Due musiciste afghane

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Yves Bergeret

Due musiciste afghane

Deux musiciennes afghanes,
tratto da Carnet de la langue-espace.
Traduzione di fm.

Nell’estate del 1977, dopo aver scalato nella parte superiore della valle del Panshir i suoi valichi e le sue alte vette, alcune delle quali raggiungono i seimila metri, mi sono spostato verso il centro dell’Afghanistan per avvicinarmi alla cima meno elevata dello Shah-foladi, intorno ai cinquemila metri. In pratica, nessuna strada asfaltata, un lungo e caotico sentiero attraverso valli profondissime fiancheggiate da sporgenze rocciose e altissime pareti di tutti i colori che il mondo minerale può presentare. Un torrente particolarmente impetuoso erodeva anche la più piccola massa alluvionale. Un paesaggio di selvaggia bellezza.

Poi un netto allargamento della valle. Campi irrigui, boschetti di pioppi: siamo a Bamyian, quasi un’oasi. Il corso d’acqua diventa un fiume che si snoda sinuoso. Le montagne si distendono in lontananza. Lasciano alla vista molto più cielo, alcune colline pietrose e, al di là di esse, roccia a perdita d’occhio, aridità, ripidità. Poi una lunga falesia alta cento-duecento metri sulla destra della pista, con, in bella vista, alveoli, sporgenze verticali, anfratti. E all’improvviso, dalla base della falesia, una e poi due enormi nicchie verticali, una alta poco più di trenta metri, l’altra poco più di cinquanta, larghe cinque o dieci. In esse, scavate nella roccia, le due gigantesche statue di Buddha in piedi, con lunghi drappi.

Di fronte a questa lunga falesia, due colline dove si vedono le rovine di due prospere città interamente distrutte dalle truppe di Gengis Khan nel 1222 e 1223, Shahr-e-Zohak e Shahr-e-Golgolah. Ho scalato queste colline devastate, con striature virulente di colori minerali lungo i pendii, viola, verde, nero, ocra, arancio, beige, rosso, muri di mattoni di fango sventrati o crollati. Un messaggio di pace e di contemplazione del buddismo vi era stato distrutto con estrema ferocia. Ho dormito sotto i pioppi lungo il fiume, di fronte a una delle due colline; non so se il gorgogliare notturno fosse quello del sangue dei massacrati o quello dei vortici della corrente.

Nel marzo del 2001, i talebani hanno distrutto con la dinamite le effigi “empie” dei due Buddha.

Nell’agosto 2021 i talebani sono ritornati al potere e nel giro di qualche mese hanno ripreso la loro selvaggia repressione, in particolare contro tutte le donne.

Jean Carl partecipava, come architetto e pittore, alla spedizione archeologica francese di Joseph e Ria Hackin, negli anni Trenta (tutti e tre hanno subito raggiunto Londra e si sono uniti alla Resistenza al momento dell’armistizio nel 1940). Tappa molto importante e poi quasi dimenticata della Via della Seta, Bamiyan aveva visto arrivare i primi archeologi una ventina di anni prima. Non so se questo affresco di Due musiciste è su una parete verticale o su una volta curva di una piccola nicchia secondaria, come ne avevo viste tra i bordi interni delle enormi nicchie della falesia. Jean Carl la copia su tela, il più fedelmente possibile. La grande originalità di questo affresco è sorprendente.

Tutto in esso parla di musica: attraverso il disegno delle forme e la risonanza dei colori. Attraverso l’assenza di quella simmetria a volte sonnolenta, quella di parecchi mandala, che, di fronte alla contemplazione passiva o alla preghiera rituale, stabilizzerebbe un mondo divino e in definitiva anche il mondo del pellegrino. Al contrario, qui la composizione sbilanciata spinge verso destra lo sguardo, forse anche l’orecchio, col dispiegarsi ondulatorio della melodia. L’affresco canta. Una musicista chiude la bocca, l’altra non ha bocca: è infatti l’affresco a produrre la melodia. Non lo strano strumento a corde, che somiglia a un’arpa birmana e le cui corde sono qui scomparse, ma di cui l’ampia curva del telaio di legno spinge la scena verso destra. Le quattro mani pizzicano delle corde assenti. È solo il quadro che canta. Le due musiciste non si guardano. Ascoltano ciò che viene cantato.

A parte un misterioso tratto nero verticale in basso a sinistra e poi, parallelo ad esso e leggermente alla sua destra, un bordo rettilineo verticale tra il grigio e il blu scuro, tutto qui è curvo; anche la costruzione in basso a destra, che potrebbe raffigurare l’orlo di una bacinella, è leggermente incurvata. Pietre, cemento e al di là della nicchia dipinta, al di là della falesia, rocce, cime, creste, tutto questo mondo minerale entra nella fluidità e nella dinamica del suono melodico, dell’armonia fertile della vita e dell’atto creativo. Si può affermare, a ragione, che questo affresco è profondamente orfico? Se lo strumento a corde stavolta non accompagna un canto, ne è comunque il cuore pulsante, il cui potere trasforma il mondo. Fa danzare il mondo. Tutto qui è dinamismo curvilineo. E ancora, davanti ai loro piedi danzanti, le due donne agitano le loro stesse ombre, forse le loro anime, quei due alberi, uno rosso e l’altro verde, i cui tre rami, ognuno dei loro tre rami, ondeggiano nel movimento più sinuoso che trasforma la rigidità legnosa in godimento, languore, speranza.

Il copista non colora in nessun modo la carne delle musiciste: la pigmentazione verrà, felice, sensuale, luminosa, futura. Nell’insieme della copia dell’affresco, il pittore, a tempera, certamente nel modo più fedele possibile visto che lavorava con e per gli archeologi, mette i colori in vibrazione tra loro; tutto qui è sensibile, di una sensibilità molto attiva e mai violenta o stridente; con gli stessi colori “ovattati” che i Nabis avevano cercato in Europa poco tempo prima. Il ritmo generale ondeggiante è quello di Matisse, in particolare dell’Interno con melanzane del 1911, al Museo di Grenoble. La flessuosità delle gambe delle musiciste è anche quella dei modelli di Matisse. Il copista dipinge con la sua esigenza di fedeltà ma anche con la sensibilità europea del suo tempo, gli anni Trenta; anche con una visione in prospettiva di tutto ciò che l’antropologia e l’etnomusicologia, in particolare grazie a Gilbert Rouget e alle équipes del Musée de l’Homme, ci avrebbero fatto capire sui poteri della musica. Frutto di decenni di indagini e di analisi, il libro principale di Rouget, La Musica e la Trance, è del 1980.

Grazie al copista che ci permette di vedere questo affresco sorprendentemente dinamico e contemporaneo. Già molto tempo fa, probabilmente un migliaio di anni, ci veniva mostrato, in questa “immagine in atto”, attraverso l’esercizio del potere della musica, il ruolo fondamentale delle donne; il regime attuale laggiù opprime le donne e rifiuta la musica. Questo affresco le riporta al loro essenziale ruolo di protagoniste.

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Ria e Joseph Hackin erano legati da profonda amicizia a Jean Carl. Nel febbraio del 1941, a nord della Scozia, i nazisti silurarono l’imbarcazione sulla quale si trovavano gli Hackin, che morirono annegati. L’allievo Jean Carl si suicidò.

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