Gli spostamenti del desiderio

Raffaela Fazio

(Black-out)

Se avessi saputo
quanto è vera la morte
avrei silenziato
l’assalto alle tempie
usato altre armi
avrei in me spogliato
fino all’ultima maglia il nemico.
Se avessi capito
che la morte non rende ciò che porta via
in battaglia
sarebbe stato il colpo
non questo suono bianco
incessante distorto
di corno
nelle retrovie.

*

Quello che adesso cresce
non esce dalla pietra.
Non più l’ansia feconda
filo di ragno o salto
del seme che si affida.
Ogni affiorare è squama
di sasso nella pigna.
Ha smesso
di andare verso forme in cui spiegarsi
si aggiunge a ciò che è muto.

Sei in me come la vita
che nessuno vede
la sete
il fuoco
che non condivido.

*

Tra i tanti fiori con cui mi hai sorpreso
dovrei trovarne almeno uno adatto
al freddo della pietra.
Ma nessuna pietra
terrà stretto a sé il tuo corpo.
E nessun fiore
giglio tulipano girasole
lavanda iris calla margherita
avrà bellezza o memoria
per il tuo lutto
perché a me
si è già dato tutto
cardo ranuncolo giacinto
peonia ortensia rosa
a me che di tutto
ciò che eri per me
sono da sempre, per sempre
gelosa.

*

Vita che hai voce
ripetuta in cento voci
so bene cosa intendi:

il pozzo che vedi
ne ha accanto di più fondi

e ogni assaggio di ombra
rivela un privilegio
o forse solo aiuta
a scendere là dove
l’istinto
non trova rifiugio
a scendere piano
incontro al destino.

*

Non sarà
il pensiero o la speranza
la comunanza o l’aver visto
nei sopravvissuti
estendersi il sereno.

Sarà
come è sempre stato.
Il senso a pelle
di un attraversamento
già successo
addosso odore o sale
che lasci alla mia vita
nell’andare.

*

(Proiettivo)

Nessuno spreco nell’arte.

Ogni parte dentro il suo confine
è voluta
da un’altra affine modanatura
lo zigomo dal mento
il lobo dalla nuca
il fremito nel suo contenimento
dall’ultima illusoria incurvatura.

Nulla di omesso
(tranne il mutare al tocco
la lotta che dà vita
l’abisso dello smarrimento).

E al posto che compete
alla voragine finale
un compromesso

un fermoimmagine.

*

Interno familiare I

La foto sovraesposta.
L’acqua trabocca nel sottovaso.
Come bestia da soma
la casa si piega. In cima
ai corpi non c’è più turbamento.
Non abbiamo saputo
fermarci in tempo.

*

Un giorno si rinviene
sotto le finestre familiari
si trattiene il fiato
si cerca di vedere.
La tenda, appena mossa.
E un senso di spossesso:
resiste là il passato
ma a nostra insaputa.
Come la casa
su cui un bambino ha scritto
venduta
fiutando (sotto lo zerbino)
un bene abusivo
o troppo distratto.

*

Nasten’ka
(Le notti bianche di Fëdor Dostoevskij)

Guarda, lo vedi, è qui il punto
in cui mi teneva lo spillo
al grembiule: mia nonna, la cieca
mi aveva cucita al suo fianco
e sentiva allentarsi la mente nel sonno
e soffriva e temeva ormai il giorno
in cui sarei uscita
non pronta all’incontro.
Ma l’altra, la donna gigante
premendo da dentro
mi aveva già vinta
come oltre la riva
la piena
di un fiume

un fiume che indossa
soltanto
il proprio volere:
a frenarlo nessuna paura
se s’ingrossa
se ignora
quanto è spietata la spinta
(solitudine pura)
che ricopre ogni spazio
credendo felice fusione
la violenza, l’inondazione.

*

La Signora-del-villaggio-dei-fiori-che-cadono
(Novelle orientali di Marguerite Yourcenar)

Con il mio Signore ho condiviso
non fuochi, gelosie o tradimenti
ma febbri di palude, giorni malati.
Per lui ho cambiato nome,
il taglio delle stoffe, il mio profumo.
E l’ho raggiunto
là dove c’era spazio solamente
per l’avanzare lento della morte.
Ma delle cento volte
in cui mi ha uccisa
preferendo a me le altre spose
nessuna è dolorosa quanto questa.
Credette alla mia storia perché cieco
mi finsi sconosciuta e solo allora
mi volle al suo fianco.
Ero felice:
Sciujo, non più dama d’onore.
Intatto il mio passato (è quello che pensavo)
e il principe che amavo
ora eremita, docile al mio amore.
Invece, prima dell’addio
tra i volti del palazzo rievocati
gliene mancava uno
a sua insaputa:
il mio, soltanto il mio.

(da: Raffaela Fazio,
Gli spostamenti del desiderio,
prefazione di Alfredo Rienzi,
Bergamo, Moretti&Vitali Editori, 2023.)

***

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