Ogni giorno è oggi (I)

Stefanie Golisch

Ogni giorno è oggi (I)

Un cieco che visita una mostra di quadri è un controsenso o l’unico visitatore degno di questo museo distrattamente percorso dai tanti in questa prima domenica del mese a ingresso gratuito: lo sto pensando al Brücke Museum di Dahlem mentre osservo un uomo anziano avvicinarsi alle tele come se volesse entrare in esse o come se volesse mangiarle. Per fortuna qui non scatta l’allarme. Immagino quell’uomo più tardi, quando mette insieme quelle macchie di colore che ha colto, mai nessuno vedrà questi quadri che ricompone nella sua mente e che appartengono a lui soltanto

Il 2 gennaio al cinema Bali di Zehlendorf ci sono esattamente due persone a voler vedere l’inquietante film Il buco di Michelangelo Frammartino: io e un uomo in calzoni corti ed infradito

Un uomo – filosofo di vocazione e di professione – vuole sparire. Non lasciare alcuna traccia di sé. Posso capire il pensiero. La rabbia, la delusione, la fine definitiva della speranza. Ma come si trascorre il resto della propria vita da nessuno: né vivo, né morto. Dove ha portato M.P. le sue parole che il mondo non ha voluto comprendere o è lui che non ha voluto comprendere il mondo?

Dietro ad ogni finestra illuminata: un romanzo russo. Chiacchiericcio e tragedia

L’inquilina del pian terreno ha chiuso casa e si è trasferita in un’altra al primo piano. L’abbandonerà quando avrà riempito anche questa di roba inutile, prima lasciando un corridoio per almeno raggiungere il bagno, poi, dopo aver ingombrato anche quello, salvandosi dalla finestra da quel troppo che ama e odia con esattamente la stessa determinazione

Questa frase di Novalis: tutto ciò che si può pensare è già egli stesso pensante.

Vediamo e siamo visti.

In ogni attimo del nostro maldestro vivere

Lei è seduta alla finestra senza amore, non importa come si chiama, la storia è sempre la stessa, basta aprire la finestra per farmi entrare e più tardi per farmi uscire: sono l’uomo delle cose leggere, della calza bucata sotto il letto, tuo ricordo inconfessabile

Benjamin, così avevano chiamato un lupo marsupiale australiano, l’ultimo della sua specie che si era estinto in uno zoo della Tanzania a metà degli anni trenta del secolo scorso, l’ultimo della sua specie che sapeva-non sapeva che con lui sarebbero morti tutti i lupi marsupiali. Può esserci sconfitta più grande, umiliazione più profonda, disperazione più disperata che la consapevolezza di essere l’ultimo e di morire in una gabbia? Su YouTube c’è un video che lo riprende mentre cammina avanti e indietro con più nessuna altra meta che il prossimo passo

Con due gratta e vinci a testa le due amiche fanno colazione al bar, sull’asfalto cade l’ombra di una smorfia di bacio, la vita è dura, dice una voce dall’off, e loro ridono, nel reparto dementi le luci non si spengono mai, rosso più rosso si veste la bella di tutti, un raggio di sole attraversa un volto

in fuga, a mezzogiorno l’aria sa di bucato e minestrone, un vecchio in canottiera si sporge dalla finestra della cucina, in strada i piedi giocano con mozziconi e teste di rose

Consiglio a tutti la visione o ri-visione di Pasqualino Settebellezze su YouTube. Visto che i cineforum non ci sono più, sarà quella modalità, l’unica del futuro, di vedere i grandi film del passato. Premesso che detesto parole come grande, meraviglioso, straordinario, in questo caso sono giustificate tutte quante. Il tema del film è la sopravvivenza. Cosa è disposto fare l’uomo per salvare – in condizioni estreme – la vita? Tutto, risponde il film della Wertmüller che, senza pregiudizio, senza falsa morale, senza censura (e, peggio ancora, auto-censura!) racconta la storia di un uomo allo stato naturale, un uomo, dal punto di vista del colto, primitivo che è disposto perfino di uccidere il suo migliore amico pur di sopravvivere. Di tornare a casa per generare figli, più numerosi possibile, per nutrire la vita che non è né buona, né cattiva, ma che semplicemente è. All’epoca – parliamo del 1975/76 – il film suscitò il vivo interesse dello psicoanalista e studioso d’infanzia Bruno Bettelheim che ne dedicò un lungo saggio sul New Yorker, bocciandolo in toto per il suo messaggio, secondo lui, sbagliato di principio.

Bettelheim che fu uno dei primi internati nel campo di Buchenwald e che quindi aveva sperimentato sulla propria pelle una situazione in cui l’individuo era costretto a scelte radicali, considerava la sopravvivenza meramente fisica come viene narrata in Pasqualino Settebellezze un disvalore. Sopravvivere per lui era imprescindibilmente legato alla sopravvivenza dello spirito e dell’anima come prova della statura morale dell’uomo ideale capace di trionfare sul male istituzionalizzato. Bettelheim era sopravvissuto perché in grado di ricorrere a un mondo interiore ricco di letture e riflessioni personali. Pasqualino sopravvive perché è senza principi, senza mondo interiore, senza alcun valore assoluto che potrebbe condizionare le sue scelte. È solo un corpo che, come tutti gli organismi viventi, è programmato per rimanere in vita. Pasqualino Settebellezze non è, come pensava erroneamente Bettelheim, un elogio e nemmeno una condanna. È un film senza morale né messaggio come si poteva ancora fare negli anni ’70 del secolo scorso, confidando nelle facoltà mentali dello spettatore che sarebbe stato in grado di trarre le sue personali conclusioni. Purtroppo, in un mondo che ha ridotto l’uomo-cittadino all’eterno internato di un grande d’asilo d’infanzia, film del genere non si fanno più.

Quale è the cruellest month? Oggi, gennaio dà il suo meglio per vincere la gara. Il corvo davanti alla mia finestra insiste: so tutto. Nessuno mi può più imbrogliare. Ormai ho raggiunto l’immortalità

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1 commento su “Ogni giorno è oggi (I)”

  1. Stefanie, la tua lucida lettura della nostra storia mi fa venire i brividi, è qualcosa cui non si può sfuggire, con cui fare i conti su cui, se se ne è capaci, costruire o … in qualche modo concludere. Vivissimi complimenti

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