un mauvais vent érafla.

*

La parole
âgée de cinq siècles plusieurs fois
ouvre en tous sens ses yeux,
parole, universelle pierre.


Pietra di vita

Per cinquecento anni
le madri hanno fatto rotolare sotto i palmi
la stessa identica pietra
sulla mola dormiente

macinando il grano

perpetuando la vita

*

Per cinquecento anni
mia madre con la sua mano
ha cantato il rollio della vita
contro il muro della morte.

*

Grazie, piccola pietra,
saliva dell’umana montagna,
luna vagante nella mia bocca,
che rafforza la speranza scalfita da un vento ostile.

*

La parola
vecchia di cinque secoli
apre ovunque i suoi occhi,
parola, pietra universale.

***

La Porte

(da qui)

1
Porte impatiente

Si c’est l’océan qui ouvre la porte
le sel t’éclabousse.
Tant mieux.

*

Si c’est l’air qui passe sous la porte
le chant des êtres libres te saisit aux chevilles.
Tant mieux.

*

Le rai de lumière sous la porte
aspire la cage de l’escalier.
Tant mieux, le volcan de la vie
attend ton souffle.

*

Ecoute comme le vent lointain
s’appuie à ta porte.
Ecoute comme elle grince.
Traduis vite notre merci
et ouvre.

La porta

1
Porta impaziente

Se è l’oceano ad aprire la porta,
il sale ti imbratta.
Meglio così.

*

Se è l’aria a passare sotto la porta,
il canto degli esseri liberi ti afferra le caviglie.
Meglio così.

*

Il raggio di luce sotto la porta
risucchia la tromba delle scale.
Meglio così, il vulcano della vita
attende il tuo respiro.

*

Ascolta il vento lontano
che si appoggia alla tua porta.
Senti come questa stride.
Traduci in fretta il nostro grazie
e apri.

***

Le bois

(da qui)

Il legno

Legno selvatico
che strappo dal fondo
del denso oceano degli uomini,
fa che io non dimentichi
la polvere di sudore e di sale
che brilla nella tua e nella mia scia
quando costruisco
la dimora senza pareti della parola.

(Trad. di fm)

*

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