Ogni giorno è oggi (II)

*

Stefanie Golisch

Ogni giorno è oggi (II)

Nella pensione Villa Bonera di Nervi, tutto è vecchio. I pavimenti del Cinquecento, i caloriferi dell’inizio del Novecento e i telefoni SIP del 1981, nelle stanze. Ma non avranno, questi apparecchi in plastica grigio chiaro, il tempo di invecchiare maestosamente come i pavimenti di marmo bianco e nero, dignitosamente come i caloriferi di ghisa decorati. A differenza loro non servono a nulla. Nessuno alzerà più la cornetta per sussurrare dentro un segreto o una oscenità. La loro modernità è finita troppo presto per diventare in qualche modo affascinante. Eppure, è forse l’inconsolabile tristezza che essi emanano la cosa migliore di questo hotel, meglio degli splendidi pavimenti, dei graziosi caloriferi e della ottima colazione.

Mancano pochi giorni al triste anniversario dello scoppio della guerra. Tempi nuovi, si dice, tempi che necessitano un nuovo modo di ragionare e di agire.

Non sono d’accordo.

Non sono d’accordo sulla pseudo-sofisticata distinzione tra guerra di aggressione e guerra di difesa. Guerra è guerra. Il resto è ideologia. Se si riconosce il principio della non-violenza come assoluto, esso vale sempre, senza eccezione e al di là della specifica situazione in cui viene messo alla prova. A dura prova, certamente.

Ogni volta di nuovo.

Perché è innegabile che c’è qualcosa dentro di noi che vuole rispondere a un pugno con un altro pugno e che trova giusto che chi ha ucciso venga ucciso anche lui.

Riconosciamolo.

Riconosciamo pure che ci piacerebbe che il mondo fosse davvero diviso in buoni e cattivi. Perché così, il nostro maldestro vivere sarebbe molto meno faticoso. Eppure, dentro di noi, sappiamo che non è così. Lo sappiamo non perché siamo esperti in geo-politica, ma perché siamo tutti inseriti in una fitta rete di relazioni che ogni giorno ci costringe a confrontarci con altri punti di vista, altre tragedie, altre strategie di vita e quindi di venire a compromessi. Contro la nostra naturale indole di prendercela comoda siamo costretti a fare da equilibristi: mestiere non scelto e svolto senza grande talento. Piuttosto goffi, assai insoddisfatti, offesi, delusi, infelici, esauriti, con tante di quelle ferite che ci si procura immancabilmente vivendo, cerchiamo di fare del nostro meglio.

Perché quale sarebbe l’alternativa?

Di rispondere a un torto – presunto o vero – con un altro torto?

Questo è il principio delle antiche faide che si pensava appartenesse davvero a un lontano passato. Così come il ritorno di una certa retorica di guerra che alla fine non si accontenta più della parola, ma deve passare all’azione.

Voglio dedicare queste righe, non certo da esperta di guerra, a mio padre. Classe 1925, fu chiamato alle armi nel 1942, all’età di 17 anni. Da bravo figlio di un ufficiale della marina militare, non aveva mai osato mettere in discussione il mito del militare fedele servitore dello stato con il quale era cresciuto. Quando mio fratello, all’inizio degli anni ’80, aveva optato per il servizio civile, sembrava che crollasse il mondo. Non poteva esserci vergogna più grande. Soltanto pochi mesi prima di morire, all’età di 93 anni, mi disse, senza motivo apparente, questa frase: Der Krieg ist die allergrößte Scheiße, ribaltando, in poche parole inequivocabili e in un tono insolitamente colloquiale, tutto quello che durante la vita aveva creato la sua identità.

In quel momento ho visto mio padre nudo.

Era questa la sua verità.

Non l’aveva saputo nemmeno lui prima di pronunciarla, almeno una volta, ad alta voce.

Rileggendo Adorno. Minima Moralia. Ai tempi dell’università un must. Quella frase Non c’è vita vera nella falsa. Trascritta a mano su un foglio appeso sopra la scrivania. Un controsenso – perché a vent’anni la vita non è né vera, né falsa, ma semplicemente è. Carne, sangue e lacrime. Quando ci si innamora, la vita non è teoria, ma realtà: l’ordine di non pensarci due volte a farsi travolgere da quella forza imparagonabilmente più grande della propria volontà. L’idea di distinguere tra vita vera e falsa viene molto dopo. Quando si comincia a non fidarsi più della vita e conseguentemente, anche essa non si fida più. Il tempo dei bigliettini sopra la scrivania, a questo punto, è già finito da un bel po’, e nemmeno ci si innamora più, almeno non ogni giorno.

Sono consapevole di aver frainteso Adorno volutamente. Da capo dunque. Non c’è vita vera nella falsa. Nella società contemporanea – ricordo che Adorno scrisse questa frase durante l’esilio negli Stati Uniti – non è possibile condurre una vita vera, giusta, a misura della natura intima dell’uomo, in quanto il sistema politico-economico impedisce la sua autorealizzazione: non per caso, ma programmaticamente. Sta parlando, Adorno, del tardo capitalismo, momento storico in cui la reificazione è talmente avanzata che l’estraneazione dell’uomo è oramai irrevocabile. (La terminologia marxista è certamente molto pesante, però, bisogna riconoscerlo, anche molto precisa!) Nelle condizioni date, quindi, è impossibile condurre una vita vera.

Ma quale vita vera?

Quale periodo storico mai avrebbe proclamato come ideale politico l’individuo libero? Nota bene: ogni individuo, indipendentemente dalla sua classe sociale, la sua appartenenza etnica e sessuale! Non sarà stata, in ogni tempo, piuttosto la somma di tante lotte individuali per qualche attimo di autenticità?

La vita vera nella falsa c’è.

Non certo come assoluto, ma ogni volta che uno di noi riesce a uscire dal ruolo che gli è stato assegnato. Ogni volta che uno di noi riesce a sorprendere se stesso. E ogni volta che due di noi si incontrano senza finzioni. Credo sia proprio l’eccezionalità di quei momenti a renderli così preziosi. La vita vera ha bisogno di quella falsa intorno per farsi riconoscere. Essere uomini, del resto, significa navigare in una pozzanghera. Il mare aperto, per la maggior parte di noi, è troppo grande. Fa paura.

Mia madre, nata, vissuta e morta in una città di provincia e appartenente a una generazione di donne senza la facoltà di scegliere, si era illusa che la vita vera si sarebbe svolta altrove, in città più mondane e tra persone di cultura accademica. Il mio compito era di svolgere quella vita. Infatti, sono stata ubbidiente: ho vissuto in città più mondane e tra persone di cultura accademica. In un certo senso, ho avuto tutto quello che lei non ha potuto avere, tranne la grazia della grande illusione.

Voglia di cose leggere. Piccoli piaceri senza retrogusto. Partire per un viaggio senza meta precisa. Alla fine, vanno bene tutte le mete. Se solo si riesce a prendere le cose come sono e non come si pensa debbano essere.

***

Pubblicità

5 pensieri riguardo “Ogni giorno è oggi (II)”

  1. La vita vera nella falsa non c’è. Sacrosante parole, peccato che non solo nell’incontro fatato di amore le vita vera si rivela, ma anche lungo le linee di attacco di una guerra fratricida. Allora cosa è la vita vera? Carne, solo carne che a volte gioisce e altre patisce? Ma se è solo carne, cosa ci fa dire sì all’amore e no alla guerra, la semplice assenza di dolore? Ma anche nella guerra c’è spesso piacere, e allora cosa è questa vita vera? E la “Bellezza” che ruolo gioca in essa?
    Scusi queste domande forse retoriche, ma nascevano dalla lettura del suo bel brano, e se parliamo di vita vera allora proviamo, mi sono detta, a essere sempre veri, anche a costo di apparire un po’ bislacchi :)

  2. Io, in verità, penso il contrario di quello che sostiene Adorno ex cattedra:
    L’unico lembo di vita vera sono quei momenti di autenticità – hilfloser Menschlichkeit – che succedono in ogni momento da qualche parte, ovunque intorno e dentro di noi. Nonostante e aldilà della gabbia della vita falsa. Se non fosse così: come potremo sopravvivere una solo giorno…?
    Vita vera è sempre un atto di ribellione e come tale ha bisogno dell’avversario: cioè della vita falsa.
    Ma forse ho sentenziato anche io adesso e le cose, in verità, stanno ancora diversamente….
    E’ una frase , comunque, con la quale si può giocare….

  3. Veramente le mie non erano sentenze e avevo anche frainteso la frase di Adorno.
    Le domande restano le stesse ma, come giustamente dice, spesso restano giochi mentali, alcuni dei tanti, intorno a una frase. La vita vera si rivela da sola, più si specula e più da essa ci si allontana.
    La ringrazio per la risposta.

  4. Credo che sia così: la vita si rivela da sola… non ha bisogno di Adorno…. il mio era un gioco intorno a questa frase di Adorno che in Germania è citato fino alla nausea. E’ uno di quei riferimenti culturali probabilmente non traducibili in pieno. La parola sentenziato era rivolto al maestro stesso!
    Adorno dixit.
    E questo bastava, all’epoca, per avere ragione….
    Ma quando si parla di vita, non c’è ragione o torto….

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.